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La condizione umana al tempo della supply chain

Grano, gas, petrolio, metalli e fertilizzanti: la guerra si sta manifestando anche come una minaccia portentosa al nostro stile di vita, e non abbiamo alternative.

di Ferdinando Cotugno

Un campo di grano nei pressi di Tichoreck, nel territorio di Krasnodar, vicino al Caucaso (Foto di Mikhail Mordasov/AFP via Getty Images)

Come reazione alla guerra in Ucraina, Europa Verde ha proposto lo sciopero del gas, «atto pacifico e non violento», partecipare al conflitto riducendo di due o tre gradi le temperature di case e uffici. Dichiarare il termostato oggetto belligerante è un’iniziativa coerente e lodevole, ma la dipendenza europea dal gas russo è solo la notizia da prima pagina di un giornale che potremmo riempire di situazioni del genere. Il nostro stile di vita è basato sulle co-dipendenze, la globalizzazione è una gigantesca, irrisolvibile co-dipendenza. Per esempio, Russia e Ucraina producono il 25% del grano mondiale, le notizie dal fronte ci riguardano e ispirano terrore a un’area del mondo che copre nord Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico. La guerra sarà un domino per l’alimentazione del mondo. Secondo la Fao, un terzo delle calorie consumate in Libano e metà del grano importato nel 2020 venivano dall’Ucraina, così come il 43% in uno stato fallito come la Libia, il 22% nello Yemen in guerra e carestia, il 21% in Bangladesh, il 14% in Egitto, il più grande consumatore mondiale di grano ucraino, in una regione dove l’ultima rivoluzione, la Primavera araba, è partita per fame. Non è ovviamente solo un problema degli altri: il mais è ai livelli più alti dal 2013 e il grano dal 2008 e noi importiamo da lì il 64% del grano che usiamo per farina, pane e biscotti e il 53% del mais per mangimi. Il prezzo della pasta da noi salirà secondo Federalimentari del 10% a causa della guerra, ed era già cresciuto del 10% per i rincari energetici. E non ci possiamo fare niente.

È la guerra di quelli che seguono il conflitto più su Bloomberg che sul New York Times: i prezzi del nickel sono ai livelli più alti del decennio, è un guaio per le batterie delle auto elettriche, che hanno un contenuto ineliminabile di questo metallo, «il rame del diavolo», che per il 7% viene prodotto in Russia. Da Mosca co-dipendiamo anche per palladio e alluminio, elementi fondamentali per l’industria dell’automobile già messa nei guai dalla crisi dei semiconduttori. Uno dei paradossi di questa guerra: svela le miserie e i pericoli dell’economia del mondo vecchio, quella alimentata da combustibili fossili, ma mette in crisi anche quello nuovo, la transizione energetica, il futuro elettrificato che è la nuova, grande aspirazione delle nazioni civili e che è − appunto − basata su nuove co-dipendenze, da Paesi di cui sappiamo poco, come il Cile e il suo litio, o pochissimo, come la Repubblica Democratica del Congo e il suo cobalto, o di cui credevamo di sapere molto, come la Russia, e invece non sapevamo nulla.

La Russia è solo il 2% del Pil globale, in casa non abbiamo nessun prodotto russo a parte la vodka e i libri di Dostoevskij, ma è ancora il capanno degli attrezzi del mondo, petrolio e gas, metalli e fertilizzanti. Quanto pensavamo alla Russia fino a gennaio? Eppure se alziamo il cofano del nostro stile di vita e guardiamo il motore, nella parte sporca di grasso che sanno maneggiare solo meccanici e tecnici delle supply chain, spira forte l’odore di Russia, e non quello che piace a Paolo Nori. E ovviamente, spiace dirlo, questo è niente, e sì, dobbiamo parlare della Cina. L’entry level della discussione geopolitica attuale è: dopo l’Ucraina, toccherà a Taiwan, l’isola sovrana e indipendente che la Cina reclama come proprio territorio e che è uno dei punti pressione delle nostre paure per il futuro. Lo scorso weekend era la frase con cui vincere i turni di parola alle cene, con quel sapore di eventi e prospettive remote. E invece è una prospettiva che avrebbe le conseguenze di un lockdown in stile 2020. Non solo perché Taiwan ci nutre di microchip, ma perché una guerra di sanzioni in stile russo con la Cina avrebbe effetti terrificanti, non è qualcosa che ci potremmo mai permettere.

Per dire, se il nostro telefono vibra, ha un touchscreen o si illumina, è per una serie di magneti che oggi si fanno solo in Cina, basati su terre rare che solo i cinesi hanno imparato a lavorare su scala industriale. Non sappiamo cosa sia il neodimio, ma se ce lo togliessero non sapremmo letteralmente più cosa fare di noi stessi, come flirtare od ordinare cibo o stare su Zoom. Non potremmo nemmeno più fare la transizione, visto che 7 dei 10 grandi produttori di pannelli fotovoltaici sono cinesi (e nessuno è europeo). Il dominio cinese sulle materie prime, in territorio suo, nel resto dell’Asia e in Africa, è qualcosa che non possiamo che accogliere con beata inconsapevolezza. L’esperienza della vita contemporanea è poter smettere istantaneamente di funzionare a causa di eventi incontrollabili e non poterci fare assolutamente nulla.  Ormai si sente parlare di supply chain anche negli spogliatoi delle piscine di Milano. La catena del valore è il principio di ordine del capitalismo globale, il grande nastro trasportatore che nella versione brandizzata cinese si chiama Belt and Road Initiative. Non c’è nessun alternativa a questo, non dopo aver deriso e archiviato qualunque prospettiva di decrescita o aver relegato il concetto dei limiti dello sviluppo ai libri buoni per le bancarelle. Abbiamo uno stile di vita troppo complesso per garantirci qualunque indipendenza da partner che non avranno mai i nostri valori e che usano i nostri agi per spezzarli, quei valori. Siamo clienti dei nastri trasportatori globali, oggi un volo cargo dall’Asia all’Europa deve impiegare l’8% del tempo in più per evitare le zone di guerra, 8% della benzina, in più 8% dei costi in più per noi, e possiamo solo pagare, perché vogliamo troppe cose, troppo in fretta, fatte troppo bene. È come vivere sempre nel canale di Suez, il 23 marzo sarà il primo anniversario del blocco della nave Ever Given. Sembrava una metafora visiva, invece era proprio una minaccia.