Attualità

Marine Le Pen non sa se odia o ama gli ebrei

Ha tentato di riposizionare il Front National eliminandone la componente antisemita, ma dalle ultime dichiarazioni continua a giocare sull'ambiguità.

di Anna Momigliano

Quando Jean-Marie Le Pen rilasciò una dichiarazione in cui tentava di ridimensionare la portata dell’Olocausto, nella primavera del 2015, sua figlia Marine Le Pen fu rapidissima nel prendere le distanze: era «una volgare provocazione» che rischiava di «fare terra bruciata» intorno al Front National, portandolo al «suicidio politico», disse la leader dell’estrema destra, in un raro caso di sconfessione frontale del padre. A due anni di distanza, e mentre la Francia si prepara ad andare alle urne, Marine Le Pen ha sollevato un polverone sulla stampa francese e internazionale per via di alcune affermazioni giudicate da più parti in odore di negazionismo: rispondendo a una domanda di un giornalista della radio Rtl, infatti, ha detto che che «non ci sono state responsabilità francesi» nei rastrellamenti del 1942, quando oltre 13 mila ebrei parigini furono deportati nei campi di concentramento.

La dichiarazione della candidata del Front National, che stando ai sondaggi ha buone possibilità di passare il primo turno del 23 aprile, sono state duramente criticate dal governo israeliano e da parte della comunità ebraica francese. «Alcuni avevano dimenticato che Le Pen è la figlia di Jean-Marie Le Pen», ha commentato Emmanuel Macron, il candidato liberal che della Le Pen è il rivale principale (per quanto alcuni sondaggi diano il comunista Jean-Luc Mélenchon in rapida ascesa). Alcuni hanno visto in quell’uscita un semplice gettare la maschera, un’ammissione più o meno implicita dell’antipatia del Front National per gli ebrei. Però altri sono rimasti stupiti, perché negli ultimi anni il partito di estrema destra ha tentato ripetutamente di scrollarsi di dosso l’immagine di forza antisemita, arrivando persino, come ha scritto recentemente il New York Times, a presentarsi come «difensore degli ebrei». Eppure non è che l’ennesimo capitolo di una storia che si trascina da anni, l’approccio schizofrenico di Marine Le Pen nei confronti degli ebrei francesi.

Da quando ha preso le redini del partito, nel gennaio del 2011, Marine Le Pen ha costantemente cercato di allargare la base del Front National, formazione dalla tradizione apertamente antisemita e xenofoba, con una doppia strategia: da un lato puntare sull’attrattiva, sempre più mainstream, di una retorica anti-immigrazione ed anti-islam; dall’altro eliminare dal partito (o dare l’impressione di farlo) della sua componente antisemita come passo indispensabile per entrare nel mainstream. Del resto, questo il ragionamento di Marine, il retaggio antisemita rappresenta più un ostacolo che una risorsa: l’odio contro gli ebrei ha meno appeal del risentimento contro i musulmani, e inoltre offre ai partiti repubblicani un facile appiglio per bollare il Front National come estremista.

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Distaccandosi dall’eredità paterna, dunque, Marine ha lavorato per costruire l’immagine di un Front National non soltanto non-più-antisemita, ma all’occorrenza addirittura filo-semita. Da un lato ha rilasciato spesso dichiarazioni filo-israeliane; dall’altro ha cercato di presentare le proprie posizioni anti-Islam e anti-immigrazione come una difesa degli ebrei francesi, specie dopo gli attentati terroristici alla scuola ebraica di Tolosa nel 2012 e al supermercato kasher di Parigi tre anni dopo. Improvvisamente, attaccando una minoranza (gli arabi e i musulmani), il Front National poteva presentarsi come difensore di un’altra minoranza (gli ebrei francesi).

L’obiettivo non era certo andare alla ricerca dei voti degli ebrei francesi, che sono troppo pochi per avere un impatto elettorale importante (500 mila persone su una popolazione di 66 milioni) ma fare un’operazione di riposizionamento: passare dall’essere percepiti come un partito di nostalgici di Vichy all’essere percepito come unici difensori credibili della Francia dalla minaccia islamista. Sempre in quest’ottica, Marine Le Pen ha sospeso, qualche settimana fa, un dirigente del suo partito sorpreso a mettere in dubbio l’esistenza delle camere a gas.

Eppure, quella sui rastrellamenti del ’42 non è la prima dichiarazione controversa sugli ebrei fatta da Marine Le Pen. Qualche mese fa, sollevando un simile polverone, la candidata aveva annunciato di volere obbligare gli ebrei francesi a rinunciare alla cittadinanza israeliana, qualora ne fossero in possesso, un’affermazione gravissima, perché di fatto si trattava di proporre una legge ad hoc per gli ebrei (per dire, un francese il cui nonno è nato a Oslo può avere la doppia cittadinanza norvegese ma un francese il cui nonno è nato a Tel Aviv non può avere la doppia cittadinanza israeliana). In precedenza, aveva detto che gli ebrei francesi dovevano «sacrificare la kippah», il copricapo ebraico, sull’altare dei valori della laicità.

È evidente che, quando si tratta di ebrei e antisemitismo, il Front National ha una posizione ondivaga. Secondo Politico Europe, le affermazioni controverse sugli ebrei sono «un tentativo di aggraziarsi la base storica del partito, che è ancora leale a suo padre Jean-Marie», però rischiano anche di «allontanare gli elettori che non si riconoscono nell’eredità del movimento. Forse però il rischio di un effetto boomerang è più immaginato che reale: secondo un sondaggio del 2015, il 35 per cento dei francesi è convinto che gli ebrei strumentalizzino l’Olocausto, e tra gli elettori del Front National la percentuale sale al sessanta.

 

Fotografie Getty Images.