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L’inaspettato ritorno del cinema d’autore

Il 2023 non è stato solo l'anno di Barbie e Oppenheimer: C'è ancora domani e La chimera, poi Il ragazzo e l'airone e Perfect Days dimostrano che esiste un pubblico (grande) che cerca altro oltre il blockbuster.

di Lorenzo Peroni

L’anno nero di Marvel e Disney, l’anno nero dei colossi. Per la prima volta da decenni non hanno incassato miliardi di dollari. Quest’anno le loro uscite (The Marvels, Elemental, Wish) non sono state delle smash hit al botteghino. I segnali c’erano tutti, già Strange World – Un mondo misterioso e Lightyear – La vera storia di Buzz avevano toppato al box office, rendendo evidente l’incapacità di ripresa post pandemia (frutto, anche, di politica non lungimirante sulla gestione dei contenuti streaming della piattaforma proprietaria). Il franchise Marvel ha invece tenuto testa meglio al periodo di chiusura e di riapertura a singhiozzo delle sale, con successi come Spider-Man: No Way Home, Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Guardiani della Galassia Vol. 3, con The Marvels invece ecco il tracollo. È la fine dei blockbuster? La fine dei cinecomic? Forse, almeno per il momento. E i cinema che fanno? Chiudono? No. Intanto la gente al cinema continua ad andarci, ma va a vedere (anche) altro. Il 2023 doveva essere l’anno di Barbie e di Oppenheimer, e in parte lo è stato, ma Paola Cortellesi nessuno l’aveva vista arrivare e nessuno avrebbe potuto prevedere che C’è ancora domani avrebbe portato un terzo degli incassi registrati da tutto il cinema italiano (35 milioni di euro su 120 totali). Per capirci: Avengers: Endgame ne aveva incassati poco più di 30. Wim Wenders poi, non ne parliamo.

In principio fu il sonoro, poi la televisione, poi ancora l’home video, la pirateria internet con l’avvento del nuovo secolo digitale e smaterializzato, lo streaming, infine, avrebbe dovuto essere il colpo di grazia. Sono state innumerevoli le volte in cui il cinema in sala è stato dato per spacciato. La pandemia poi… il compimento ineluttabile di un’apocalisse annunciata. E invece, niente. Certo, le sale cinematografiche hanno visto tempi migliori (“ai miei tempi…!”), ma godono ancora di buona salute, nonostante i prezzi dei biglietti continuino ad aumentare. Nell’ambito della presentazione del rapporto sul pubblico in sala nel 2023 Davide Novelli, Amministratore delegato Cinetel, ha spiegato: «Il pubblico cinematografico ha dimostrato nel 2023 di essere ancora legato alla sala come luogo di aggregazione e di fruizione di un film, ma richiede una qualità diversa di prodotti». I dati Cinetel evidenziano una netta ripresa rispetto al 2022, con un ritorno del pubblico in sala, il primo vero anno di ripresa post pandemia: in sala ci vanno i giovani e i giovanissimi, ma nel 2023 sono tornati a frequentare i cinema anche i senior. Come più volte è successo negli anni sono state salvate da chi al cinema di solito non ci va.

Le orde di gente per il Signore degli anelli, quella per cinecomic, quelle per Barbie… Non uscite cinematografiche ma fenomeni culturali. Ecco allora le multisale invase dai blockbuster e le altre uscite relegate ai matinée dei cinema d’essai, con film spariti dalla circolazione dopo due settimane, medie per sala troppo bassa, avanti il prossimo. Era il destino a cui stava andando incontro La Chimera di Alice Rohrwacher, amata da autori suoi colleghi come Martin Scorsese e Bong Joon-ho. Il film, presentato a Cannes, sembrava doversi accontentare delle recensioni positive della critica internazionale e di un’uscita in sala risicata, ma grazie a una comunicazione arrangiata e “di cuore”, la regista e il suo protagonista, Josh O’Connor, hanno saputo cambiare le sorti di questa creatura cinematografica, che a fine corsa è riuscita a portare a casa più di un milione di euro. Non tutto il cinema d’autore è difficile, respingente, noioso, è il trend di questi mesi lo dimostra. Certo, quella delle sale è un’industria, gli esercenti devono incassare, se il pubblico vuole vedere i supereroi che si menano non è auspicabile rimanere aperti con un cartellone d’essai, ma quando quelli dei cinecomic disertano la sala, in quel vuoto, trovano spazio storie diverse, inaspettate, con un pubblico pronto ad accoglierle, a farle sue.

L’equilibrio della filiera è complicato, ma negli anni, l’esempio del mercato italiano in particolare ha dimostrato un approccio privo di visione, di progettualità, ignorando troppo spesso un fattore fondamentale: la natura composita del pubblico. Non esiste un solo pubblico, esistevano (a suo tempo) dei target, che negli anni sono andati a sovrapporsi sempre di più. Come il cinema negli anni ha paciugato sempre di più con i generi, così anche gli spettatori sono ormai usciti dalle scatole in cui per decenni sono stati costretti. Concentrarsi su un segmento per lasciare morire gli altri, senza una prospettiva organica, è un boomerang. Il pubblico è una creatura complessa, articolata, mutevole soprattutto.

Dall’altra parte del mondo intanto, dove spesso a livello di mercato si sono dimostrati molto svegli, per la prima volta dopo 69 anni di attività, Shogakukan – colosso dell’editoria manga – ha abolito le categorie demografiche: shonen (i manga per ragazzi), shoujo (quelli per ragazze), infanzia e generica in vista dei Shogakukan Manga Awards (il Premio Strega del fumetto giapponese). L’editore ha dichiarato che rispetto al passato i manga sono diffusi  tra generi ed età in maniera più eterogenea e articolata, inutile quindi suddividere i lettori in segmenti. Un discorso simile può essere affrontato per il pubblico dell’audiovisivo. Dall’offerta delle piattaforme a quella cinematografica, le persone hanno avuto l’occasione nel corso degli anni di sviluppare un approccio alla fruizione sempre meno passivo, grazie a canali di accesso e strumenti che da una parte allargano l’offerta a dismisura e dall’altra permettono disponibilità e accessibilità – immediate o meno – prima impensabili. L’era di “quel che passa il convento” è definitivamente andata. Oggi il pubblico può scegliere e vuole essere in grado di farlo.

In un panorama miope e obsoleto in cui solo le grandi produzioni sono viste come motore dell’industria, alcuni fattori hanno lavorato in maniera tale da preparare il terreno per la rivincita dei film piccini piccini. Da una parte case di produzione e di distribuzione sempre più attente alle voci nuove e alle narrazioni alternative (A24, Neon), e dall’altra i cinematografari indipendenti, che hanno saputo coltivare un pubblico, fidelizzandolo e coccolandolo perfino. C’è il nuovo Sacher, che inaugurato nel 1991 da Nanni Moretti ha raccolto l’eredità dei cineforum e fornito un modello funzionante di resistenza cinematografica, ma ci sono anche il Beltrade di Milano, il Mignon di Mantova, l’Azzurro di Ancona… Il loro lavoro, fino a qui, non è stato solo quello di proporre un’alternativa al canale distributivo delle multisala, non come in una semplice battaglia bottega vs. supermercato, ma i loro sforzi si sono orientati in una missione diversa, quella di capire il pubblico. In “Poi arriva la pandemia che tutto il cinema porta via” (pezzo di Federico Gironi pubblicato su Cineforum n° 0 – dicembre 2020), Chiara Malerba e Francesco Nocciolino del Cinema Azzurro di Ancona osservano come la tanto lamentata ingerenza delle piattaforme streaming «Nel nostro caso si è rivelata un falso problema: il nostro pubblico, benché abbonato a Netflix, preferiva pagare il biglietto e godere della visione in sala piuttosto che sul divano da casa […]. Con impegno e strategie mirate la convivenza tra sala e streaming non solo è possibile, ma a questo punto ineluttabile. Piuttosto che lottare contro i mulini a vento, bisogna […] aprirsi a nuove modalità di programmazione e di gestione della sala cinematografica».

Ecco allora che i cinema indipendenti diventano una vetrina accessibile a tutti quei titoli che nel frattempo sarebbero stati invisibili e che hanno permesso a un pubblico diverso di continuare a nutrirsi. Titoli che ora trovano posto anche nei palinsesti delle multisala, non più come trucchetto per accedere ai finanziamenti statali destinati alle sale d’essai, ma perché parte integrante di una risposta ai bisogni di diverse tipologie di spettatori. Quello della Cortellesi è stato un successo anomalo, e dimostra – forse – che anche il pubblico delle grandi occasioni è oggi più interessato e disposto a farsi contagiare da forme filmiche diverse, eccentriche perfino. In questo caso da un film in bianco e nero. Cosa fino a oggi impensabile per i non cinephile. Arrivano così anche altri successi inaspettati, quello di Miyazaki, venerato maestro con un nutrito e solidissimo pubblico di stan, ma che a questo giro, con Il ragazzo e l’airone, sembra aver avuto di muoversi ai piani alti delle classifiche del box office grazie a un consenso generalista (incassando più di 6 milioni di euro), e quello ancora più sorprendente di Perfect Days (arrivato già ai 3 milioni di euro, la stessa cifra raggiunta anche da Anatomia di una caduta), il nuovo film di Wim Wenders, che non ne azzeccava uno da almeno 10 anni; ma anche Fallen Leaves di Aki Kaurismäki, che ha saputo superare il milione di euro d’incasso.

C’hanno provato con il 3D, con i biglietti a 3 euro, con le proiezioni in affitto, con la lotta alla pirateria, con le uscite “evento”, adesso anche con i cinema boutique (con abat jour e biglietti a 16 euro), ma alla fine della fi(li)era c’è solo una cosa in grado di riportare il pubblico al cinema: i film belli.