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Gianfranco Rotondi, il più bravo democristiano di Twitter
I social, Berlusconi, Salvini, la nostalgia della Democrazia Cristiana: conversazione con il politico innamorato del centro e abile twittatore.
Quanti sono i politici italiani che potremmo definire simpatici, cioè persone con cui fare due chiacchiere, andare a bere qualcosa insieme o invitare a cena, a prescindere dallo schieramento politico? Gianfranco Rotondi, avellinese classe ’60, è tra questi e non poteva che essere un politico cresciuto nella pancia della Balena bianca, quella Dc così ecumenica, cangiante e di larghissime intese da riuscire a governare per 50 anni di seguito in Italia. Certo, Rotondi ricorda poco un notabile democristiano, per via degli occhiali colorati e delle camicie più da Eurovision che da Prima Repubblica; forse è qui che bisogna cercare il successivo innamoramento per Silvio Berlusconi, che fu anche suo testimone di nozze. Tra il 2008 e il 2011 è stato Ministro in uno dei Governi Berlusconi e nel 2013 ha aderito a Forza Italia ma il suo pallino è sempre stato quello di riportare lo scudo crociato sulla scheda elettorale da protagonista, dopo anni di diaspora democristiana.
Nel giugno di quest’anno, in accordo con Rocco Buttiglione, ha dato il via alla Fondazione Democrazia Cristiana, dichiarando più volte rivolgendosi a Berlusconi «di non essere disponibile a un’ipotesi di nuove maggioranze con Matteo Salvini», che ritiene «la massima espressione del populismo». D’altronde, cos’è il populismo se non il risultato di una nevrosi collettiva nei confronti della casta corrotta (leggi: democristiani e post-democristiani), contro cui il popolo iniziò a riversare le proprie frustrazioni? Salvini ne è la rappresentazione e a un democristiano non potrà mai andare bene questo inneggiare al fascismo e a mettersi contro i papi. Gianfranco Rotondi lo ripete ogni giorno su Twitter, il social che gli è più congeniale, attraverso frasi brevi dalle parole affilate. Da un lato abile twittatore, dall’altro pensa che i social favoriscano una comunicazione «elementare e autoreferenziale», «visioni estreme piuttosto che pensieri lunghi». Lui ci gioca, provoca, scherza col fuoco. Ogni tanto si lascia andare al ricordo dei bei tempi andati e scrive: «Nel mio studio campeggia incorniciata una lettera di risposta di Benigno Zaccagnini a me e ad un altro coetaneo. Nel 1976 non c’erano i social, ma il segretario della Dc rispondeva personalmente a due sedicenni». E ancora: «Le figlie mi chiedono, alla loro età chi andavi a sentire? Rispondo Arnaldo Forlani». Ma la malinconia fa spazio alla certezza che il sipario è calato su piazza del Gesù ma non ancora l’oblio.
ⓢ Come scrisse Pietro Citati, ricordato nel libro di Filippo Ceccarelli, «l’odore del Paese era l’odore della Dc», aveva «il profumo di tisane, sonno, sudore, borotalco e marmellata di prugne che intride gli ambienti ecclesiastici». Era davvero così? Vorrei che ne facesse un ritratto che spieghi cos’è stata davvero la Democrazia Cristiana alla generazione dei Millennial.
È il racconto di un avversario della Dc, quale è stato Citati. La Dc era il Paese, non la Sacrestia. Uno storico molto serio come Agostino Giovagnoli definì la Dc «il partito italiano». La Dc era l’Italia e la comprendeva tutta: operai e partite iva, artigiani e contadini, cattolici e miscredenti. Non a caso l’imitazione più fortunata, ad opera di Berlusconi è stata chiamata Forza Italia.
ⓢ Certo, lei non ha l’aria di essere un notabile democristiano: gli occhiali colorati, le camicie fantasia…
Ero così anche nella Dc. Nel consiglio regionale campano scommettevano sul colore delle mie giacche: giallo, arancio, no limits. Mia moglie sostiene di essersi innamorata di un mio maglione, io dopo tanti decenni ancora le chiedo se non le conveniva comprarlo.
ⓢ È in atto sui social network un revival della Democrazia Cristiana: la pagina Facebook “Una foto diversa della Prima Repubblica. Ogni giorno” ha quasi 100mila fan, gli innumerevoli meme con l’On. Andreotti, l’entusiasmo di Twitter che si accende quando vede Cirino Pomicino a Otto e mezzo. Come dicevo in una precedente analisi (qui), a essere entusiasta è un elettorato trasversale che, a prescindere dallo schieramento politico, guarda con nostalgia a questi anni ma soprattutto a quello stile. Come se lo spiega?
Durante il fascismo, gli oppositori più intelligenti del regime scrivevano di storia romana. L’uso del passato in funzione polemica è una consolidata possibilità. A ciò si aggiunge il vuoto di rappresentanza politica apertosi al centro: non esistono più partiti di centro, ma elettori sì, e anche tanti.
ⓢ È tra i politici che meglio usano Twitter: cosa le piace di questo social network? Come mai la scelta di usare una foto di lei bambino nella foto profilo?
La foto è ironica: evoca un’innocenza che non c’è né in me che scrivo né in quelli che interagiscono. Di Twitter mi piace questo, l’immediatezza. Quando sentii la prima scossa di terremoto in Abruzzo mi collegai a Twitter ed ebbi subito conferma che era in corso il terremoto. Figuriamoci quanto sia utile in politica questa immediatezza.
ⓢ Chi è secondo lei il politico più bravo nell’uso di Twitter oggi, considerando anche politici internazionali.
In Italia Guido Crosetto, tra i leader mondiali, Donald Trump.
ⓢ Ha iniziato a usare Instagram e poi l’ha abbandonato, come mai? Segue alcuni Influencer come ad esempio Chiara Ferragni?
In verità non ho mai iniziato. Il mio profilo è stato aperto dalle mie figlie e i primi contenuti postati da loro. Poi le ho fermate in tempo. Se dovessi avere di nuovo un ruolo politico più attivo però ci ripenserei.
ⓢ Tra l’altro le sue figlie, nate dopo il Duemila, appartengono alla Generazione Z (quella dopo i Millennial). Utilizzano i social media in maniera moderata e consapevole o hanno Tik Tok? Hanno partecipato a #FridayForFuture? Lei come vede il rapporto tra giovanissimi e politica?
Le mie figlie, come tutti i loro coetanei, tendono a esagerare in connessione e io, come tutti i papà, tendo a protestare. Ma è una battaglia persa.
ⓢ La religione ha lasciato il passo alla spiritualità, le chiese sono vuote, in piazza si esibiscono in maniera blasfema segni sacri come il rosario. Cosa significa per lei essere cattolico al giorno d’oggi. Auspica cambiamenti all’interno della Chiesa?
Non sono un teologo, tendo a seguire l’insegnamento dei Papi piuttosto che consigliarli, come fanno tanti aspiranti collaboratori dello Spirito Santo. Mi pare che questo Papa ci ricordi con efficacia i nostri doveri di cristiani e siccome sono doveri faticosi, non mi meravigliano le diserzioni. Del resto, è stato il “principale” duemila anni fa a parlare di “porta stretta”.
ⓢ Ho letto in un suo tweet che non vede la tv dal 1969. E qual è l’ultimo programma che ha visto, lo sbarco sulla Luna?
Seguivo la serie La famiglia Benvenuti, proprio quella in cui recitava Giusva Fioravanti. È l’ultimo programma televisivo che ho visto per intero.
ⓢ Invece, che libri legge? Ne consigli qualcuno ai lettori di Studio, tra quelli letti di recente.
Leggo di tutto, principalmente biografie, comprese quelle più frivole e dei più svariati personaggi. Ad esempio, quella di Cuccia o quelle scritte da donne intelligenti come Daniela Santanché, Marta Marzotto. Agli studiosi di politica segnalo un classico intramontabile: La tentazione totalitaria di Jean-François Revel, dopo mezzo secolo è più attuale di quando Fiorentino Sullo ne suggerì la lettura a me.
ⓢ Sempre su Twitter dice: «Mi accusano di aver tradito Berlusconi, ho voglia di scendere dal carro del vincitore, mi sento confuso, non sono un ragazzo del coro». E ancora «ho finalmente raggiunto l’impopolarità assoluta, nemmeno D’Alema mi eguaglia». Un po’ ci gode a essere un outsider o è solo che preferisce essere odiato pur di rimanere integro?
Twitter è luogo di battute e lei ne snocciola un grappolo. Le battute rivelano un disagio però: non mi convince la sbandata di Berlusconi per Salvini. La legislatura scorsa ne ebbe una per Renzi, ora tocca all’altro Matteo. Preferisco le sbandate di Silvio per le donne, sceglie meglio.
ⓢ Se all’epoca del massimo splendore della Balena bianca ci fossero stati i social, chi sarebbe stato il più bravo su Twitter (a parte lei)?
I democristiani si adattavano a tutto, come si osserva nei superstiti. Su Twitter spopolerebbe Cirino Pomicino.
ⓢ E su Facebook?
De Mita.
ⓢ E su Instagram, invece?
Su Instagram sarebbe stato bravo Fanfani che aveva sempre un fotografo al seguito ed era egli stesso un artista.
ⓢ Dicono che il ventennio berlusconiano abbia preparato il terreno a Matteo Salvini: se non concorda con questa affermazione, in che modo Berlusconi è stato diverso da Salvini? E cos’è che ha portato Salvini a conquistare un consenso così largo nel Paese?
Salvini ha occupato lo spazio lasciato libero da Forza Italia quando è stata risucchiata dagli accordi col Pd su Monti, Letta, Renzi. Un uso intelligente dei social ha massimizzato il vantaggio a favore di Salvini. A differenza di Salvini, Berlusconi ha tenuto la barra diritta al Centro, non ha demonizzato ma sostituito la Dc, è entrato nel Ppe, ha dialogato con la Chiesa senza invaderne il ruolo ostentando rosari e crocifissi. Basta così?
ⓢ ll sipario tornerà ad alzarsi di nuovo su Piazza del Gesù? Se ci fosse luce…
Sturzo, morendo, confidò al vecchio Alessi, morto da poco più che centenario: «Vedi Peppino, la Dc durerà a lungo, a un certo punto scomparirà ma all’improvviso, quando tutti la daranno per finita, risorgerà più forte di prima con un altro nome».