Attualità

Funerale ai Parioli

Corrispondenza dal funerale di Mario d'Urso: italiano cosmopolita, accompagnatore di signore Kennedy e indossatore di leggendari gessati.

di Michele Masneri

Sui Parioli sta arrivando il temporale. In un pomeriggio molto afoso, sul piazzale di questa chiesa di San Roberto Bellarmino, specie di cattedrale colonial-cubista con interni indaco da tempio marinaro o moschea Blu, opera di Clemente Busiri-Vici, dinastia di architetti di Santa Romana Chiesa, si celebrano i funerali di Mario d’Urso, banchiere, senatore, amico di regine e principesse. Ma si celebra anche una specie di eulogia dello stesso quartiere Parioli; qui, a pochi passi da un bar famoso per i suoi hamburger, la pasticceria Il cigno, un Euronics dove si può incontrare Corinne Clery a comprare elettroniche di consumo.

«Napoletano, apparteneva a quella civiltà europea e cosmopolita che ben poco ha da spartire con le origini e le vicende dell’Italia unita e del regno sabaudo», scrisse anni fa Cesare Garboli del padre del defunto, Sandro d’Urso, avvocato a Roma, imparentato con le migliori araldiche e trasferito ai Parioli in una favoleggiata villa a via Bruxelles con un grande giardino, tanti Morandi e una bambinaia, Ina. Si disse che, morendo di venerdì, non volesse rompere le scatole a nessuno con un funerale nel weekend, ed è forse la ragione per cui anche stavolta la cerimonia è stata ritardata fino a lunedì, per non interrompere soggiorni a Sabaudia o all’Argentario.

Ma che caldo qui ai Parioli. Ecco un funerale d’inizio estate che sembra tanto quello di Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino: «Durante la messa che alcuni prendono per un cocktail, con molti saluti, in sportivo beige, e tutti i ragguagli sulle crociere in Turchia imminenti»; qui però c’è Arbasino in person, in uno degli ultimi banchi, solitario; e c’è Domietta del Drago, che sarebbe poi la Desideria di Fratelli d’Italia, però nella navata di sinistra, quella più araldica, dove siedono molti Ruspoli, molti Borghese e Caracciolo, alcuni Rattazzi, e Marina Cicogna. Mentre nella navata di destra, tutti i Gaetani e tante principesse nemiche di un Preghiere Esaudite romano che qualcuno dovrà pur scrivere, prima o poi.

Accompagnatore di signore Kennedy, chaperon di illustri ospiti in costiera amalfitana, indossatore di leggendari gessati, d’Urso aveva studiato al collegio San Gabriele, qui dietro a viale Parioli, poi chiuso e trasformato in miniappartamenti con piscina da furbetti del quartierino secondari, negli anni Novanta. «Però certo, i Parioli erano un’altra cosa, l’idea di abitarci oggi non avrebbe senso», una signora con cappello.

La bara di pino, appoggiata per terra, more nobilium, che abbassa in morte chi è stato grande in vita, come insegnavano le nostre nonne, è protetta da un gonfalone del Tennis Club Parioli bianco e giallo. In settimo banco ci sono i fratelli Vanzina, e mentre un gentiluomo ricorda che «con Mario se ne va un pezzo di storia», dopo aver ringraziato sentitamente un domestico Anour, viene in mente un pezzo scritto domenica da Enrico Vanzina sul Messaggero, una cronaca di Youth di Sorrentino visto al vetusto cinema Roxy cioè poi qui dietro, «in mezzo a una ventina di signore dei Parioli settantenni», e con frequenti richieste e sussurri e domande e «che ha detto?» per problemi uditivi.

Questa terza età romantica dei Parioli, oggi, eccola qui, pochi metri dietro l’università Luiss che sforna o dovrebbe sfornare nuove leve pariole; ecco altre signore con cappello; con cappello anche Ira Fürstenberg, altezza serenissima che negli anni della Dolce Vita interpretò anche la dottoressa sexy ne Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue. Anche il defunto, Mario d’Urso, si divertì a recitare nella Dolce Vita, e nei Giovani Mariti di Bolognini. (Intanto, la casa in cui visse Fellini qui dietro è da qualche mese in vendita, non si trova un compratore).

Nostalgie di quando si pensava di fondare, al posto di quella torinese, una dinastia pariola, con epicentro a porta Pinciana.

«E mammà dov’è? È dovuta rimanere a Barcellona», dice una grande vecchia a un’altra grande vecchia. I residuati Agnelli stanno sparsi, c’è Maria Sole da una parte, ci sono dei Caracciolo dall’altra, dei Rattazzi. Ci sono anche dei figli Romiti in fondo alla chiesa, nostalgie di quando si pensava di fondare, al posto di quella torinese, una dinastia pariola, con epicentro a porta Pinciana. Non c’è Montezemolo, ragazzo dei Parioli per definizione. Non c’è Malagò, presidente del Coni, concessionario Ferrari qui dietro a villa Borghese.

C’è Gianni Letta, potere romano trascendente, che arriva e pare affranto, come se fosse il vedovo, si asciuga spesso la faccia con un fazzolettino bianco, ma forse è solo per il caldo torrido. Si va a sedere accanto a tre vere finte bionde, e alla moglie di un famoso oculista. Non c’è un filo d’aria, dentro, e tante signore drittissime sventolano ventagli neri molto invidiati. C’è Elettra Marconi, figlia dell’inventore della radio, molto spettinata. Ci sono i Perrone ex proprietari del Messaggero. Arriva D’Agostino e si va a mettere in una specie di coro vicino al reparto più prestigioso del funerale, come se fossero tutti suoi personaggi. Nella navata di destra, nelle prime file, ecco un compound francese, attorno a una dama molto osservata da tutte queste bionde finte e vere dei Parioli, che al momento della comunione si spingono in avanti forse per spiarla; Inès de la Fressange, cognata del defunto, già volto di Francia, sciupata in maniera molto elegante: una bellezza anti-pariola.

Niente reali neanche di seconda scelta, e qualcuno ci aveva sperato, però almeno un celebrante principe della Chiesa, il cardinale Giovan Battista Re, e due concelebranti, don Gianrico e don Eddy, molto moderni fin dai nomi, che invitano una platea evidentemente poco praticante, con indicazioni pragmatiche alle preghiere («adesso, in piedi»; «ora sedetevi»), con qualcuno che rimane alzato tutto il tempo, forse per farsi notare, e a occhio e croce non sembrano i più intimi del defunto. Qualcuno saluta qualcun altro che risponde affettuosamente e poi dice: «Ma chi è questo?». Marisela Federici arriva quasi a metà messa, a metà arriva anche il deputato Pd, ex Sel, Gennaro Migliore, con la stessa aria concentrata e colpevole che aveva alla Leopolda (sembra una Leopolda un po’ nostalgica e triste, qui, oggi).

Il cardinale Re cita gli anni di d’Urso giovinetto alla Lehman Brothers, è il momento Bilderberg; ci sono Margherita Boniver e Stefania Craxi dall’aria inconsolabile; c’è il presidente del Circolo sportivo dei diplomatici, Mario Vattani; i concelebranti Eddy e Gianrico approfittano delle preghiere per mandare dei messaggi geopolitici, vista la platea istituzionale («per i nostri fratelli cristiani perseguitati in tutto il mondo nell’indifferenza generale, preghiamo»). Poi le eulogie; la prima, in cui si ringrazia soprattutto questo domestico fondamentale Anour; la seconda, di Fausto Bertinotti, seduto in prima fila, ustionato dal sole, commosso (ma solo un anno fa confessava: «Le feste mi hanno rovinato», e forse d’Urso ha avuto un ruolo in questa rovina). Bertinotti tiene a braccio un piccolo discorso molto toccante e forse casualmente inzeppato di erre, («affratellare», «caritatevole con i poveri e con i ricchi»); poi tante erre francesi nelle letture di giovinette che vengono dal compound-bene (c’è questo nugolo di signorine, alcune un po’ hipster, una con un Macbook in mano, parlano napoletano, francese, milanese, assolutamente non romano). Poi parla Hubert Burda, tycoon tedesco dell’editoria, e dice che d’Urso era «the genius of amicizia» e che il defunto era a suo agio soprattutto al Racquet Club, a New York. Poi il feretro esce, mentre parte live una canzone napoletana. La berlina targata Scv del cardinale Re esce con difficoltà dal piazzale, infilandosi tra gli scooter della Luiss. Iniziano i fulmini, mentre il gonfalone del Tennis Club Parioli rimane lì.