Attualità
Guida al Sud America nel Mondiale 2014
Le sei nazionali sudamericane che giocheranno in Brasile, nel giugno 2014, analizzate per punti. Quelli deboli, quelli forti, quelli di domanda.
Entri in un bar, ordini qualcosa di forte. Fuori un caldo mai visto. La camicia bagnata si incolla alla schiena, sudata la fronte. L’altro uomo dentro al locale siede due tavoli più in là del tuo, sembra il fantasma di Obdulio Varela. Ah, Obdulio. L’ultima volta che l’hanno visto bere era il 1950, luglio, notte profonda. Lui e quegli altri farabutti uruguaiani avevano messo in ginocchio il Brasile, che aveva creduto di vincere il Mondiale soltanto perché lo giocava in casa. Beh, alla fine era andata in un altro modo. Dopo la partita Obdulio Varela aveva fatto il giro dei bar di Rio a bere birra abbracciato agli sconfitti. I brasiliani piangevano. Nessuno lo riconobbe. Poi, cappello da Humphrey Bogart calato in fronte, prese un volo con la squadra Campione del Mondo, la sua, e tornò in patria dove venne accolto da eroe. Eduardo Galeano lo ha raccontato perché diventasse leggenda. Fatti un sorso di calcio ammantato di saudade e chiudi gli occhi: è da quella storia lì che bisogna ripartire.
Quasi tutti pensiamo che i prossimi saranno i Mondiali di Felipão Scolari e del suo Brasile. C’è una ragione? C’è una ragione vagamente reale, o è la vittoria dell’ultima Confederations Cup ad aver creato un sostrato nelle nostre fragili menti? E ancora: il Brasile è davvero invincibile o è soltanto il fallimento della storia a chiederci un risarcimento? La sconfitta del Maracanã causò disperazione e morte, tanti furono i suicidi, eppure quel dramma servì a generare la stirpe brasiliana che va da Pelé a Neymar: squadre imbattibili o quasi imbattibili, che hanno vinto cinque titoli, regalato spettacolo, fatto nascere invidiosi, emulanti, appassionati. Per chi invece crede nella ciclicità degli eventi, quello del 2014 sarà un elettrizzante nuovo capitombolo, la caduta degli idoli del Terzo Millennio. Lo sogna nuovamente l’Uruguay, che al Mondiale ci è arrivato battendo la Giordania in uno spareggio senza finale a sorpresa. Ci spera l’Argentina, che vuole cucirsi addosso il titolo in casa dei rivali di sempre. C’è la Colombia, che ha una squadra fortissima ma come un sicario preferisce rimanere avvolto dalla nebbia e nascondersi un po’. L’Ecuador ha fame e vuole emergere. Il Cile dice sempre la sua ogni volta che va a disputare un Campionato del Mondo. Il Sudamerica aspetta.
Questa è una mini-guida per punti non pretenziosa e che non guarda l’Europa. Resta entro i confini del Sudamerica e delle sue squadre (in ordine alfabetico) che giocheranno e si giocheranno la Coppa del Mondo. C’è dentro qualche curiosità, una manciata di nomi (che in questi casi sono un cliché imprescindibile) e una velata forma di ossessione: la ricerca della favorita. Perché, parliamoci chiaro vecchio Obdulio, anche questa volta non tutto è (verde)oro quello che luccica.
La squadra: La Seleccion è stata la prima squadra della zona sudamericana a qualificarsi per Brasile 2014, con due partite d’anticipo, a settembre. Due volte campione del Mondo, nel ’78 in casa e nell’86 in Messico, l’Argentina in altre due occasioni è stata sconfitta in finale: nella prima edizione in Uruguay (1930), vinta dai padroni di casa, e nel Mondiale italiano del ’90, vinto dai tedeschi. Il ct è Alejandro Sabella, argentino di Buenos Aires, ex centrocampista. Giocò anche in Nazionale, nell’83-84, con Bilardo ct.
La struttura: Fin troppo facile: Lionel Messi. È lui la stella.
La curiosità: Per risolvere il problema della difesa, Sabella recentemente ha fatto un viaggio in Europa al termine del quale ha convocato per la prima volta il viola Facundo Roncaglia e il terzino sinistro Lucas Orban (Bordeaux); poi ha richiamato dopo oltre due anni Nicolas Otamendi, del Porto. Sembrerà strano, ma il sistema di gioco non consiste nel: “Datela a Messi che ci pensa lui”.
La minaccia: Il sindaco di Rio de Janeiro ha rappresentato bene quella che è la grande paura di tutti i brasiliani in vista del Mondiale in casa. Eduardo Paes è stato chiaro al riguardo: «Se dovesse vincere l’Argentina, magari battendo in finale il Brasile, mi suicido. L’Argentina ha già Messi. Adesso ha addirittura il Papa. Non possono pretendere tutto: il Mondiale lo lascino a noi». Insomma, sarebbe una replica di quanto successo nel 1950.
La motivazione: Vogliono profanare il suolo dei rivali. Nel nome del Padre, del Figlio e per Maradona. Anche questa è una guerra di nervi.
La squadra: Nessuno ha vinto come la Seleção: cinque Mondiali (1958, 1962, 1970, 1994, 2002). E il Brasile è l’unica Nazionale ad aver partecipato a tutte le edizioni dei Mondiali dal 1930 a oggi. Non ha mai vinto, però, in casa. Fra l’altro, l’unico Mondiale in Brasile risale al 1950, quello della famosa finale persa contro l’Uruguay. Il ct è Luiz Felipe Scolari, tornato dopo l’Olimpiade di Londra: con lui in panchina il Brasile vinse il Mondiale del 2002. A giugno ha vinto la Confederations Cup, una prova generale di quello che succederà l’anno prossimo. O almeno è quello che spera lui.
La struttura: Neymar, e ok. Ma i talenti sono molti: Oscar che gioca nel Chelsea, Lucas, Maxwell e Marquinhos nel Psg. In difesa c’è Dante (Bayern Monaco) e a centrocampo Hernanes, il Profeta.
La curiosità: La Bbc ha denunciato uno scandalo a proposito delle condizioni di vita degli operai impegnati nei lavori in vista dei Mondiali. Un’inchiesta sull’ampliamento dell’aeroporto di San Paolo ha rivelato che ci sarebbero 111 operai costretti a vivere in alloggi di fortuna in cantiere: vengono dalle regioni più povere del Paese, sono pagati poco più di 160 euro al mese, mentre gliene erano stati promessi quasi 500.
L’abiura: Diego Costa, 25 anni, attaccante brasiliano con passaporto spagnolo che gioca nell’Atletico Madrid, è al centro di un caso. A febbraio si era parlato di una sua convocazione nella Spagna, ma Scolari ha giocato d’anticipo chiamandolo per le amichevoli contro Italia e Russia e facendolo debuttare con la Seleção. A luglio ha ottenuto la cittadinanza spagnola e a settembre la federazione campione del mondo ha chiesto ufficialmente di poterlo convocare. Il giocatore ha detto di voler giocare con la Spagna. E ha aggiunto: «Esultare in caso di gol al Brasile con la nazionale spagnola? Perché no?». I brasiliani, Scolari in testa, non l’hanno presa bene. A fine ottobre Diego Costa ha firmato un documento con il quale rinuncia alla nazionalità brasiliana, optando definitivamente per la Furie Rosse.
La motivazione: Basteranno i 198 milioni di brasiliani?
La squadra: Per la Roja è il secondo Mondiale di fila, il nono della storia. Nel 2013 il Cile ha perso una sola partita, ne ha vinte 9 e ha pareggiato contro Brasile, Spagna e Colombia. Da meno di un anno il ct è l’argentino Jorge Sampaoli, ex calciatore senza talento che dopo un grave infortunio si mise a lavorare in banca e fece per un periodo il giudice di pace.
Le stelle: Al fianco di titolari conclamati come Jorge Valdivia, Mauricio Isla, Gary Medel, Carlos Carmona, David Pizarro, Mauricio Pinilla, Mati Fernandez e Alexis Sanchez, si affacciano giovani di talento e di sicuro avvenire: da José Rojas a José Pedro Fuenzalida per arrivare al più forte di tutti, Charles Aranguiz. Ah, sì: poi c’è Arturo Vidal.
La curiosità: Il 15 novembre, davanti a 63mila spettatori di cui 3mila cileni, la Roja (senza Vidal, infortunato) ha vinto in casa dell’Inghilterra per la seconda volta nella storia: l’eroe del giorno è stato el Niño Maravilla Sanchez, autore di una doppietta. La prima volta, era l’11 febbraio 1998, era stato Marcelo Salas a firmare il successo cileno.
Il ricordo: Il Cile è la squadra che umiliò l’Italia ai Mondiali in casa, nel 1962, con l’aiuto dell’arbitro inglese Ken Aston. Gli azzurri – con tre allenatori: Ferrari, Spadacini e Mazza – rimasero in 9 dopo pochi minuti per le espulsioni di Ferrini e David, con Maschio messo praticamente fuori gioco da un pugno in faccia di Leonel Sanchez, figlio d’arte: suo padre Juan era stato un campione di pugilato. Crollo finale degli azzurri, 2-0 il risultato. Quella partita è passata alla storia del calcio come “la battaglia di Santiago”.
La motivazione: Sono stanchi di vivere all’ombra di Marcelo Salas e Ivan Zamorano.
La squadra: Va al Mondiale come testa di serie (al contrario dell’Italia) e con l’etichetta di possibile sorpresa. I tifosi riassaporano i tempi del Mondiale italiano (la Colombia uscì agli ottavi) e del successo nella Copa America in casa (2001). Il ct è l’argentino José Pekerman, che ha già guidato – senza successo – l’Argentina ai Mondiali del 2006.
La struttura: Il talento è il tratto distintivo di questa Nazionale dal gioco spettacolare. La qualificazione l’hanno centrata in rimonta, e che rimonta: il Cile vinceva 3-0. È finita pari. In attacco c’è l’imbarazzo della scelta: Radamel Falcao e Jackson Martinez, Ibarbo, Armero e Cuadrado sulle fasce, e gli altri “italiani” Zapata, Zuniga, Yepes. C’è anche il sosia (o qualcosa del genere) di Ronaldo il Fenomeno: è Muriel che gioca nell’Udinese.
La curiosità: Juan Cuadrado è soprannominato “El Medusa” per i suoi capelli. A Firenze, dove gioca, lo chiamano “il Vespa”: è stato Luca Toni a trovargli il nome, quando ha visto quanto correva.
La polemica: I tifosi sono infuriati perché la maglia (gialla) per i Mondiali assomiglia a quella dell’Ecuador e ha smarrito il tradizionale tricolore. Non ha rasserenato gli animi un tweet di Adidas Colombia: «Se non vi piace la nuova maglia della Nazionale potete anche non comprarla, mandria di decerebrati. In Colombia siete solo bravi a criticare». L’azienda si è dovuta prontamente scusare per l’incidente.
La motivazione: Quando erano piccoli sentivano parlare dello stregone Valderrama, di quel mattacchione di Faustino Asprilla e di un portiere pazzo, René Higuita. Ecco, vogliono fare meglio di quella generazione lì.
La squadra: La Tricolor è alla terza partecipazione a un Mondiale nelle ultime quattro edizioni, dopo quelle del 2002 (dove debuttò perdendo 2-0 dall’Italia del Trap, doppietta di Bobo Vieri) e del 2006: in Germania raggiunse gli ottavi di finale, e soltanto una punizione di Beckham a Stoccarda le impedì di andare oltre. In panchina c’è il colombiano Reinaldo Rueda, che è già stato ct della Colombia e dell’Honduras.
La struttura: I più bravi giocano all’estero. Il capitano è Antonio Valencia, ala del Manchester United. L’attaccante Felipe Caicedo è passato dal City al Lokomotiv Mosca. Jefferson Montero piace al Napoli, che vede in lui una via di mezzo fra Lavezzi e Tevez. A centrocampo brilla la coppia formata da Segundo Castillo, che gioca in Messico, e Christian Noboa, della Dinamo Mosca.
La curiosità: Gli eroi del Mondiale 2002 si sono dati alla politica. Il terzino destro che piaceva a Trapattoni, Ulises De la Cruz, e l’attaccante Agustin Delgado sono stati eletti in Parlamento nel partito di maggioranza, Pais Alliance. Il portiere José Cevallos, detto “las manos del Ecuador” ha fatto carriera: adesso è ministro dello sport. Suo figlio, che si chiama come lui e ha 18 anni, è alla Juventus, dove gioca nella squadra Primavera.
L’omaggio: La qualificazione è stata dedicata al ricordo di Christian Benitez, morto per un attacco cardiaco il 29 luglio di quest’anno nella sua casa di Doha, a 27 anni. El Chucho, che aveva lasciato il Birmingham City per l’Al-Jaish tre settimane prima, aveva debuttato nella sua nuova squadra proprio il giorno in cui è morto. Era un eroe dello sport nazionale: figlio d’arte (suo padre, Ermen Benitez, detiene ancora il record assoluto di gol nella serie A ecuadoriana: 191), aveva giocato 58 volte con la maglia dell’Ecuador, segnando 24 gol e prendendo parte al Mondiale tedesco nel 2006. Dopo la sua morte, la federazione ha ritirato la maglia numero 11 della Nazionale.
La motivazione: La storia non è dalla loro parte. Nel senso che al contrario delle altre squadre sudamericane non hanno tradizione né di nomi né di partecipazioni. Sarebbe una bella sorpresa, no?
La squadra: L’Uruguay ha organizzato e vinto la prima edizione del campionato del mondo, nel 1930. Poi ha rivinto vent’anni dopo. In Sudafrica, nel 2010, ha giocato (e perso) la finale per il terzo posto. L’anno dopo ha vinto la Copa America che gli mancava dal 1995. Il ct è il maestro Oscar Washington Tabarez, sulla panchina della Celeste dal 2006 (e in precedenza dall’88 al ’90).
La struttura: La coppia d’attacco è Suarez-Cavani, non c’è bisogno di aggiungere altro. La difesa è collaudata: da destra, Maxi Pereira, Lugano, Godin e Caceres.
Il precedente: L’Uruguay ha vinto l’unico altro Mondiale che si è giocato in Brasile, nel 1950, in quello che si ricorda come “il disastro del Maracanã”. Era il 16 luglio, il Brasile festeggiò la vittoria ancora prima che si giocasse la partita: ma davanti a 199.854 spettatori, record mai battuto, vinse la Celeste 2-1 in rimonta. Gol di Schiaffino e di Ghiggia. Seguirono infarti, suicidi, dramma collettivo e tre giorni di lutto nazionale. Il Brasile tornò in campo soltanto due anni più tardi, e non indossò più la tradizionale divisa bianca col colletto blu.
La strada: Inaspettatamente, la Celeste è stata l’ultima delle sudamericane a qualificarsi: c’è voluto il doppio spareggio con la Giordania per staccare il biglietto per il Brasile. Però l’hanno fatto alla grande.
La motivazione: Forse è la più semplice di tutte le altre: già una volta il destino è stato dalla loro parte. Era il 1950. Chi l’ha detto che non possa accadere anche una seconda volta?