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Di Kanye West non si capisce niente a parte la musica

Donda, alla fine, è arrivato e oltre a reinventare il concetto di album, è un disco da ascoltare e riascoltare.

30 Agosto 2021

La mamma di Kanye West divorziò dal marito Ray West, uno dei primi fotoreporter neri all’Atlanta Journal-Constitution nonché ex Black Panther, quando suo figlio aveva 3 anni. Dopo la separazione lasciò la Georgia e si trasferì col figlio a Chicago, nella casetta che lui, quarant’anni dopo, fa ricostruire al centro di uno stadio e stampa sulle t-shirt Balenciaga da 200 dollari. Prima di mettersi a fare la “momager” a tempo pieno, Donda insegnava inglese all’università. Quando Kanye aveva 10 anni la invitarono in Cina come Fullbright Scholar. Ci andarono insieme, mamma e figlio: per un periodo Kanye frequentò le scuole a Nanchino. Era l’unico straniero in tutta la classe ma, a sentir lei, si ambientò molto velocemente e imparò a parlare cinese prestissimo. È soltanto uno dei tanti aneddoti sull’intelligenza sovrumana di Kanye che lei stessa racconta nel libro Raising Kanye: Life Lessons from the Mother of a Hip-Hop Superstar. Donda è morta a 58 anni, a casa sua, il 10 novembre 2007, 8 mesi dopo l’uscita del libro. Il giorno prima si era sottoposta a una serie di interventi chirurgici (liposuzione, riduzione del seno e addominoplastica). Qualcuno ha dato la colpa al chirurgo, qualcuno alle 20 pasticche di Vicodin prese in meno di 24 ore.

Nell’album che porta il suo nome, uscito il 29 agosto, si può sentire Donda mentre parla del suo argomento preferito, lo stesso di Kanye: quanto è genio Kanye. Oggi lui ha 44 anni ed è diventato padre 4 volte, ma la morte di sua madre lo condanna a restare sempre figlio, ossessionato dal senso di colpa. In un’intervista del 2015 lo dice chiaro e tondo: se lui non si fosse trasferito a Los Angeles, lei sarebbe ancora viva. Nel 2018 twitta la foto del Dr. Jan Adams, il chirurgo che operò Donda, dicendo che sarebbe stata la cover del suo nuovo album, Love Everyone (poi sono cambiate sia la cover che il titolo: è diventato Ye). Tre anni dopo ecco il disco che si chiama come lei: la copertina è completamente nera, come i quadrati che pubblicavamo su Instagram per affermare il nostro sostegno al movimento Black Lives Matter. Inizia con “Donda Chant”: non è una canzone, ma il nome “Donda” ripetuto per 52 secondi.

Aspettando quest’album i fan di Kanye West hanno vissuto un’esperienza unica. Non tanto perché Donda è sembrato sul punto di uscire diverse volte e poi non è uscito (non è una novità nella carriera di Kanye) ma perché è arrivato dopo tre grandi eventi che ne hanno ampliato l’esperienza, trasformandola in qualcos’altro. C’è chi ha teorizzato una trilogia inferno-purgatorio-paradiso (in effetti nel primo listening party Kanye era interamente vestito di rosso, nell’ultimo la casa diventa una chiesa e lui si ri-sposa con Kim Kardashian), chi si è appassionato al toto-featuring, alle barre che sparivano e riapparivano da una versione all’altra, alle solite chat polemiche (vere o finte?) screenshottate e pubblicate sul profilo Instagram e poi cancellate. C’è chi si è subito lanciato sul merchandising tutto nero by Balenciaga (come l’abito nuziale indossato da Kim). Chi si è commosso vedendo la coppia riunirsi (per finta o per davvero?). Chi si sta ancora arrovellando sull’ultimo post pubblicato da Kanye su Instagram, quello in cui dice che Universal ha droppato l’album senza il suo consenso (per finta o per davvero?). Chi ancora sta ridendo perché ieri Kim ha pubblicato delle storie (poi eliminate) in cui rivelava, senza farlo apposta ovviamente, che stava “ascoltando” l’album in modalità muto. I più teneri di cuore si sono emozionati guardandolo dormire in diretta streaming quando si è trasferito nello stadio di Atlanta per finire l’album. I più cinici hanno giudicato l’album estenuante, pomposo e auto-riferito. C’è chi ha notato che in Donda la parola Jesus compare più volte che nel nuovo testamento.

C’è anche chi dice che Kanye West ha reinventato il concetto di album: non più un’unità solida e immutabile ma un processo evolutivo di performance art. C’è chi è rimasto perplesso perché a un certo punto, durante l’evento del 26 agosto, sono comparsi nientemeno che Marylin Manson, fresco di accuse di abusi sessuali da parte di una dozzina di donne, e DaBaby, anche lui recentemente finito nell’occhio del ciclone per le sue affermazioni omofobe. Una specie di reunion di uomini di merda, ha detto qualcuno sui social, ma forse il punto è che Kanye, sentendosi Cristo, si circonda di uomini che hanno peccato per mostrare ai suoi fedeli il valore del perdono.

E infatti c’è anche chi l’ha già perdonato per tutto: per aver invitato Manson e DaBaby, per l’appoggio a Trump, per quando voleva diventare il presidente degli Stati Uniti (era per finta o per davvero?), per le uscite infelici sulla schiavitù, per le uscite infelici su Taylor Swift, per le uscite infelici che abbiamo dimenticato, e per come finisca sempre per fare le cose a modo suo, riuscendo, nel frattempo, a guadagnare una quantità di soldi incredibile (questa volta grazie ai biglietti per i tre eventi esclusivi). C’è chi invece non l’ha perdonato affatto, e pensa che gran parte del suo successo derivi da una rara capacità di fare casino, che sia nei panni del Grande Artista o del bastian contrario – tanto poi lo sa che Gesù gli perdona tutto (tutto tranne la morte di Donda) – e dall’essere circondato da un team, manager compreso, in grado di sfruttare il suo bipolarismo come un’efficace strumento di comunicazione. Ma soprattutto c’è chi continua ad ascoltare le 27 canzoni dell’album, e quando arriva all’ultima lo fa ripartire daccapo, e continuerà a farlo per giorni, forse settimane, e a rifarlo dopo anni e anni, perché il miracolo è proprio questo: quando le nubi di caos create dall’uomo delirante e snervante e i fumi delle teorie e dei gossip e delle provocazioni e degli eventi e dei look e dei litigi e degli screenshot si dissiperanno, resteranno due ore di musica. Sofferta, potente, bellissima musica, creata da un artista per sopravvivere alla disperazione. Potrà sembrare assurdo, ma era tutto partito da lì.

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