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23:33 giovedì 11 dicembre 2025
La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è assediata non solo dai turisti, ma anche dalle truppe Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.
Secondo una ricerca, nel 2025 abbiamo passato online più tempo che durante i lockdown Oramai i "vizi" presi durante la pandemia sono diventati abitudini: ogni giorno passiamo online tra le quattro e le sei ore.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.

Siamo tornati al cinema, ma il cinema è davvero tornato?

Dopo anni in cui le serie tv sono state il principale consumo culturale e le piattaforme streaming sembravano il futuro, i film stanno tornando rilevanti come arte ed esperienza. E il Festival di Cannes, che apre oggi, potrebbe essere un'altra conferma.

14 Maggio 2024

Nei vecchi romanzi cyberpunk di William Gibson si trova spesso un elemento del passato dissonante rispetto alla descrizione del futuro che viene fatta, piena di elementi che invece sono per l’appunto fantascientifici, o almeno lo erano per l’epoca, come i chip impiantati sotto pelle o le console per i viaggi immersivi nel cyberspazio. Per esempio nelle prime pagine di Count Zero (1986), uno dei personaggi, una donna di nome Allison, indossa un vecchio Rolex con cinturino in pelle. È un dettaglio minore e apparentemente inutile ma serve a marcare una differenza abbastanza netta tra quella fantascienza (che fiorì negli anni Ottanta) e tutta o quasi quella che l’ha preceduta.

Se pensiamo all’archetipo “fantascienza”, immaginiamo scene dove tutto è fantascientifico, anche dettagli minori come gli orologi, i vestiti, gli arredamenti. Immaginiamo viaggi nello spazio, astronavi, aggeggi laser e nessuna cosa del passato, se non oggetti con vaghe somiglianze con i loro antenati. Gibson e altri scrittori di quel movimento furono molto bravi a descrivere un mondo del futuro che non solo conservava una archeologia del passato, ma dove il passato persisteva. Poche pagine dopo, la donna col Rolex e l’uomo protagonista del romanzo bevono una lattina di birra su una spiaggia messicana in una scena che non ha veramente nulla di fantascientifico. Oggi, che in un mondo di fantascienza ci viviamo (ed è tra l’altro simile al mondo di un romanzo di Gibson), sappiamo che la grande intuizione del cyberpunk non fu soltanto immaginare una fantascienza senza viaggi interplanetari, o prevedere così precisamente il potere che avrebbe avuto la Rete, ma anche il saper delineare un futuro che avrebbe conservato pezzi di passato. Si potrebbe dire che nessun futuro realistico fa veramente a meno del passato, ma ci si potrebbe spingere anche più là, pescando da qualche parte una citazione di Mark Fisher, nel teorizzare che ogni visione futuristica include l’apparizione di fantasmi del passato.

Passiamo a noi, alla distopia iper-tecnologica in cui viviamo. Un mondo fatto di gente dipendente dalla Rete, incollata la maggior parte del proprio tempo a schermi, che potrebbero diventare tra non troppo tempo visori; un mondo di chip impiantati nel cervello, di ipotesi di colonizzazione di Luna e Marte, di intelligenze artificiali che ricreano le realtà, eccetera eccetera. Non è forse vero che mai come in questo momento storico le cose del passato sono oggetto di un culto? La retromania, il vintage o il modernariato sono alcune delle declinazioni di questo culto, ma non si tratta soltanto di celebrarle o sacralizzarle, queste cose del passato, si tratta, a volte, di considerarle (o riconsiderarle) la migliore opzione possibile: i vestiti vintage o, come si dice oggi, pre-loved, gli infiniti specchi ultra-fragola, le sedie Cesca; è un mondo questo in cui i vinili hanno sconfitto i cd, e chi mai avrebbe potuto immaginarlo venti o trent’anni fa? (in verità qualcuno lo aveva fatto: gli autori di Nathan Never, fumetto cyberpunk italiano in cui il protagonista collezionava appunto vinili nella sua casa futuristica). Non più tardi di una settimana fa, una pubblicità dell’iPad di Apple, dove si vede una pressa distruggere una serie di oggetti del passato, come un pianoforte, un giradischi, una tromba, per fonderli in un sottile dispositivo nuovo di zecca, ha provocato una specie di indignazione collettiva tanto da costringere alle scuse l’azienda di Cupertino.

In questo mondo, in questi mesi, abbiamo assistito anche a un altro fenomeno, che mi sembra abbia in parte qualche somiglianza con le cose appena elencate. Si potrebbe chiamarlo “il ritorno del cinema”. Non solo del cinema come mezzo, ma del cinema come luogo, e come apparato estetico se così si può dire. Riavvolgiamo il nastro, per usare un altro termine molto vintage (e sì sono tornate anche le audiocassette), a qualche anno fa. Ripensiamo al momento in cui Netflix ha iniziato a entrare nelle nostre case. È il 2015. Già da un po’ il discorso culturale è monopolizzato dalle “serie tv”. Parliamo di questa o quella serie tv come della “nuova letteratura”. Non riusciamo a concepire un film, anche il più lungo, capace di eguagliare la profondità di racconto, di introspezione psicologica e la forza drammaturgica di una serie tv. Il momento coincide all’incirca con l’era del film-evento. L’idea dei grandi produttori è grossomodo questa: per staccare il pubblico dallo schermo di casa e dalle amate serie tv, servono giga-eventi cinematografici con grossi investimenti di marketing. È una tendenza che trova nel Marvel Cinematic Universe la sua massima espressione. Funziona? Sì, molto, ma fino a un certo punto. Perché le cose prendono una piega più radicale con la pandemia. Le sale si devono necessariamente svuotare. Ora assomigliano terribilmente agli spazi abbandonati, fotografati e pubblicati nei vecchi blog di Ruin Porn. Luoghi morti che trasmettono il respiro spettrale di una vitalità estinta. I servizi di streaming, intanto, aumentano di numero (Disney+, AppleTV+, etc.). I più importanti, come appunto Netflix, aumentano e tantissimo anche gli abbonati . Per alcuni è stato raggiunto il picco (Peak Tv), da cui si può solo scendere.

E ora riportiamo il nastro a oggi, con la precisazione, ancora, che non stiamo parlando soltanto di biglietti staccati al botteghino, che sono necessariamente aumentati, se il termine di confronto è appunto il nulla pandemico, anche se non abbastanza da farci smettere di pronunciare il mantra che “il cinema è in crisi”. Stiamo parlando di avvisaglie, di tendenze nelle abitudini e nelle mode, magari di nicchia, che si delineano. Primo dato: nessuno oggi si sognerebbe di usare una serie tv, o peggio l’abbonamento a un servizio in streaming, come status culturale. C’è al contrario una certa stanchezza verso questa forma di intrattenimento, che abbiamo scherzosamente definito “Grande disiscrizione”. Le serie tv e lo streaming sono entrati nelle nostre abitudini ma non hanno preso posto, come all’inizio si immaginava, nell’highbrow (la cosiddetta “cultura alta”). Secondo dato: mentre il Marvel Cinematic Universe e “i film per bambini che piacciono agli adulti” della Pixar manifestano una forte sofferenza, il cinema ha mantenuto una quota di film-evento con forti budget legati al marketing (Barbie), ma nel frattempo si sono affermate produzioni medie (non per forza indipendenti) con risultati sorprendenti sia sul dibattito culturale che a livello di pubblico (per citarne qualcuno della stagione in corso: La zona di interesse, Anatomia di una caduta, Perfect Days). Terzo e più interessante dato: la rinascita della sala, con il ritorno dell’estetica “cineforum” e la proliferazione e il successo di piccoli cinema tipo cineclub (il Beltrade e il Cinemino a Milano, per esempio), tendenza a cui non è estraneo il successo, almeno a livello di posizionamento, di una piattaforma di cinema d’autore come Mubi. In definitiva, se nessuno userebbe oggi una serie tv come status culturale, il cinema negli anni post-pandemia sta stranamente ritornando a essere quello che era un tempo. Come un Rolex con cinturino in pelle, o quasi.

Questo articolo è tratto dal nuovo numero di Rivista Studio, una guida alle 10 tendenze che caratterizzano il presente e ci dicono “Dove stiamo andando” nell’immediato futuro: lo trovate nel nostro store online, qui, e in edicola.

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