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Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.
Stasera La chimera di Alice Rohrwacher arriva per la prima volta in tv, su Rai 3 Un film d'autore per festeggiare l'apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2025.
Emma Stone, che in Bugonia interpreta una donna accusata di essere un alieno, crede nell’esistenza degli alieni E ha spiegato anche perché: lo ha capito guardando la serie Cosmos di Carl Sagan.

A Milano, le sfilate sono tornate a essere performance

Le cose più interessanti viste sulle passerelle maschili.

15 Gennaio 2020

«Non voglio dare l’impressione di essere uno di quelli che vuole decostruire e distruggere il mondo degli uomini, al contrario voglio allargarlo. Il mio è un invito a guardarsi indietro, a recuperare qualcosa che si è perso crescendo». Così Alessandro Michele ha raccontato ai giornalisti la collezione con cui è tornato a sfilare a Milano, con «show per soli uomini», a cinque anni dal suo debutto, avvenuto nel gennaio del 2015 proprio durante la stagione della moda maschile. Lo show di Gucci chiude un’edizione di Milano Moda Uomo che è sembrata particolarmente piena di cose interessanti e lo fa con una collezione che serve a Michele per guardarsi indietro, a questi cinque anni in cui è diventato una delle voci più significative della moda, e agli anni dell’infanzia, filtrati con uno sguardo che non è quello che gli abbiamo attribuito finora. Non lo sguardo dell’uomo colto, e adulto, che vuole liberarsi di pesi, costrizioni e norme sociali, ma appunto quello del fanciullino, che quelle regole se le scrolla di dosso con la naïveté radicale indissolubilmente legata alla sua età anagrafica. Le cose che perdiamo crescendo, cristallizzate nelle giacchette, nei colletti leziosi, nei trench con le finte macchie di erba come se i modelli si fossero rotolati in un giardino immaginario e nelle scarpette con “gli occhi”, che a molti bambini sono state imposte controvoglia e che ora diventano un accessorio dalla facile popolarità, ricostruiscono l’idea che Michele si è fatto di un uomo «capace di ricontattare il proprio nucleo di fragilità, il tremore e la tenerezza», come si legge nel comunicato stampa che è distribuito all’ingresso ed è impaginato in un foglio protocollo, quasi fosse un compito di italiano delle elementari. Al centro del teatro scientifico ricostruito nella maestosa sala del Palazzo delle Scintille c’è però un enorme pendolo che si muove in maniera nevrotica, un accenno all’amato Foucault ma anche un elemento di disturbo, gigantesco promemoria del tempo che passa. «La moda è l’orologio del tempo più evidente e il tempo è un elemento costante nel mio lavoro. La messa in scena ricorda che il tempo non si ferma. Non era molto chiaro cosa facesse questo pendolo, a volte avevi l’impressione che andasse addosso ai ragazzi che camminavano, perché il tempo è invadente. Io ho un ottimo rapporto con il tempo, anche se a volte ci litigo» ha spiegato Michele, prima di concludere, «Io non sono nostalgico, so che fa ridere, ma in realtà è così: non mi aggrappo mai al passato, lo utilizzo solo quando credo ci siano delle cose interessanti».

Modelli durante lo show di Prada. Foto di Tullio M. Puglia/Getty Images

Se Michele riprende in mano il discorso sulla differenza sessuale, continuazione logica del suo lavoro sul travestitismo e la fluidità del genere, attraverso una dimensione – quella infantile – che è transitoria e irrecuperabile per definizione, Miuccia Prada invece ritorna a parlare di lavoro con una collezione precisissima, che si è svolta anch’essa in uno spazio dai contorni metafisici, che rimandavano a Giorgio De Chirico. La statua equestre costruita da Rem Koolhaas perché fosse bidimensionale, come quelle sorprese che si trovano nelle patatine, è posta al centro di una fittizia piazza italiana e funziona da parodia di una certa grandezza maschile – «non eroica», ha spiegato la designer – oggi perduta perché non allineata alla corrente storica, alla sensibilità, alle condizioni economiche. Così gli uomini-bambini di Miuccia, giovanissimi come la moda sempre li vuole, sfoderano uscita dopo uscita un campionario di formalità pradesca – le giacche in nylon, gli smanicati, le impunture a contrasto, gli stivali rinforzati – che vuole rimettere l’individuo, il suo saper fare, la sua collocazione sociale, al centro dell’attenzione, un po’ come aveva fatto a settembre, con feroce ironia, Demna Gvasalia da Balenciaga con i suoi modelli architetti, designer, insegnanti. Nella moda di oggi, il ritorno al workwear è sempre accompagnato da una buona dose di assurdità, perché il lavoro è disgregato, precario, assente, qui simboleggiata dalla statua senza ombra di solennità e dalla piazza attraversata convulsamente dai modelli che sfilano in più direzioni. Le sfilate sembrano appartenere a un’altra epoca, è vero, ma quando sono così performative riescono ancora a reclamare uno spazio di interpretazione che può raccontarci qualcosa del presente o, se non altro, offrire un punto di vista. Ritornare al lavoro e alle sue categorie può essere un pensiero confortevole, ma anche assurdo come una statua-cartonato, questo Miuccia Prada lo sa.

Modelli durante lo show-performance di Marni. Foto di Pietro S. D’Aprano/Getty Images for Marni

E a proposito di performance, la più bella della settimana è stata certamente quella orchestrata da Francesco Risso per Marni, che continua il suo percorso di crescita e riscrittura di un marchio che in molti, all’inizio, pensavano non fosse il suo territorio ideale. Invece il designer 37enne, assieme al collega di vita e di lavoro Lawrence Steele, sta costruendo stagione dopo stagione il suo universo di significati e il rave impazzito coreografato insieme all’artista Michele Rizzo si classifica come una delle sue prove più riuscite. Anche questa volta era il tempo il protagonista principale, che scandiva lo slow motion teatrale, l’incontro a rallentatore dei modelli performer su una passerella cancellata e l’accelerazione improvvisa così come la musica, e le droghe come quelle cui ammiccava l’invito, salgono. I capelli appiccicati sulla fronte, i pantaloni sproporzionati e le silhouette allargate per contenere e far muovere il corpo, i tessuti riciclati e rilavorati: l’elegante signora artsy che una volta comprava Marni non deve spaventarsi di fronte all’apparente difficoltà di questo nuovo corso. Ma a Milano sono stati giorni fruttosi, dicevamo, e la quantità di belle collezioni viste permette di tirare un bilancio positivo: vanno segnalati gli show di Ferragamo, Fendi e Zegna, a conferma di come questi marchi abbiano tutte le carte per affrontare il loro futuro, Giorgio Armani, ma anche Magliano, che meriterebbe molta più attenzione da parte della stampa, United Standard che questa volta ha scelto la formula giusta della performance statica, e Fabio Quaranta, bravo designer che avremmo voluto non si fermasse, ma che per fortuna è tornato. Funzionava anche la selezione dei designer scelti in collaborazione con il British Fashion Council e presentati allo Spazio 56 di via Savona: marchi giovanissimi, italiani, internazionali. Come vorremmo fosse Milano nel futuro.

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