Attualità | La strana estate italiana

Il sapore di mare di Fregene

Continua il nostro viaggio lungo le coste della Penisola: questa volta siamo nella marina storica della borghesia romana, che oggi cerca la sua nuova identità.

di Giuliano Malatesta

Nell’anno delle vacanze autarchiche e distanziate, che nessuno ha ancora capito se saranno veramente vacanze, sulle orme di illustri predecessori letterari (Pasolini in primis), abbiamo deciso di raccontare questa strana estate italiana con un viaggio a tappe lungo le spiagge e i luoghi più famosi della costa della Penisola, in un periplo che partirà dalla Liguria e arriverà al Friuli Venezia Giulia. Qui le puntate precedenti.

Se per un attimo ci si dimentica di soffermarsi sui dettagli, che pure non sono pochi – le biciclette senza i raffinati cestelli di vimini, i volti dei vacanzieri, decisamente meno spensierati, il clacson che ti punisce dopo due secondi di indecisione, le siepi un po’ meno curate che circondano le ville, le strade, bisognose di qualche di attenzione in più – Fregene, per la sua conformazione, potrebbe ricordare Forte dei Marmi. Una somiglianza che naturalmente termina all’istante quando capita di assistere a un incontro tra due vecchi amici che probabilmente non si vedevano da tempo. “Malimortaccitua”, recita il primo,  passando davanti a un’edicola (no, non stava comprando un giornale). L’altro sorride, stende la mano in segno di saluto e lo abbraccia. Solo a Roma, e questa è la località di mare principe di una certa borghesia romana, ci si saluta insultandosi. Più lungo e duraturo è il rapporto di amicizia, più caloroso sarà l’insulto.

«Fregene è un posto straordinario. Noi ci girammo il film Sapore di Mare proprio facendo finta di stare in Versilia. Avevamo un budget piccolo e non potevamo stare in diaria a Forte dei Marmi. Ma non se ne accorse nessuno», racconta a Rivista Studio Enrico Vanzina, che con il fratello Carlo e il padre Steno da ragazzi venivano in villeggiatura qui, in un albergo che si chiamava Villa dei Pini, ora trasformato in residence. Erano i tempi in cui gran parte dei terreni erano in concessione della Banca d’Italia e per entrare bisognava pagare un pedaggio.

«Negli anni Cinquanta c’erano delle spiagge spettacolari, larghissime, poi a Fiumicino hanno fatto dei lavori di allargamento della darsena per costruire il nuovo porto, lavori che hanno modificato le maree e ora la parte sud ha spiagge più ridotte», racconta Vanzina. Seimila persone in inverno, quasi cinquantamila in estate, il destino di Fregene è legato a un referendum che le ha permesso di sganciarsi da Roma e di finire sotto la giurisdizione di Fiumicino. «Non ho ancora capito se sia stata una svolta positiva. Fregene è una sorta di piccolo paese a statuto speciale, con una serie di vincoli che lo rendono complicato da gestire, e credo che attualmente viva al di sotto delle sue potenzialità. Pensi alla pineta, abbiamo il miglior pinolo del mondo. Era il più amato da Federico Fellini, che ci girò Lo Sceicco Bianco».

Ecco, il cinema. Senza la settimana arte forse Fregene non sarebbe la stessa. E viceversa. «È a Fregene che sono nato come regista, con Lo sceicco bianco, e in seguito vi ho ambientato il finale di La Dolce Vita, gran parte di Giulietta degli Spiriti e alcune scene di La città delle donne», disse una volta il regista romagnolo. La villa dove abitava non c’è più, nel 2006 l’hanno rasa al suolo le ruspe, al suo posto ora ci sono 12 villini a schiera. Non entreranno nei libri di storia. «Una vicenda gestita male», secondo Vanzina, che per un periodo ha fatto anche il presidente della Proloco. Nel 2014, è arrivato un tardivo risarcimento, con l’intitolazione della pineta al regista.

Ma Cinema a Fregene vuole dire sopratutto villaggio di Pescatori, che negli anni Cinquanta diventò a tutti gli effetti una succursale marina di Cinecittà. Jacques Sernas nel 1948 prese una piccola abitazione in riva al mare, seguito nel 1955 da Alberto Moravia. Lina Wertmüller viveva qui quasi sei mesi l’anno mentre a casa di Gillo Pontecorvo se eri fortunato potevi incontrare Bob De Niro o Marlon Brando. A volte si presentava anche Alain Delon. Un giorno, infastidito da un paparazzo piuttosto insistente, l’attore francese fu costretto a chiamare Maurizio Mastino, oggi proprietario dello storico ristorante dove mezza Roma andava in pellegrinaggio per assaggiare la bruschetta con le telline. «Gli dissi di lasciarlo in pace, lui pronunciò una parola fuori posto e allora fui costretto a dargli due ceffoni. Cosi impari a rispondere, gli dissi, e poi lo cacciai dal locale», ricorda con un sorriso Maurizio, figlio di Ignazio Mastino, scomparso un paio di anni fa e vero sindaco unofficial della Fregene Novecentesca. Di origini sarde, era arrivato a Ostia per fare il pescatore, aveva lavorato come bagnino, l’unico disposto a tuffarsi in acqua anche d’inverno, quando c’era da controllare i tedeschi, portato il Duce in pattino e nel ’29 aveva costruito casa al villaggio, dove oggi c’e’ il ristorante. «Fu un grandissimo amico di Ennio Flaiano, che stava qui accanto, in via Jesolo», ricorda il figlio, «non fu Fellini, come hanno scritto in molti, ma Flaiano a insistere perché aprisse il locale. Si era anche proposto di prestaci dei soldi, ma alla fine mio padre li rimediò tra le sue conoscenze». Walter Chiari era uno di famiglia e quando arrivava entrava direttamente in cucina, per sapere in anticipo cosa lo aspettasse, mentre Gian Maria Volontè si presentava  di buon mattino, sulla spiaggia, e dava una mano a pulire le reti.

Poi, nei ruggenti Ottanta, fu la volta dei socialisti. Come ha egregiamente raccontato Filippo Ceccarelli nel libro Invano. Il Potere in Italia, dopo anni di disincantata politica democristiana furono loro i primi riappropriarsi anche di una dimensione figurativa. Veniva naturalmente anche sua maestà Bettino Craxi, che dopo aver mangiato al Mastino chiedeva ospitalità alla famiglia per un classico pisolino pomeridiano. «Però le donne a casa nostra non le ha mai portate», ricorda Maurizio, e non è chiaro se lo dica con tono dispiaciuto.

«La vita del villaggio è sempre stata molto tranquilla e settoriale», aggiunge Vanzina, «poi negli anni passati sono state date alcune concessioni nella zona della spiaggia libera, di fronte alle case, e ora è diventata la zona più di frequentata da migliaia di ragazzi». Al Kiosco l’atmosfera è giovanile e surfeggiante. Al Singita, se capitate nella serata giusta, potreste immaginare di essere a Bali: incensi, lounge music, atmosfere rarefatte e uomini orrendamente vestiti di bianco. Difficile però dire se il mare sia più modesto a Bali o a Fregene.