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Dopo il voto di maggio l’Europa sarà ingovernabile?

Il commento di un ex presidente di commissione, Romano Prodi.

di Cecilia Sala

I membri del Parlamento europeo partecipano a una sessione di voto durante un'assemblea plenaria al Parlamento europeo il 26 marzo 2019 a Strasburgo (foto di Frederick Florin/Afp/Getty)

Tradizionalmente, quasi nessun elettore vota davvero per le europee, ma per ribadire o ribaltare il consenso verso i rispettivi governi nazionali. Nel 2014, quando il Pd conquistò il risultato storico del 40,81% – il migliore mai ottenuto – i riflettori non erano puntati su quanti seggi avrebbe così garantito ai socialdemocratici, dunque quali punti programmatici di centro-sinistra sarebbero senz’altro passati in Europa. Ma sulla scena interna: Renzi aveva realizzato quel successo, la cosa gli conferiva implicitamente la legittimità di governare in patria, dove aveva da poco preso il posto di Enrico Letta alla presidenza del consiglio. Tra il 23 e il 26 di maggio si voterà per scegliere i futuri membri del Parlamento europeo, ma quello che molti si aspettano dal voto è soprattutto di capire a quanto ammonta la crescita di Matteo Salvini – per ora attribuitagli solo dai sondaggi – che avrà possibili ricadute sull’alleanza di governo, e verificare la rimonta del Pd, che poi è soprattutto un crollo del Movimento Cinque Stelle, cioè se questi due partiti a maggio si aggireranno entrambi intorno al 20%.

La distribuzione dei seggi all’interno del Parlamento europeo non ha mai scaldato i cuori essenzialmente per due ordini di motivi. Primo, le elezioni vanno a finire sempre nello stesso modo: la maggioranza è resa possibile solo da un’alleanza tra popolari (centro-destra) e socialdemocratici (centro-sinistra) da venticinque anni puntualmente si verifica. Secondo, l’Unione europea è una democrazia parlamentare dove il parlamento – unica istituzione per cui si vota – conta relativamente poco. Nonostante in Italia si sia ricamato principalmente sulle ricadute interne del voto di maggio, queste elezioni, definite “the most consequential in a generation” dal Financial Times, potrebbero davvero rivoluzionare l’Europa. Non tanto perché gli euroscettici abbiano qualche chances di formare una maggioranza (la media dei sondaggi, che comunque possono sbagliare, lo esclude categoricamente), ma perché da quando esiste l’Unione europea si è sempre verificato che l’indirizzo politico del Parlamento (alleanza tra centro-destra e centro-sinistra) coincidesse con quello del governo, cioè della Commissione (formata da “ministri” di centro-destra o di centro-sinistra nominati dai singoli governi nazionali). Questa volta, la sinergia tra queste due istituzioni dell’Unione, che permette alla macchina di funzionare, potrebbe non realizzarsi.

La disaffezione per il parlamento europeo

Da quando ci sono state le prime elezioni europee nel 1979, l’affluenza è in calo costante. «Abbiamo sempre sperato nell’affluenza alle urne, come sintomo di europeismo, ma se questa volta l’affluenza dovesse essere maggiore della tornata precedente, probabilmente sarà per via di chi va a votare per la prima volta, e va a votare contro l’Europa», spiega a Rivista Studio Romano Prodi, presidente della Commissione europea, la carica più alta dell’Unione, dal 2004 al 2009. Se queste elezioni sono vissute come simboliche, come un referendum sull’Europa, e se i nazionalisti dovessero prendere più voti di quelli che gli attribuiscono i sondaggi, esiste l’ipotesi che il Partito popolare europeo faccia con loro l’alleanza? «Lo escludo, tra nazionalisti euroscettici ed esponenti del Ppe come Jean-Claude Juncker ci sono stati insulti personali, mi creda, non si possono vedere. E poi i popolari non possono abbandonare gli amici socialdemocratici, hanno una lunga storia comune alle spalle». Anche Orbán ha insultato Jean-Claude Juncker, però lo tengono nel Ppe. «Questa mossa mi ricorda quello che accadde alla fine della mia presidenza di commissione, bisognava formare la nuova commissione Barroso, servivano voti, in quel momento nel Ppe c’era Berlusconi, che a molti non piaceva, si decise se tenerlo o allontanarlo sulla base della possibilità di formare quella commissione prescindendo dai suoi voti, possibilità che non c’era». Paragona Berlusconi a Orbán? «Sono amici carissimi».

Salvini ha detto che, tutto sommato, se Orbán non confluisce nella sua alleanza sovranista per rimanere nel Ppe non è un male, può rivelarsi un utile ponte per un’alleanza dopo il voto. «I sovranisti adesso sono molto divisi, la kermesse di Salvini a Milano, senza volti noti, era abbastanza triste, però l’occasione del potere, se gli si presentasse, sicuramente li compatterebbe». Non è buffo che chi ha portato il nazionalismo in Europa, Nigel Farage che ha lanciato la Brexit, Marine Le Pen al ballottaggio per la Presidenza della Repubblica in Francia, Matteo Salvini al governo in Italia, siano tutte persone che sedevano nel Parlamento europeo in questa legislatura? «Buffo che persone che non credono nell’Europa l’abbiano utilizzata per farsi conoscere, Farage non è mai riuscito a farsi eleggere in patria, ma ha usato l’Europa per finire sulla bocca di tutti». Oltre a calcoli politici, il loro euroscetticismo c’entra col fatto che, stando nelle istituzioni europee, vedendone il funzionamento da vicino, ne abbiano scoperto i punti deboli? «Se sono rimasti frustrati dalla loro esperienza in Europa è proprio perché, dalle loro posizioni, non riuscivano a fare abbastanza, questo perché è già stata riformata in senso un po’ sovranista, nel senso sbagliato, dando più potere al Consiglio, cioè ai singoli stati invece che alle istituzioni comunitarie».

Quanto contano i nazionalisti

Guardando il grafico dell’Istituto Cattaneo, in particolare le due versioni più chiare di azzurro, si vede come gli elettori di mezza Europa propendano per una scelta euroscettica. Il paese meno europeista di tutti, secondo le previsioni, è proprio l’Italia.

I nazionalisti, o meglio gli euroscettici, per ora possono contare su tre sigle: Ecr, Efdd ed Enf. Anche se non è detto che la composizione dei gruppi nel prossimo parlamento europeo sia la medesima, nel senso che alcuni partiti nazionali potrebbero cambiare collocazione. Nell’Ecr, il partito dei conservatori, c’è Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che vanta Caio Giulio Cesare Mussolini tra i candidati, ma il partito di maggior peso è Diritto e Giustizia, l’estrema destra al governo in Polonia sotto la guida di Jarosław Kaczyński. L’Efdd fino a oggi ha potuto contare sul partito Ukip di Nigel Farage e sul Movimento Cinque Stelle, mentre l’Enf, l’Europa delle nazioni delle libertà, riunisce la Lega di Matteo Salvini, il partito dell’estrema destra tedesca Afd, il Rassemblement National di Marine Le Pen, e corteggia la destra spagnola di Vox. Questi schieramenti sono effettivamente molto divisi, perché, in sintesi: Orbán non ha interesse a lasciare il Partito popolare europeo, dove potrebbe trovarsi a essere ago della bilancia, e di conseguenza avere molto potere, Kaczyński è, anche per ragioni storiche e identitarie, molto diffidente nei confronti di Putin, e non vuole presentarsi con coloro che sono sospettati di essere “amici di Putin”, cioè l’alleanza di cui fa parte anche Salvini.

In ogni caso, stando alla media dei sondaggi, per la prima volta Partito popolare (EPP) e Partito socialdemocratico (S&D) non avranno la maggioranza, fermandosi a 329 seggi su 751, né ce l’avrebbe una coalizione Partito popolare insieme a tutti i sovranisti nel caso avessero superato i loro dissidi interni (353/751). Secondo Romano Prodi l’ipotesi più credibile è «senza dubbio la storica alleanza tra Popolari e Socialdemocratici, con in più gli europeisti liberali di Alde e magari i Verdi», ovvero la porzione di torta colorata in rosso, verde, rosa e blu nel grafico.

Se a maggio s’inceppa l’Europa

Nello scenario post elettorale ipotizzato da Prodi, che poi è l’unico possibile se si tiene conto delle incompatibilità (e quindi si esclude un’alleanza che veda insieme, per esempio, sovranisti e socialisti) e si prende per buona la media dei sondaggi, l’Europa rischia di incepparsi non tanto perché gli euroscettici – che vogliono limitarne il potere decisionale – prenderanno il sopravvento, ma perché due istituzioni fondamentali, il Parlamento e la Commissione, per la prima volta si troveranno a esprimere due visioni politiche diverse. Se il Parlamento avrà una connotazione nettamente europeista, come da tradizione, la Commissione, il governo dell’Europa, i cui membri sono nominati dai governi nazionali, sconterà invece la presenza di tanti capi di governo nazionalisti ed euroscettici a livello di singoli paesi, soprattutto Italia, Ungheria, Polonia e Austria.

I due organi hanno ovviamente funzioni diverse, ma intersecate. La conformazione delle istituzioni in Europa non ha mai rispettato rigidamente la regola della separazione dei poteri: il potere legislativo, quello di formare le leggi e approvarle, spetta a entrambe le istituzioni, e la Commissione ha in esclusiva il potere di iniziativa legislativa, quello di proporre. Le due istituzioni solo insieme possono amministrare il budget annuale di 145 miliardi di euro. Fino a oggi, non c’erano mai state grandi divergenze tra i due organi, in entrambi si era sempre manifestata l’alleanza tra centro-destra e centro-sinistra, garantendo una sostanziale unità d’intenti, a maggio le cose potrebbero cambiare.