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Non c’è bisogno di essere donna (o nera) per amare Morgan Jerkins

Il suo libro è una raccolta di saggi sull'identità etnica e di genere. Eppure è un testo per tutti.

di Clara Mazzoleni

Morgan Jerkins scrittrice

Questo articolo è l’ultimo di una serie di pezzi in cui abbiamo approfondito i ritratti delle cinque autrici che accompagnano una delle due storie di copertina del numero 34 di Studio, “Sally Rooney e le ragazze di oggi”, in cui abbiamo provato a capire come sta cambiando il modo di raccontare le relazioni e l’identità femminile. In precedenza vi abbiamo parlato di Akwaeke EmeziPhoebe Waller-BridgeJia Tolentino e del podcast Call Your Girlfriend.

 

Prima di pubblicare il suo primo libro, This Will Be My Undoing – che poco dopo essere uscito nelle librerie si è piazzato al settimo posto nella top 10 dei best-seller del New York Times – Morgan Jerkins (non ancora trentenne) scriveva già articoli per alcune tra le più prestigiose testate statunitensi, compreso lo stesso Nyt. È proprio dopo aver letto quegli articoli che le hanno suggerito di preparare una raccolta di saggi. Il libro, conteso tra diverse case editrici, si è sviluppato senza troppe difficoltà: «Non appena ho iniziato a pensarci, i vari capitoli hanno preso forma: è come se fosse sempre stato tutto pronto nella mia testa», ha raccontato Jerkins ad Ann Friedman e Aminatou Sow (le autrici del podcast Call Your Girfirend, di cui abbiamo già parlato in questa serie), nella puntata di febbraio a lei dedicata. Basta leggere This Will Be My Undoing per capire che scriverlo non dev’essere stato facile: il libro è una raccolta di confessioni urgenti, in cui disagio, rabbia e rancore vengono esposti, liberati e argomentati. È come se Jerkins avesse portato per anni dentro di sé un vaso di Pandora che aspettava soltanto di essere scoperchiato. Ma i demoni che conteneva, una volta liberati, invece di distruggere hanno illuminato tutto. Il successo del libro lo dimostra: Jerkins ha coraggio di parlare ad alta voce di cose che una donna, spesso, si vergogna anche solo a pensare.

Ad esempio della sua ossessione di entrare nel gruppo delle cheerleader della scuola, quando non ancora adolescente, dell’invidia per il corpo delle ragazze bianche, bionde e belle e dei loro privilegi. Nella scena con cui apre il suo libro, Jerkins racconta il pianto in cui scoppiò da bambina quando, in un parcheggio di provincia, scoprì di non aver superato l’audizione per diventare cheerleader. Disegna gli scenari che si presentano di fronte a una ragazza nera negli Stati Uniti: diventare una guerriera potentissima e perfetta, come Beyoncé (di cui ragiona a lungo: su Lemonade e tutto il resto) o Michelle Obama (un capitolo, uno dei più belli, è proprio una lettera indirizzata a lei), oppure andare avanti sempre nonostante tutto, come le tante ragazze e donne che compaiono in queste pagine, prima fra tutte lei stessa.

Nove saggi che raccontano com’è per una ragazza crescere in una cultura sessista e dominata dai bianchi, in cui chi è nero non può che rendersi conto, prima o poi, della sua diversità: come quando al parco divertimenti tutte le sue amiche si fanno le foto dietro a quei cartonati in cui bisogna infilare la testa, e lei si sente grottesca e rinuncia: perché dovrebbe farsi fotografare così, con un corpo da principessa bianca e la faccia che non c’entra un cazzo? Un mondo dove chi è donna, prima o poi, non può che rendersi conto di occupare una posizione svantaggiata. Jerkins dedica tantissimo spazio a riflessioni sul problema del corpo e sull’aspetto esteriore. C’è una lunga parte dedicata ai capelli, alle stirature chimiche, al percorso fatto per accettare la loro consistenza naturale, ai capelli delle donne nere e delle donne bianche nella storia, nella politica, nella cultura pop.

In un altro saggio racconta l’intervento di labioplastica che ha deciso di affrontare (questo si può leggere anche online), dimostrando per l’ennesima volta il suo talento più grande: quello di scrivere di cose che preoccupano molte ragazze ma di cui è molto difficile parlare, e parlare bene, in modo che ogni aspetto venga a galla, che tutte le carte appaiano sul tavolo chiaramente leggibili, sia quelle private e individuali, che quelle condivise e collettive. Partendo dalla descrizione di quello che nella sua vagina era “sbagliato” e del percorso che l’ha portata a decidere di intervenire, Jerkins disegna uno schema molto ampio, che racchiude una quantità di tensioni e credenze sulla femminilità e sulla razza e la necessità delle donne di aderire a determinati canoni. Su Catapult ha scritto un articolo in cui racconta i problemi incontrati prima, durante e dopo la pubblicazione del saggio, in cui riflette su cosa comporti scrivere di argomenti così privati, mettendo a repentaglio la propria vita relazionale e sessuale.

Morgan Jerkins

E questo è un altro grande argomento del libro e della scrittura di Jerkins in generale: il sesso. Il desiderio, l’impossibilità di sfogarlo, i problemi con gli uomini. Da quando è piccola Jerkins non fa che interrogarsi sulle sue mancanze, sul perché i maschi non la riescano proprio ad amare, e a confrontarsi con le altre bambine, ragazze e donne per capire cosa non va in lei. Forse parla troppo? Forse è brutta? Forse la colpa è proprio di questa sua mania di scrivere di sé e dei suoi fallimenti amorosi e delle sue cose private, che da un lato la porta a pubblicare su New York Times e New Yorker e a firmare altri due contratti con Harper (i libri usciranno nel 2019 e 2020) ma che dall’altro le impedisce di trovare un ragazzo? Forse è perché è nera  – e fiera di esserlo – ma non ha ancora capito come fare a esserlo senza soffrire? Forse tutto questo insieme? È quello che fa di Jerkins una grande scrittrice: le domande di una ragazza insicura funzionano come micce per attivare riflessioni molto vaste, che attingono dalla storia politica, sociale e culturale degli Stati Uniti e dell’Africa, dall’antropologia, dai gossip, dai post sui social, e rischiarano paesaggi oscuri e confusi, rendendo tutto più chiaro (non per questo meno complicato). Bellissime le pagine sui porno (Jerkins preferisce quelli in cui ragazze bianche che vengono umiliate, e si interroga sul perché), sui vibratori, su Tinder, sul valore della verginità, su matrimonio e religione e amore.

In uno dei miei saggi preferiti analizza il modo in cui viene raccontato il rapporto tra le donne e la droga. Non solo le donne hanno un rapporto molto diverso con le sostanze stupefacenti rispetto agli uomini: quello delle donne nere è ancora diverso. Jerkins parte dalla moda anni ’90 dell’heroin chic e arriva a un caso recente come quello di So Sad Today (l’autrice della raccolta di saggi e dell’omonimo, seguitissimo, profilo Twitter, Melissa Broder: un passato di auto-devastazione superato e brillantemente monetizzato) ovvero della possibilità data alle donne bianche e benestanti di crollare e rigenerarsi, edificando sulle ceneri del loro periodo problematico carriere di successo e famiglie perfette. Perché la maggior parte delle donne nere non può concedersi questi momenti di sbandamento? Perché lei non potrebbe mai permettersi di tirare di coca e fare il bagno mezza nuda in piscina come vede fare ad altre ragazze durante una festa (e come avrebbe voglia di fare)?

A tutte queste domande cerca di rispondere con un’onestà devastante, obbligando chi legge a girare le pagine come se scottassero: è facilissimo non prestare troppa attenzione allo stile impeccabile, fluido, elegante della scrittura di Jerkins, perché ci si dimentica perfino di stare leggendo un libro. Quello di cui scrive (praticamente di tutto: dalla malattia degenerativa del suo patrigno a Donald Trump, dal movimento pentecostale allo street-style, dalla depressione a Sailor Moon) è sempre necessario. «Questo libro non è su tutte le donne», specifica all’inizio. «Ma è per tutte le donne e gli uomini, di qualunque orientamento sessuale. Questo libro è per te». Dopo averlo letto, confermo: era (anche) per me. È davvero per tutti.

 

Illustrazione di Lulu*