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06:11 giovedì 18 settembre 2025
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

L’invasione franchiana

Un uomo che ha fatto della performace di se stesso una seconda identità: come James Franco è riuscito a "mettere i piedi" ovunque, dall'arte alla letteratura.

10 Settembre 2013

Durante la Settantesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, James Franco è stato il protagonista di una specie di colonizzazione: un film da regista in concorso (Child of God), un altro tratto da una sua raccolta di racconti (Palo Alto) –in cui è pure produttore e attore – un cortometraggio commissionato per l’anniversario del festival… e sul Canal Grande una gigantesca pubblicità Gucci, come a segnalare per bene i confini dell’insediamento. Solo che limiti, James Franco, sembra non averli. È proprio per questo che la credibilità non è il suo forte e la sua versatilità è spesso di dubbia qualità artistica.

La sua figura sembra facilmente riducibile alle due o tre cose che sappiamo di lui; il problema, come scrivono giustamente su Grantland, è che queste cose non sono solo due o tre, e soprattutto non sono così deplorevoli. Il momento in cui molti hanno iniziato a storcere il naso e dato inizio alla litania del “Basta Franco!” è quello più ingiusto e meno democratico: quando l’attore ha iniziato a mostrare velleità intellettuali, interpretando personaggi dell’universo civil-culturale e pubblicando il suo primo libro, Palo Alto appunto. Come prevedibile, la svolta non è stata accolta calorosamente; chissà perché perdura ancora questo brutto pregiudizio della persona piacente che non può dedicarsi alla cultura, poi. Certo il flop di Howl non ha aiutato. Era il 2010 e il regista Rob Epstein, documentarista di fama vincitore di Oscar con The Times of Harvey Milk, si cimentava con una versione romanzata della vita di Allen Ginsberg—dell’interpretazione di Franco hanno detto che era tiepidina e al contempo si è dato il via alle dicerie sulla presunta omosessualità dell’attore. Casualmente però, Franco aveva avuto una parte minore in un altro film su Harvey Milk, uscito due anni prima. È in questo senso che James Franco attore inizia a “fare il giro”, riuscendo a inserirsi in un intrico di “scene”, autori e tematiche che sembrano accoglierlo più per la sua capacità di trovarsi a suo agio ovunque piuttosto per le sue doti di attore.

Nel documentario The Artist is Present, spiega ad avventori un po’ in là con gli anni Marina Abramovich. Quelli poi si stupiscono e chiedono: «Ah, ma lei quindi è un attore?» e lui, sornionissimo, «Sì, sì ogni tanto…».

Fin dai suoi esordi, l’invasione frachiana ha avuto un fido alleato nei festival cinematografici di Berlino e Venezia. Già nel 2011 al Lido si presentava con Sal per la sezione Orizzonti e alla Biennale d’arte con un’opera prodotta in collaborazione con Harmony Korine e curata dal MOCA, Rebel. La doppietta Franco l’ha rifatta alla Berlinale 2013, da regista con Interior. Leather Bar e da attore con Maladies. Inutile a dirlo, in quei giorni lo potevi trovare anche agli opening del circuito artistico berlinese, riuscendo a incuriosire pure il solitamente diffidente pubblico tedesco. Chi andò all’inaugurazione – esposti una serie di quadri sullo spirito dell’adolescenza, raccolti sotto il titolo Gay Town – mi riferì, parole sue, di una “merda urlante”. Difficilissimo tenere il conto e ancora più complesso rispettare la filologia delle fonti, delle collaborazioni, delle amicizie che navigano intorno alla produzione artistica di Franco. Ultima apparizione che personalmente ha fatto un po’ irritare è quella nel documentario The Artist is Present, dove l’attore spiega ad avventori un po’ in là con gli anni la magia di Marina Abramovich. Quelli poi si stupiscono e chiedono: «Ah, ma lei quindi è un attore?» e lui, sornionissimo, «Sì, sì ogni tanto…».

Nel giro di pochi anni, James Franco è riuscito a mettere i piedi ovunque, che siano i salotti un po’ attempati vicini alla storia culturale americana o le più importanti istituzioni d’arte contemporanea. Non contento, cantando Britney Spears, si è intrufolato nel circolo più esclusivo e inaccessibile, quello dell’hype iperconsapevole figlio delle sottoculture degli anni Novanta. Come rapper non è molto credibile, ma Spring Breakers non poteva usare un personaggio più appropriato per unire in una sola scena le generazioni che cantavano Everytime senza alcuna ironia e quelle che, dieci anni più tardi, l’avrebbero recuperato come inno dell’adolescenza perduta nel mare di internet e dalla violenza visiva.

Nessuna di queste esperienze, anche se seguite con immenso trasporto mediatico, hanno suscitato grandissimo entusiasmo da parte dei critici. Infatti al Roast Fest che Comedy Central gli ha dedicato alla fine di agosto, ci sono state battute anche sulla sua facciona da bambino un po’ scemo e sugli occhi minuscoli—senza menzionare l’omosessualità e l’arte contemporanea, che oggigiorno sembrano dare libero accesso allo sfottò gratuito. Ma è stato precisamente con il FrancoRoast che James ha definitivamente messo in chiaro di sapere cosa sta facendo, e bene. Il roasting è quella pratica intraducibile che vuole festeggiare qualcuno prendendolo in giro, una sorta di tributo comico che sancisce l’ingresso tra gli astri delle celebrità. E a ben guardare, le radici di questa virata di immagine risalgono a parecchio tempo prima: è nel 2007 che Franco appare con un cameo in Knocked Up, interpretando se stesso fresco da Spiderman, ma odioso e viziato da Hollywood.

E sarebbe sbagliato avere da ridire, se al prossimo festival del cinema di Venezia presentasse un film girato da, scritto da, prodotto dacon, e per James Franco.

Eppure era già tutto parte dello scherzo, nel film di Judd Apatow, il padrino della nuova cricca di comici/attori come Jonah Hill, Seth Rogen, Danny McBride, Michael Cera e via dicendo. Molti di questi erano presenti allo show di Comedy Central e, soprattutto, nel film apoteosi della franchitudine, This is the End. Prima prova da regista per Seth Rogen, con tutto il cast nel ruolo di se stesso, il film è una sorta di summa della carriera comica di Franco (esempi non eccelsi, Pineapple Express e Your Highness) e della commedia americana recente, quella sì demenziale ma che abbiamo finalmente riconosciuto come di ottima qualità e in grado di parlare a tutti. In This is the End James Franco è James Franco, un uomo che ha fatto della performance di se stesso una specie di seconda identità. E sarebbe sbagliato avere da ridire, se al prossimo festival del cinema di Venezia presentasse un film girato da, scritto da, prodotto da, con, e per James Franco. A fare la differenza tra un megalomane e un genio dei media, ora non è più l’uomo reale che all’anagrafe fa James Franco, quanto forse il consumatore o lo spettatore – più o meno – ideale che incarna. Ecco che James Franco è diventato uno di noi. O forse è il contrario? Ad ogni modo, c’azzecca.

Nell’immagine, Franco alla Roast Fest di Comedy Central. Foto di Jason Merritt/Getty Images for Comedy Central

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