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Che cosa si sono scritte Elena Ferrante e Marina Abramović in uno scambio di e-mail

Che cosa collega Elena Ferrante e Marina Abramović è il fatto che, per certi versi, si oppongano: una è l’autrice più riservata e misteriosa in assoluto, mentre l’altra è considerata l’artista più “pubblica”. Se una la conosciamo perché non ha un corpo, considerando che nessuno sa chi sia in realtà, l’altra per la sua arte usa proprio il corpo, mettendolo sempre al centro della performance. Ora entrambe si sono trovate a dialogare, in uno scambio di e-mail interessantissimo, per il Financial Times, che ha organizzato questo ensemble geniale quando ha scoperto che Ferrante è una grande ammiratrice dell’artista, in occasione di una mostra che terrà a Londra questo mese (Seven Deaths alla Lisson Gallery).

È lo scontro tra il pubblico e il privato il primo tema ad essere affrontato da Ferrante nella mail (tradotta in inglese dalla sua traduttrice di fiducia Anne Goldstein), raccontando subito della sua adolescenza: «Da ragazza mi sentivo come un nodo aggrovigliato, impresentabile, mi imbarazzava tutto, specialmente il fatto che volessi scrivere. Scrivere mi sembrava un atto di orgoglio, come se pretendessi di contenere il mondo dentro me stessa. Ma la mia passione era forte, e mi sono preparata a condurre una vita da persona timida, separandola radicalmente dalle volte in cui il mio corpo si liberava scrivendo. Più era affilata la separazione, più mi sentivo libera», concludendo, «se dovessi espormi, diventerei un personaggio, una finzione pubblica che condizionerebbe anche la finzione della mia scrittura».

A questo Abramović ha risposto che «in quanto artista performativa, ho bisogno dell’attenzione e dell’energia del pubblico come modo per portare in scena le mie paure, vulnerabilità e dolori così che gli spettatori riescano a comprenderli. Non penso che ci sia una parte di me che non ho esposto, anche se ci sono cose che non tutti sanno di me, ad esempio che amo passare del tempo coi miei amici e raccontarci battute politicamente scorrette». Subito dopo, Abramović pone a Ferrante una domanda sulla solitudine, a cui ha risposto che «è un mondo che appartiene agli scrittori», e che lei ha deciso di conservare anche nel momento più pubblico della scrittura, ovvero l’incontro con i lettori, «nella convinzione apertamente polemica che i libri dovrebbero essere sufficienti, ed eccomi, in una solitudine che chiamerei assoluta». Per Abramović, invece, il pubblico è essenziale nella misura in cui li ritiene in grado di stravolgere completamente la performance.

Negli ultimi scambi Ferrante ha rivelato all’artista che da anni sogna di scrivere un romanzo sulla sua performance “Rythm 0”, che ha tenuto a Napoli allo Studio Morra nel 1974: «Ti dirò solo che doveva essere la storia di una ragazza napoletana che viene portata da un uomo più grande in quella galleria, tra i tuoi spettatori. E te lo dico qui per sottolineare che le tue performance, più delle altre, mi sembrano pensate in modo tale che a un certo punto arrivi una spinta o spintonata, e poi la domanda: “E ora che succede?”». Uno degli scambi più interessanti è, infine, il discorso che iniziano a proposito del femminismo, che si conclude con una frase di Elena Ferrante: «Dobbiamo combattere per fare in modo che finisca questo enorme e stupidissimo spreco che ha mai visto questa terra: lo spreco di intelligenza e creatività femminili. Poi parleremo della qualità delle opere, le tue sono straordinariamente creative, mi fanno venire voglia di scrivere».