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Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
Aphex Twin ha caricato a sorpresa su SoundCloud due nuovi brani ispirati a una vacanza in Sicilia Le tracce sono comparse a sorpresa e sarebbero state ispirate da una vacanza italiana del musicista, intristito dalla pioggia autunnale.
Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore che si era travestito da sua madre per riscuoterne la pensione Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.

Storia degli uomini che sbarcarono sulla Luna e non furono mai amici

I tre astronauti dell'Apollo 11 erano molto diversi l'uno dall'altro: ognuno di loro racconta una storia e ne è un simbolo.

19 Luglio 2019

I loro nomi resteranno legati uno all’altro per sempre. Neil Armstrong, Buzz Aldrin, Michael Collins: i tre uomini che la NASA sceglie per la missione più importante della storia. Il 20 luglio 1969 sbarcano sulla Luna, sotto gli occhi di tutto il pianeta che li osserva dalle televisioni accese. Stanno realizzando la volontà del presidente Kennedy, che prima di essere assassinato aveva promesso l’allunaggio entro la fine degli anni Sessanta. Armstrong è il primo a camminare sulla superficie grigia e inospitale, lo segue Aldrin, Collins resta a bordo ad aspettarli, orbita, finisce dietro la Luna, è il primo uomo a vederne la faccia nascosta, la faccia oscura su cui tutta l’umanità si è sempre interrogata. Collins è talmente isolato – tra lui e il pianeta Terra e i suoi compagni di viaggio c’è di mezzo la Luna – che la sua solitudine viene associata a quella di Adamo, prima che nascesse Eva. Mentre comincia il suo volteggiare in solitaria, da Houston gli dicono: «Mike, sei proprio bello mentre te ne vai sopra la collina. Chiudo».

Armstrong ha imparato prima a guidare gli aerei e poi le automobili (prende il brevetto di pilota a 16 anni). Volare è sempre stata tutta la sua vita, quando non volava studiava ingegneria, o costruiva aeromodelli, distrutti la sera in cui prende fuoco la casa dove viveva con la moglie e i due figli. Aldrin definisce Armstrong «impenetrabile». Collins dice: «Il detto recita “nessun uomo è un’isola”. Invece Neil è una specie di isola». Appena prima di scendere e lasciare l’impronta sulla Luna Armstrong ne descrive così il colore: «È un colore sostanzialmente senza colore, grigio bianco, molto bianco, e il grigio è gessoso». Dopo la missione, tornano sulla Terra sani e salvi, come aveva sperato Kennedy, ma le loro vite sono stravolte per sempre, e non diventeranno mai amici. La migliore definizione del loro rapporto la dà Michael Collins: «Cordiali estranei».

Quando Aldrin scopre che è Armstrong l’astronauta destinato a camminare per primo sulla Luna l’invidia lo acceca. Dei tre, Aldrin è l’unico litigioso, polemico, si accende facilmente. Al ritorno sulla terra, quando sa che verrà emesso un francobollo con la faccia di Armstrong la tensione esplode. Aldrin abbandona la Nasa, comincia a bere, si esaurisce, divorzia una prima volta e una seconda, finisce in una clinica dove si curano depressioni nervose. La Luna ha un effetto tremendo, è sì una gloria indelebile, è sì lo spartiacque delle vite degli astronauti, ma il ritorno alla normalità è durissimo, la Luna proietta un’ombra nera su chi ci è salito sopra e ha passeggiato nei suoi crateri. Qualche equilibrio si altera sempre, su ventuno uomini andati sulla Luna tredici matrimoni finiscono in divorzi o separazioni.

Festeggiando i 25 anni dall’allunaggio, Aldrin dice: «La Luna ha rischiato di rovinarmi, ma senza di lei non sarei quello che sono. Provo nostalgia in questi giorni di festeggiamenti, ma non vorrei tornarci, perché è un posto desolato e orribile». Nella biografia che scrive, Return to Earth, racconta anche la sua infinita lotta contro depressione e alcolismo.

Se Aldrin è irruento, Armstrong è impassibile. Poco prima di partecipare alla missione lunare, durante un test, si salva la vita lanciandosi in aria e per un soffio non si sfracella a terra: dopo un’ora è alla sua scrivania a lavorare. Era già la seconda volta che si catapultava in aria per evitare lo schianto, si sentiva un miracolato, la prima volta era atterrato in una risaia in Corea. Neil è il monumento al sangue freddo, nulla lo turba. O forse il mondo si è semplicemente attutito dopo la morte della figlia piccola, malata di tumore. Più soffre per quella morte più gli addestramenti per l’allunaggio lo fanno volare verso il cielo, sempre più distante dal suolo, sempre più vicino alla Luna. Forse dopo aver perso la figlia il mondo gli arrivava ovattato. Durante le missioni che preparano l’allunaggio è invitato in un viaggio in America Latina, tre milioni di persone scendono in strada per acclamarlo, è il 1966 ed è già un’icona, stringe molte mani, firma autografi. Il 20 luglio 1969 il suo nome rimbalza in ogni angolo del mondo e dopo finirà a fare vita di provincia, a chiudersi sempre di più, pochissime interviste, niente più autografi, lo stile di vita di un eremita.

Se Aldrin è irruento e Armstrong impassibile, Collins è distaccato. Nasce a Roma, da cui potrebbe aver preso l’ironia che lo contraddistingue. Ad Armstrong Collins piaceva: «Era ironico e sempre in vena di battute, ma anche riflessivo, eloquente e preparato», si legge nella biografia di Armstrong, First Man. Collins nasce a via Tevere, dove c’è ancora una targa, il 31 ottobre 1930 (anche Armstrong e Aldrin sono nati nel 1930). Se Armstrong è il protagonista dell’allunaggio, e Aldrin il coprotagonista, lui è l’ombra. Eppure dei tre è quello che dopo la Luna soffrirà meno degli altri, vive senza ansie né depressioni. Scriverà la sua biografia, Flying to the Moon.

A proposito di Michael Collins, ha scritto una volta Emanuele Trevi: «A ben vedere, questo arrivare a un passo dalla mèta senza poterla toccare è un simbolo dell’esistenza umana molto più eloquente di ogni impresa gloriosamente compiuta». Ma forse la cosa più interessante che coglie Trevi riguarda la paradossale romanità di carattere di Collins: «Non c’è, in fondo, qualcosa del carattere del vero romano, ironico e sprezzante, nell’arrivare fino a un passo dalla Luna, senza però metterci piede, come se non fosse importante?».

Kennedy annunciò la conquista della Luna ma non la vide. Il presidente Richard Nixon nel 1969, per l’allunaggio, preparò il discorso funebre per i tre astronauti, tanto incerto era l’esito della spedizione. Due dei tre discorsi funebri devono ancora essere pronunciati, Richard Nixon è morto, Buzz Aldrin e Michael Collins sono ancora vivi. Armstrong fino alla fine è sempre stato pacato ed eroico. Ognuno di loro racconta una storia e ne è un simbolo: come si vive quando si hanno raggiunto obiettivi altissimi, come si vive da frustrati, come si può vivere in pace pur avendo sfiorato successo e fama. Nel 2011, lo storico Douglas Brinkley chiede ad Armstrong: «Con l’approssimarsi dell’ora del decollo, hai passato le serate, o più serate, ad ammirare in silenzio la Luna? Insomma, era diventata una sorta di dea personale per te?». Armstrong risponde: «No. Non l’ho mai fatto».

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