Attualità

Nella Mecca della letteratura

Una visita all'Harry Ransom Center, l'archivio dove sono conservate le carte dei più grandi scrittori della contemporaneità.

di Marta Ciccolari Micaldi

Nell’intervista che accompagna la cessione del proprio archivio all’Harry Ransom Center di Austin, Texas, Ian McEwan dice, come prima cosa, che gli scrittori tendono a dimenticare molto rapidamente le strade che hanno deciso di non percorrere. Credo che questa dimenticanza riguardi anche noi lettori. Nella relazione che instauriamo con un libro diventiamo inconsapevoli che quella che abbiamo tra le mani è solo una delle infinite storie possibili che un autore è riuscito a scrivere, dimentichiamo che da qualche parte, alcune di quelle infinite storie possibili esistono ancora: bozze, romanzi iniziati e mai finiti, racconti in forma di appunti, confronti con i colleghi o gli editori, note a margine di un manoscritto, lettere, mail, schizzi. A volte anche fotografie e poster, a volte i registri dei corsi di scrittura.

Harry Huntt Ransom, professore e fondatore di quel centro a cui McEwan ha recentemente ceduto il proprio archivio, di questa dimenticanza non si è mai reso colpevole. Al contrario, durante la sua lunga carriera di insegnante, preside e presidente della University of Texas, Ransom si è battuto soprattutto per il contesto: per capire la letteratura – sosteneva – non sono sufficienti i libri finiti ma è importante soprattutto il contesto in cui quei libri nascono. È necessario conoscere quel contesto e studiarlo come si studiano i libri.

I primi destinatari della sua missione di metà Novecento furono senz’altro gli studenti della sua università, eppure a distanza di decenni l’influenza della sua intuizione è arrivata a farsi sentire ben oltre i confini del Texas: l’Harry Ransom Center è oggi un’istituzione per qualsiasi studioso, curioso o fan che voglia conoscere qualcosa di più sui più grandi scrittori della contemporaneità. E fan, nel caso di questa Mecca della letteratura, non è una parola che suona male.

Accostando al noto orgoglio texano (I propose that there be established somewhere in Texas — let’s say in the capital city — a center of cultural compass, a research center to be the Bibliothèque Nationale of the only state that started out as an independent nation) un’intelligente visione della letteratura come arte e intrattenimento, Ransom ha permesso che i confini del suo centro diventassero negli anni sempre più inclusivi. Gli archivi, infatti, sono consultabili gratuitamente da chiunque abbia una buona ragione per farlo, e tale ragione – scrive lui stesso – può non essere esclusivamente lo studio: anche il puro e semplice piacere (enjoyment) vale come legittima carta d’ingresso. Ed è così, in effetti, che sono entrata anche io: per divertirmi.

Il centro si trova dentro il campus universitario della University of Texas, diversi studenti passeggiano fuori tra una lezione e l’altra, la luce calda del West mette in risalto i ritratti degli scrittori e degli artisti che adornano le pareti vetrate dell’edificio, stemperando così la sua geometrica modernità in una brillante trasparenza senza tempo. Il divertimento inizia già al piano inferiore, quello museale, il più frequentato dai visitatori occasionali e dagli studenti, il piano dedicato alle sorprese: prima ancora di varcare l’ingresso del museo, infatti, mi imbatto in due numeri primi. Da un lato una delle 21 copie conosciute della Bibbia di Gutenberg, stampata tra il 1450 e il 1455; dall’altro la prima fotografia della storia, realizzata da Joseph Nicéphore Niépce nel 1826 o 1827 dalla finestra di casa sua a Le Gras, in Francia.

Chiarito subito, sulla soglia, il concetto che si è al cospetto di qualcosa di grande, in Stories to Tell, la prima parte del museo in cui metto piede, si racconta com’è cresciuto l’Harry Ransom Center dalla sua fondazione a oggi. Non soltanto un archivio di libri capitali, non soltanto un centro studi o un museo, ma soprattutto un’istituzione culturale che opera per un semplice proposito: condividere e onorare il processo creativo. Un necessario passo indietro, a questo punto: il processo creativo di chi? Quando Harry Ransom decise di fondare il suo centro a Austin sapeva molto bene che non avrebbe mai potuto competere con i grandi archivi di libri antichi del mondo. Troppo tardi, troppo lontano dal cuore della sua missione. Per tale ragione decise di concentrarsi sulla modernità, sugli scrittori e sugli scritti del suo momento storico, sugli autori che erano grandi ora e che potevano essere ancora in vita.

Sam Shepard, ad esempio, era solito arrivare al centro con il suo pick up pieno di carte, appunti, diari, probabilmente reduce da uno dei suoi poetici vagabondaggi per il paese, e glieli donava. William Faulkner non si recò mai al centro di persona, ovviamente, ma di lui sappiamo che era un raffinatissimo illustratore e che i suoi taccuini si avvicinavano spaventosamente alla perfezione. Di Edgard Allan Poe possiamo esaminare la scrivania su cui il suo processo creativo avveniva, mentre dell’adorata serie tv Mad Men sappiamo quasi tutto il dietro le quinte.

Dai grandissimi del Novecento americano alle sceneggiature dei Duemila, dai memorabilia più privati alle prove di copertina dei libri, dal canadese Michael Ondaatje all’italiano Alberto Moravia, dai dipinti di Dante Gabriel Rossetti alle bozze de Il Re pallido di David Foster Wallace, mentre cammino per le sale del museo mi chiedo quanto possa essere generosa, talvolta, la visione dell’umanità che hanno certi individui e mi scopro a ringraziare Mr Ransom per quello che ha deciso di donarci.

Qualche grande numero. Il centro ospita: 36 milioni di manoscritti, 1 milione di libri rari, 5 milioni di fotografie e 100 mila opere d’arte. È recentissima l’acquisizione di 10 mila locandine cinematografiche dagli anni Cinquanta a oggi da digitalizzare e aggiungere alle altrettanto recenti fotografie dell’intera vita personale di Gabo. Sono qui conservati: i diari di John Steinbeck mentre scriveva Furore e quelli di Jack Kerouac mentre si stava preparando a scrivere Sulla strada; gli interi archivi personali di Gabriel García Márquez (comprati per 2 milioni di dollari, come quelli di McEwan); una dichiarazione ufficiale di Napoleone e tre copie del First Folio di Shakespeare; i manoscritti e la corrispondenza di Don DeLillo, Joy Williams, David Foster Wallace, Robert De Niro, Tennessee Williams, Doris Lessing, Samuel Beckett, Julian Barnes, J.M. Coetzee, James Joyce, Sam Shepard, Lewis Carroll e molto, molto altro.

E infine salgo al piano di sopra. Il piano dove si scatena il vero divertimento del fan. Per accedere agli archivi occorre registrarsi, creare un account personale e guardare un breve video che spiega come consultare il materiale, con tutte le dovute precauzioni del caso (per esempio occhio alle maniche, mai strisciarle sui fogli). Si abbandona qualsiasi oggetto personale fatta eccezione per il computer e il cellulare, se necessari, e si entra dentro la sala consultazione: legno scuro, lampade dorate, moquette rossa, un profondo silenzio e neanche un quaderno sulle scrivanie, solo fogli gialli e matite gialle uguali per tutti, forniti dal centro. Fare foto si può, ma solo per uso personale.

Sui sei schermi posti nell’angolo di fianco al desk si sfoglia l’indice online e si fanno i primi ordini. I primi perché sì, viene una gran voglia di richiedere più di quanto l’occhio possa vedere, e per fortuna che c’è un limite imposto dall’alto: 5 faldoni, e basta. Io richiedo gli appunti personali di David Foster Wallace, la corrispondenza di Don DeLillo e quella di Joy Williams. Quando arrivano i 5 faldoni so cosa fare perché le spiegazioni sono state molto precise: un faldone alla volta sul tavolo davanti al desk, lo apri, lo ispezioni, prelevi la cartellina desiderata, vai alla tua scrivania e la consulti. Un faldone alla volta, una cartellina alla volta. E poi, quando sei seduto, un intero mondo privato che ti si apre davanti.

Gli scrittori amano mandarsi ancora le cartoline, Don e Dave se ne sono mandate decine. Anche Jonathan Franzen e Jonathan Safran Foer hanno scritto a Don, le loro cartoline sono simpatiche, ma non sono abbondanti come quelle di Dave. Lui studiava le opere di DeLillo annotando per ogni pagina i suoi pensieri e le parole, o i passi, che più lo colpivano. E poi gliene parlava nelle cartoline o nelle lettere. La copia del dattiloscritto di Underworld posseduta da Wallace è divertimento puro. Lo sono anche i suoi appunti sul materiale didattico da dare agli studenti, lo è la corrispondenza con i suoi agenti che gli inoltrano le richieste di una certa Martina Testa che dall’Italia sta traducendo la sua opera. Paul Auster e Don DeLillo vanno ai reading insieme, mentre Don con la moglie Barbara va spesso a casa di Joy Williams in Arizona, quando lei e il marito sono a Key West. Joy Williams è innervosita dal fatto che, durante il suo incarico di insegnante a Austin, le abbiano affidato uno studio nel basement, accanto alla macchinetta degli snack che sibila, mentre a Marilynne Robinson hanno riservato un ufficio di tutto punto. Nella prima lettera a Don, Joy chiude con: vieni anche tu al Christmas Party di Esquire quest’anno? È il 1987, suo marito è il direttore della rivista.

Faccio avanti e indietro dalla mia scrivania di consultazione al tavolo dello “smistamento” decine di volte: ho troppo poco tempo e troppi pochi occhi per leggere tutto quello che vorrei. Dovrò rimandare alla prossima volta la visione della copia di Meridiano di sangue di Cormac McCarthy posseduta e appuntata da Wallace così come delle opere di Pirandello che sono qui invece di essere in Italia.

Quando è ora di lasciare la sala mi porto dietro il suo silenzio. Scendo le scale, torno al piano terra, spingo la pesante porta dalla quale ero entrata ore prima e lascio il vetrato tempio della letteratura contemporanea a riflettere un meraviglioso tramonto come un altro. Il Texas è un posto lontano, più vicino nel nostro immaginario al selvaggio West che al raffinato lavoro di raccolta e conservazione di un illuminato professore. L’Harry Ransom Center non solo smentisce questo stereotipo forgiato dal tempo e dal cinema, ma ci offre anche la possibilità di ribaltarlo: Austin è come il processo creativo, pensiamo di sapere quale sia il suo risultato finito eppure a sorprenderci è tutto il resto.

 

Immagini dell’edificio tratte dal sito di fd2sDesign Consultants
Ultima immagine: appunti per “Il Re Pallido” di David Foster Wallace, dall’archivio digitale dell’Harry Ransom Centre