Attualità | Coronavirus

Incontri ravvicinati con i No green pass

Fascisti, complottisti ma c'è anche insospettabilmente dell'altro: impressioni da una manifestazione.

di Lorenzo Camerini

Milano, 16 ottobre (Photo by PIERO CRUCIATTI/AFP via Getty Images)

Come quella sul talento di Fedez, sul sedere di una statua e sul rave di Viterbo (per citare una selezione delle più recenti, in ordine sparso) anche la discussione pubblica sul green pass è diventata presto una sfida fra buoni e cattivi, fra giusti e impresentabili, tutti sicurissimi della bontà delle proprie opinioni. Nel mezzo sono tollerate pochissime sfumature, e l’indecisione è un lusso. Non staremo qui a discutere di argomenti scientifici o giuridici, il nostro pensiero a riguardo ha pochissima importanza. Ci sarebbero però altre domande, del tipo che può farsi anche un incompetente: è difficile immaginare che se Salvini fosse oggi presidente del consiglio il video-selfie appello di Aboubakar Soumahoro contro l’obbligo di green pass per i lavoratori avrebbe avuto tutt’altra cassa di risonanza, e milioni di like? Sempre parlando di incongruenze, e riassumendo ai minimi termini: la destra è contro le certificazioni di vaccino, e usa come giustificazione slogan del tipo “my body, my choice”. Non suona forse familiare a certi attivisti di sinistra? La stessa sinistra favorevolissima al green pass, con tutte le sue ragioni, sostenendo che per il bene supremo della Nazione è giusto rinunciare a un bel po’ di libertà, e questo è ok, niente di sconvolgente, i virus mortali e invisibili non tengono conto delle ideologie, e inoltre siamo nel 2021, chissenefrega delle ideologie. Però diciamo che ecco, un certo cortocircuito c’è.

I No green pass stanno piuttosto antipatici alla maggior parte della popolazione vaccinata (ricordiamolo, siamo circa l’80 per cento). D’altronde non c’è da stupirsi: sabato scorso hanno vandalizzato la sede della CGIL a Roma. Sono casinisti, strumentalizzati e hanno torto. La ragione, i buoni e i giusti siedono dall’altra parte, e non mi pare una cosa che si possa dire per tutti i movimenti di piazza. C’è ancora qualcuno che sarebbe disposto a cenare in una saletta interna al ristorante per due ore con Cacciari?

Ma sarà poi vero che le migliaia di persone che si riuniscono in piazza ogni settimana da un paio di mesi son tutti fascisti, forconi e mamme dei gruppi di WhatsApp? Siamo andati a dare un’occhiata questo sabato alle cinque del pomeriggio in Piazza Fontana a Milano, a due passi dal Duomo, quando diecimila persone (la stima è della questura) si sono radunate per protestare contro l’obbligo di green pass.

Chi scrive era abituato alle manifestazioni studentesche dei tempi del liceo, con i raduni in Largo Cairoli al venerdì mattina contro la riforma Moratti. Una partenza, un percorso, moltissimi spinelli, la musica degli Ska-P, un arrivo, tutto lineare e prevedibile, e a passo lento. La manifestazione No green pass ha un altro spartito: si sa dove inizia e non si sa dove arriva, ma ci si va velocemente, facendo più bordello possibile e intasando le vie del centro di Milano, senza capi in testa a indicare la strada. Qualche minuto a insultare i giornalisti (“Venduti! Venduti!”) poi si parte, fra immagini religiose e bandiere italiane. Il corteo dopo poche centinaia di metri affronta lo spirito del tempo quando viene instagrammato dai clienti della terrazza di Giacomo, ristorante ai piani alti del Museo del Novecento dove una cotoletta costa più di venti euro. Qua c’è il primo incontro fra la Milano che dice «io non ho mai la febbre, ho un sistema immunitario della madonna, non mi servono medicinali, faccio tai chi» e la Milano del «ma come, non l’hai ancora fatto? Guarda che se vai all’Hangar Bicocca ti vaccinano gratis mega easy». Non sono vaccinati? Vadano a vedere le torri di Kiefer.

Milano, 16 ottobre (Photo by PIERO CRUCIATTI/AFP via Getty Images)

La manifestazione, dicevamo. C’erano nostalgici del fascismo, di una dittatura che non hanno mai vissuto? Sì. Erano tanti? No, per niente, a me sono sembrati una minoranza insignificante. Cercando di non finire nell’inquadratura delle telecamere di Sky tg24 in Corso Venezia ho parlato con gente normale, osteopate, imprenditori, maestre di terza elementare, chef di paninerie molto famose in città, vecchi hippy con i pantaloni di velluto a zampa d’elefante. Avevano voglia di chiacchierare, tutti con le stesse argomentazioni (“siamo una Repubblica fondata sul lavoro, non sul green pass”, “l’emotività conta quanto la salute”), qualcuno vaccinato, e manifestavano senza imbarazzo gomito a gomito con sciroccati che sbarrano gli occhi mentre ti parlano di terza guerra mondiale e di stermini di massa finalizzati a depopolare il pianeta con vaccini killer. Come è possibile? Che cosa è andato storto? La fine delle ideologie e delle sottoculture (dove sono finiti i punk e i metallari che vedevo pascolare a dozzine per Milano negli anni Zero) ha provocato questa marmellata di scontento e infelicità?

Non mi è sembrato un gruppo unito da un ideale, mi sono sembrate migliaia di persone insoddisfatte che volevano sfogarsi. Quanto c’entrano i social media, e tutti questi mesi che abbiamo passato in casa da soli lo scorso anno? È un problema politico o psicologico? Chi lo sa, sicuramente è un problema, e dire che tutte queste persone sono “fascisti” non li farà sparire come per magia. Torneranno sabato prossimo, infelicissimi, in Piazza Fontana e canteranno “la gente come noi non molla mai” sventolando un cartellone con la faccia di Padre Pio – cercata su google, scaricata in jpeg e stampata nel negozietto all’angolo.