Attualità | Libri

Fidarsi è bene, non fidarsi è peggio

Tutte le crisi di quest'epoca derivano da una mancanza di fiducia, dice nel suo saggio Antonio Sgobba.

di Arnaldo Greco

Ci è capitato in questi mesi di leggere qualcuno che capovolgeva lo slogan della prima ondata dicendo “No, non andrà tutto bene”, con altrettanta retorica di “andrà tutto bene”, si dirà. Ma anche come se “andrà tutto bene” fosse stato uno slogan inventato per gli adulti, e quindi meritevole di riflessioni serie e critiche, e non per i bambini. Una di quelle frasi facili, da film, che si possono dire al massimo come augurio.

Il fatto che qualcuno si fosse fidato di quell'”andrà tutto bene” come fosse un progetto realistico è qualcosa che mi è tornato in mente di continuo leggendo La società della fiducia di Antonio Sgobba (Il Saggiatore), un saggio su come tutte le crisi della società attuale possano ricondursi, in qualche modo, a una crisi della fiducia. Una crisi verticale, nei confronti del potere politico, del giornalismo, della scienza e una crisi orizzontale, dei cittadini tra loro. Aveva ragione Aristotele, ricorda Sgobba, l’uomo è un animale sociale. Pure in una società in cui l’economia dà valore a ogni aspetto, la sua ambizione di riconoscimento sociale è prioritaria.

La prima ondata aveva visto molti cittadini stringersi attorno ai governi, attribuendogli dei meriti, in molti casi, immotivati – vedi anche i governatori salutati come salvatori della patria, con plebisciti che già adesso sarebbero irripetibili – ma quantomeno non aveva illuso nessuno sul fatto che potesse tornare fiducia nella politica. La scienza, invece, avrebbe potuto “sfruttare” la pandemia per ricostruire la propria autorevolezza. E invece non è successo. Anzi. Secondo Sgobba perché la scienza continua a illudersi di poter apparire estranea alla vita, mentre dovrebbe saper spiegare i propri valori. Così come il giornalismo dovrebbe rinunciare all’idea di apparire neutrale, come diceva in straordinario anticipo Umberto Eco, e spiegare le ragioni della sua non-neutralità. Dovremmo tutti accettare che il principio di autorità è saltato, dunque dovrebbero tutti comprendere che l’autorità non va riconquistata, ma continuamente motivata.

Anche Crisanti che dichiara di non vaccinarsi ci parla di una mancanza di fiducia. Perché la sua richiesta di guardare i dati ci dice che non ha fiducia nelle aziende che hanno prodotto il vaccino, non ha fiducia nei suoi dirigenti (che accusa di aver venduto le azioni della propria azienda, dimostrando di aver perlomeno letto poco di economia negli ultimi anni), soprattutto non ha fiducia in qualsiasi istituzione di controllo: italiana, europea, statunitense, mondiale. (Oltretutto il complotto di Crisanti sarebbe più assurdo del complotto del finto sbarco sulla luna, coinvolgerebbe ancora più persone e poteri). Di conseguenza i cittadini non hanno fiducia nella scienza, ma hanno fiducia negli scienziati, come fossero leader. Così c’è quello che crede a Bassetti e quello che crede a Zangrillo.

Allo stesso tempo questa del “vedere i dati” più che con San Tommaso ha a che fare con una questione epistemologica antichissima: come possiamo fidarci dell’esperienza di qualcun altro? Possiamo credere alla verità se non abbiamo assistito a ciò di cui si parla? Possiamo condannare una persona a passare una vita in carcere solo per il racconto di un altro? Sgobba ripercorre come la questione sia stata affrontata dalla filosofia greca a Locke, ma che, ai giorni nostri, diventa: possiamo scaricare Immuni? Possiamo fidarci che il nostro vicino di casa positivo al Covid-19 non vada a gettare la sua spazzatura negli spazi comuni? E ancora: possiamo fidarci di un infermiere che vive nel palazzo o degli emigrati che vogliono tornare a casa per le feste di Natale?

Non si fidano i cittadini, l’uno dell’altro. Non si fidano delle regole decise dal governo. Né il governo si fida di loro e, infatti, propone delle regole che sa astruse proprio perché non si fida. Di cosa, poi? Di un tracciamento saltato. E non si fidano i genitori che la scuola possa o sappia far rispettare le distanze. Non si fidano che sia davvero riparata dai contagi, non si fidano degli altri genitori, ma non possono dirglielo apertamente. Perché non si fidano di cosa poi potrebbe accadere se fossero sinceri.

«Non c’è fiducia senza incertezza», si legge nel libro, dunque siamo tutti diventati maniaci del controllo. «Fidati, ma verifica», diceva Ronald Reagan, mutuando, però, un antico proverbio russo – come racconta Masha Gessen nel meraviglioso Il futuro è storia – particolarmente efficace nei momenti più bui del regime comunista. Perché sotto Stalin era conveniente avere il minor numero di contatti sociali possibile, dietro ogni contatto poteva nascondersi un traditore. Come in questa epidemia.

Sgobba mette assieme molto di quando abbiamo imparato su post verità, camere dell’eco e bolle negli ultimi anni, dai libri di Zuboff, Morozov, Lanier, Ginzburg e altri ancora. E varrebbe la pena leggerlo solo per come riassume i saggi altrui. Ma, come recita il sottotitolo, l’analisi parte da molto più lontano, da Platone, dalla filosofia greca e da Tucidide che spiega come la fine della democrazia ad Atene sia una conseguenza della peste e della fine della fiducia tra i cittadini. Si potrebbe rimanere senza speranze per il futuro, ma Sgobba sembra nutrirne qualcuna in più. Soprattutto sembra credere che la fiducia non solo sia utile alle società, ma sia addirittura, in qualche modo, una “qualità” umana. Perfino dando un’occhiata alla litigiosità del piccolo dibattito culturale italiano sembra incredibile. Ma, forse, dobbiamo fidarci di lui.