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Cosa sta succedendo nella politica spagnola

La crisi della sinistra dilaga anche a Madrid, mentre i populisti avanzano con un nuovo soggetto politico: Vox.

di Simone Torricini

Decine di migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione in Plaza Colón, a Madrid (Pierre-Philippe Marcou/Afp/Getty Images)

Lo scorso venerdì il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha reso noto ufficialmente un fatto atteso già dal mercoledì precedente, data in cui il Parlamento aveva votato contro la proposta di budget del suo governo, ovvero che in Spagna si terranno elezioni legislative anticipate. Quello di Sánchez – entrato in carica otto mesi fa – sarà il governo più breve da quando in Spagna vige un regime di democrazia parlamentare, nonché l’ultimo a trazione socialista di un grande paese europeo. Si tratta di un evento significativo su larga scala per diverse ragioni, non ultimo il fatto che le prossime elezioni si terranno a meno di un mese dalle Europee, ma è interessante soprattutto osservarne le dinamiche interne.

Anzitutto va detto che contrariamente alla tradizione degli esecutivi spagnoli il governo Sánchez era strutturalmente debole: si era insediato lo scorso giugno a seguito della mozione di sfiducia votata contro Rajoy II (la prima nella breve storia della Spagna post-franchista ad aver trovato approvazione), ma era forte di appena 84 seggi su 350 alle Corti Generali ed aveva ottenuto la maggioranza (molto risicata) soltanto grazie al consenso dei 67 di Podemos e dei rappresentanti catalani. Questi ultimi in particolare avevano appoggiato Sánchez confidando in una maggiore apertura all’indipendentismo – che con Rajoy era stata nulla, e aveva portato ad una vera e propria crisi di stallo – ma il dibattito si è limitato a cambiare nella forma, rimanendo invariato nella sostanza. Da qui il voltafaccia dello scorso mercoledì, quando i parlamentari catalani hanno votato a fianco del Partito Popolare e di Ciudadanos, il centrodestra spagnolo, contro la manovra proposta dal governo. I sondaggi più recenti, riassunti nella loro media generale e pubblicati da El País, dipingono un quadro molto vario come da tradizione recente del paese. Dei cinque partiti che allo stato attuale superano i dieci punti percentuali il primo sembra essere ancora il PSOE (24,4%), seguito a ruota dal PP (20,7%). Poi Ciudadanos e Podemos con 18% e 15% – entrambi in crescita rispetto alle Generali del 2016. Ma a destare curiosità è soprattutto il quinto: Vox.

Il Partito popolare conservatore (PP), Ciudadanos e Vox hanno invitato i loro sostenitori a manifestare per le strade di Madrid contro Sanchez dopo averlo accusato di fare concessioni ai separatisti catalani (Pierre-Philippe Marcou/Afp/Getty Images)

Si tratta di una formazione di destra radicale populista relativamente recente (la fondazione risale al 2013), che rappresenta una novità soprattutto perché in questi anni è stato sconfitto a tutte le tornate elettorali. A darle vita è stato un nutrito gruppo di fuoriusciti del Partito Popolare. Il leader di Vox, Santiago Abascal, ha posato a fianco di Pablo Casado (PP) e Albert Rivera (Ciudadanos) in una foto a margine della imponente manifestazione contro il governo tenutasi a Madrid domenica, e in Spagna non escludono che il suo partito possa entrare a far parte di una grande coalizione di centrodestra, rafforzando l’attuale opposizione.

A differenza degli altri due partiti, Vox ha iniziato la sua vera e propria scalata appena tre mesi fa, quando ha ottenuto l’11% alle elezioni regionali in Andalusia, regione storicamente rossa. Ed è proprio grazie a questo risultato che ad inizio gennaio il centrodestra è riuscito a strappare la regione ai socialisti dopo trentasei anni. Un accurato studio di El País ha dimostrato l’esistenza di un legame piuttosto stretto tra la presenza di immigrati e la percentuale di persone che hanno votato per Vox in Andalusia: in linea di massima, più ci si avvicina alle province della costa, maggiore è stato il sostegno al partito di Abascal. Da questo punto di vista, durante gli ultimi diciotto mesi Vox ha guadagnato un argomento di grande impatto: oggi la Spagna è il paese verso cui è diretta la parte più consistente dei flussi migratori via mare. Secondo il report UNHCR nel 2018 gli sbarchi sulle coste della penisola iberica sono stati 58.569, contro i 32.497 della Grecia e i 23.370 dell’Italia. E la distanza si è fatta ancora più larga con il 2019: ad oggi sono sbarcati in Spagna 5.463 migranti, a fronte degli appena 215 arrivati in Italia.

Non è un caso che al secondo posto delle cento misure contenute nel programma politico di Vox figuri proprio un forte contrasto al fenomeno immigratorio, con l’obiettivo di rendere “illegali” partiti, associazioni o ONG che «perseguono la distruzione dell’unità territoriale della Nazione e della sua sovranità». Alla quinta pagina del documento, poi, Vox propone la «deportación» degli immigrati irregolari nei loro paesi d’origine, mentre alle pagine 2 e 3 promuove una maggiore protezione giuridica nei confronti dei simboli della nazione, in particolare la bandiera, l’inno e la corona, e «un piano per la conoscenza e la diffusione dell’identità nazionale e dell’apporto della Spagna alla civiltà e alla storia, con attenzione particolare alle gesta degli eroi nazionali».

I manifestanti sventolano bandiere spagnole durante una manifestazione a Madrid contro il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez il 10 febbraio 2019 (Pierre-Philippe Marcou/Afp/Getty Images)

Il secondo grande tema di interesse per Vox, e al contempo il primo ad aver raccolto attorno alle sue idee un discreto seguito, è rappresentato dal contrasto ai moti indipendentisti catalani. Il governo Sánchez è stato fortemente osteggiato per aver mantenuto una linea permissiva nei confronti dei catalani, e il centrodestra nel suo insieme deve al più marcato centralismo la maggior parte dei consensi di cui gode. Il politologo spagnolo Pablo Simón ha detto a Politico che per Vox la questione territoriale è l’argomento principale: «La crescita di Vox è una reazione alla spinta indipendentista della Catalogna […]. C’è la percezione che i governi – tanto i conservatori quanto i socialisti – non abbiano usato il pugno duro contro i separatisti».

Ciò che impressiona, a proposito di Vox, è la rapidità della sua scalata: il piccolo successo registrato in Andalusia, pur sempre la regione spagnola più popolosa, non lasciava intravedere lo spazio per un exploit così significativo su scala nazionale, anche se finora limitato ai sondaggi. La sensazione nuova, illustrata perfettamente da Diego Torres, è che la far-right sia entrata nello scenario politico spagnolo rompendo l’eccezionalismo di un paese in cui, fino ad ora, l’unico partito populista – Podemos – era una formazione di estrazione socialista.

L’ipotesi più probabile in vista delle elezioni generali del prossimo aprile, al momento, suggerisce un ribaltamento: difficilmente il Psoe riuscirà a costruire una solida coalizione di governo, opzione che viceversa sembra più plausibile per il centrodestra. Tuttavia, come ha notato Kiko Llaneras su El País, i margini dettati dai sondaggi sono molto stretti, e un paio di piccoli errori sarebbero sufficienti a mutare sensibilmente le prospettive in vista del nuovo governo. Non c’è ancora nulla di certo, insomma. In un contesto così movimentato, che per i suoi tratti principali ricorda le recenti tornate elettorali di gran parte dei Paesi europei, il futuro prossimo sarà fondamentale per comprendere quanto cambieranno i rapporti di forza nel Parlamento. La bandiera bianca temporaneamente alzata da Sánchez, per adesso, è l’unico segnale che abbiamo.