Attualità

Il Tempo Veltroniano

Alla presentazione romana del nuovo film di Walter Veltroni. Fotografia di un potere plebliscitario che sembra non finire mai.

di Michele Masneri

Administrators Of Rome And Lazio Meet With Pope Benedict XVI

Se ci fossero dei golpisti astuti in Italia non ci sarebbe da mettere bombe su treni o aerei o tralicci televisivi ma basterebbe circondare l’Auditorium romano in eventi veltroniani. Le tre principali cariche dello Stato (presidente della Repubblica, del Senato e della Camera), otto ministri tra cui quello dell’Economia Padoan scortato più di Obama, non si sa perché; un numero imprecisato di sottosegretari, i capogruppo alla Camera e al Senato, la Camusso. Autorità civili e militari. Tutti intervenuti martedì sera nel sancta sanctorum veltroniano, l’Auditorium di Renzo Piano, inaugurato nel 2002 da Veltroni medesimo in veste di sindaco.

Qui il potere plebiscitario veltroniano si esprimeva nel suo ultimo volto, quello cinematografico: dopo Ti ricordi Berlinguer, dello scorso anno, martedì si proiettava l’anteprima di I bambini sanno. Il potere plebiscitario veltroniano martedì generava cortocircuiti, anche: alle nove della sera, una voce nell’altoparlante dice «tra cinque minuti arriverà il presidente della Repubblica», e come si sa, per cerimoniale, il presidente dev’essere l’ultimo ad arrivare e il primo ad andarsene. Quindi si è pregati di prendere posto, ma alle nove passate si fanno ancora molti convenevoli e ci si saluta, e non ci si siede, e il messaggio si fa insistente «il presidente della Repubblica sta arrivando», e ancora spettatori si siedono e salutano, e fanno segno, «sì, sì dopo», e mandano baci, dalla platea alla galleria, dalla galleria alla platea. E si indugia. Dunque ancora un annuncio: «il presidente della Repubblica sta per entrare», e allora ecco un corteo che entra finalmente a metà della platea della macchina architettonica suprema veltroniana: tutti si alzano in piedi, e applaudono. Ma è Napolitano, con la moglie Clio.

I due salutano presidenzialmente la folla, che continua ad applaudire, e nessuno sembra rendersi conto della surrealtà del momento. E il tempo sembra essersi fermato. Siamo al Veltroni sindaco, al Veltroni candidato premier, siamo in una fiction da un’idea di Stefano Accorsi? Siamo nel tempo veltroniano, che forse non ha confini, e infatti mentre gli applausi scemano poi arriva anche il vero presidente, Mattarella, e va a sedersi proprio al centro della platea con grande chioma bianca, accanto a Grasso e Boldrini.

Quant'è bella giovinezza
Walter Veltroni sindaco di Roma

Però in fondo avere due presidenti, o meglio “Mattarella ma anche Napolitano”, come da tormentone veltroniano d’epoca, pare la miglior rappresentazione di un soft power romano che oltrepassa i palazzi: oltre al governo e al controgoverno, in platea Pippo Baudo ma anche Lorella Cuccarini; Luca Lotti ma anche la Camusso. Antonello Venditti ma anche Ettore Scola; il capo di stato maggiore dell’Esercito ma anche quello della Marina; il prefetto di Roma ma anche il Questore; il sindaco Marino in bicicletta ma anche il probabile sfidante Alfio Marchini. E tutti giurano che anche il premier-che-non-esce-di-casa, Matteo Renzi, ha confermato la sua presenza; salvo ripensamenti dell’ultim’ora, e forse per non lasciare senza una guida il Paese nel caso di un attacco all’Auditorium, col Paese privo di organi costituzionali (ma forse lo spazio aereo sul quartiere Flaminio era stato chiuso).

«Non si era mai vista una cosa del genere. Mai», dicevano cronisti anche dei meno impressionabili. E tra tutte le autorità e i notabili c’era poi anche Gianni Letta, che il giorno dopo avrebbe festeggiato gli ottant’anni, e forse si consumava anche un passaggio di testimone, perché un potere romano ecumenico che passa per palazzo Chigi ma anche per Cinecittà, a Roma l’hanno avuto solo Andreotti prima, poi Letta e poi Veltroni; tutti e tre molto interessati di spettacolo, come è noto, e Letta, come Veltroni, è stato direttore di giornale oltre che politico. Però alla dimensione curiale e vaticana e municipale, Veltroni ha aggiunto naturalmente quella pop: all’Unità inventò le Vhs che in tanti abbiamo ancora in casa, affezionate e impolverate, coi capolavori del cinema; e inventava poi proprio l’Auditorium e la Festa del cinema, che prima delle crisi e delle recessioni e dell’implosione di Roma Capitale voleva far concorrenza a Venezia; e poi quella relazione speciale col mondo dell’immaginario, con cantanti calciatori cineasti: sposato da Francesco De Gregori testimone di nozze, e poi sposatore lui in proprio di George Clooney; da vicepresidente del Consiglio nel Prodi I, la scelta non di un primario ministero (Difesa, Esteri, Economia) ma invece la Cultura, e il suo amico Spettacolo.

Nascevano così, nel Tempo Veltroniano invariabile, le Notti bianche e la riapertura della Galleria Borghese, e il suo «non si interrompe un’emozione» applicato alla cattiva maestra Tv che mandava i consigli per gli acquisti faceva tutt’uno con la sua attività da sindaco e da comunicatore full-time. Nasceva tutto un immaginario: il Colosseo e il Campidoglio e gli altri monumenti romani illuminati in tutti i primari rapimenti/restituzioni/ammazzamenti di ostaggi, dalle Due Simone in poi; la Festa del cinema, sempre, le figurine Panini, e un’epopea dei deboli, tanti deboli: «i suoi romanzi, i suoi musei, le sue foto accattivanti, i suoi cd e dvd alla moda solidale, i suoi “villaggi della pace” e i suoi “parchi della memoria”, e poi gli artisti e gli sportivi disabili, gli ex deportati, gli eroi senegalesi, gli ultrà pentiti, le donne minacciate di lapidazione, i vecchietti rallegrati da Totti, i dipendenti comunali in permesso per volontariato, i barboni massacrati e poi premiati per il loro coraggio civico» secondo Filippo Ceccarelli.

Se la politica italiana è il proseguimento del liceo con altri mezzi, come scrive Andrea Minuz, Veltroni non aveva fatto il liceo.

Ma anche Bob Kennedy e le camicie bianche, la decolonizzazione, il Sudamerica e il Piccolo Principe e un leggendario ufficio stampa che mandava cordogli e necrologi entro trenta secondi dai primi flash di decessi illustri (si facevano scommesse con amici in agenzie di stampa, all’epoca). E poi i romanzi, e una narrazione tra Dickens e Incompreso e Lonely Planet: Forse Dio è malato (2000), storie di sofferenze e mali di vivere tra il Mozambico e i bambini-soldato; e Senza Patricio (2004), padri e figli che si perdono tra torture e dittature argentine delle peggiori; e La scoperta dell’alba (2006) con due fratelli, la bambina down Stella e il fratello di Stella, Lorenzo, «uno dei ragazzi con cui sono andato ad Auschwitz o in Mozambico».

Se la politica italiana è il proseguimento del liceo con altri mezzi, come ha scritto Andrea Minuz, Veltroni non aveva fatto il liceo ma l’Istituto professionale per cineoperatori. E la produzione di immaginario però funzionava: nel 2004 un sondaggio rivelò che Veltroni piaceva all’82% dei romani. E ci fu la famosa stagione delle interviste a cantanti attori registi, che alla fatidica domanda “per chi vota”, normalmente non scoprendosi mai per non perdere benemerenze e rendite di posizione, rispondevano tutti ugualmente compatti: “potrei votare per Veltroni. Ecco, sì, lui è diverso”.

Sondaggi forse validi anche oggi nello spazio-tempo veltroniano dilatato della Ztl romana. Dunque, martedì, spasmodiche e masochistiche ricerche di biglietti all’ultimo momento, e telefonate in preda a attacchi isterici a Sky, ecco tutti convitati all’Auditorium per questo film sui bambini, tutti un po’ bofonchianti dopo la prima ora (con commenti dei più cinici, a bassissima voce: «ma dopo il morto e i bambini, cosa farà?»; «Beh, rimangono i senzatetto, gli anziani…») e però in fondo tutti felici di esserci, come in una grande corazzata Potemkin romana non di impiegati ma di “Amici di Walter” (e altri commenti: «quello chiama tutti, uno per uno; è così che si fa, impara»; e infatti, il giorno dopo, puntuali come la morte, sms di Walter in persona: »allora, come ti è parso?»).

Intanto ecco questo bambino rom, Marius, che non ha mai visto il mare, e corre, corre, come nei Quattrocento colpi, verso la spiaggia; e poi loro, gli altri bambini, portatori di veltronismo in purezza: il nipote di una vittima delle Br, la figlia della famiglia metalmeccanica di Piombino, la figlia felice di coppia gay, la bambina down dolcissima e stupenda. Marius corre verso il mare, su musica di Fiorella Mannoia. E così anche il cinismo tremendo romano nulla può, alla fine: alla fine si è pianto tanto, si è stati tutti insieme. Si è stati benissimo. Senza Patricio ma con Marius: e pazienza per i movimenti di macchina poco comprensibili e per riflessioni angosciose su questa primavera del cinema italiano che ci aspetta – questi Bambini, insieme a questa Madre morettiana in agguato. Pare d’essere in una regressione totale da psicanalisi delle peggiori Cognizioni del dolore. Pazienza: qui, nella cameretta veltroniana dell’Auditorium, rivogliamo le figurine Panini e le vhs. Poi i bambini veltroniani sfilano dal vivo a salutare uno dei due presidenti, Mattarella, che li passa in rassegna con composta, molto composta partecipazione. Niente a che vedere naturalmente con il caldo abbraccio di Walter.

 

Immagine in evidenza via Getty Images.