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Disclaimer è l’ennesima bella serie Apple TV+ che nessuno guarderà

Per quale motivo Apple continua a puntare su dispendiose produzioni di grande ambizione se poi raggiungono solo un ristrettissimo circolo di spettatori?

di Elisa Giudici

Disclaimer  sarà una delle miniserie più belle dell’autunno, uno dei titoli televisivi più rilevanti del 2024. La critica l’ha molto elogiata, a partire dalla sua protagonista Cate Blanchett che qui interpreta una fotoreporter che rimane coinvolta in uno scandalo scatenato da un romanzo. Dietro la rovina personale e professionale della giornalista, moglie e madre – una sorta di Lydia Tár seriale trascinata nel fango – c’è il piano di un luciferino Kevin Kline in cerca di vendetta.

In teoria Disclaimer è un thriller che ha tutti gli elementi per conquistare il pubblico delle piattaforme, a partire da un incidente tragico che potrebbe non essere tale. La serie riesce a mantenere sospeso fino all’ultima puntata il giudizio morale sui due protagonisti, continuando a fornire indizi e mezze verità che rendono sempre più complesso decide chi sia la vittima e chi il carnefice, procedendo a distruggere in un colpo solo l’integrità di una famiglia alto-borghese e le solide ipocrisie su cui si fonda.

Pur avendo entusiasmato la critica al Festival di Venezia, pur presentandosi come un giallo avvincente con uno del pedigree attoriale superlativo, Disclaimer ha faticato ad attirare l’attenzione degli spettatori. Negli stessi giorni infatti in molti le hanno preferito la serie italiana di Netflix Inganno, con protagonista una Monica Guerritore che s’invaghisce di un uomo molto più giovane di lei. In teoria le due serie non dovrebbero farsi concorrenza, dato che non giocano nemmeno nello stesso campionato.

La presenza di Alfonso Cuarón come sceneggiatore e regista di Disclaimer infatti garantisce a domino quella di professionisti tali – nel cast e nel comparto tecnico – da elevare la qualità della serie a livelli difficilmente replicabili. Un esempio su tutti: per la fotografia di Disclaimer Cuarón si porta dietro Emmanuel Lubezki e Bruno Delbonnel, due nomi di riferimento a livello internazionale per quando qualcuno vuole fare le cose in grande e e andare a caccia di riconoscimenti. Lubezki è noto per l’incredibile luce crepuscolare catturata per Iñárritu in The Revenant – Il redivivo, valsogli il terzo Oscar in tre anni. Disclaimer tenta di fare la stessa cosa in campo seriale e la fotografia, da sola, varrebbe la visione del pilota. Palette cromatiche, esposizione, lenti e color grading sono abbinati ai vari punti di vista nel passato e nel presente che si alternano nella storia, creando un’identità visiva immediatamente riconoscibile per ogni voce narrante. Di contro è praticamente impossibile guardare più di dieci minuti di Inganno senza citare almeno una battuta di Boris sulla smarmellatura o l’iconico “apri tutto”.

Disclaimer è una produzione ricercata, ma mai noiosa né tantomeno snob: non risulta mai respingente. Anzi, si presenta proprio come la versione high brow di un genere popolarissimo tra gli spettatori, con un mistero avvincente con cui sedurli dall’episodio pilota. Invece la serie Apple TV+, è rimasta ai margini degli scambi sui social, ricolmi di battute talvolta non troppo lusinghiere sulla qualità della serie con Guerritore. Non è un caso isolato, anzi: è la norma. Disclaimer è in ottima compagnia nel catalogo streaming di Apple TV+, il meno esplorato dal pubblico appassionato di serialità.

Qualitativamente parlando, Apple TV+ dimostra una capacità al momento quasi ineguagliabile d’indovinare serie e film originali da proporre al pubblico dei suoi abbonati, mantenendo per giunta un ritmo spedito nella produzione di nuove stagioni, rinnovando con generosità e costanza i suoi titoli. Serie come Panchinko, Black Bird, Bad Sisters, Teheran, Sugar, Masters of the Air hanno quella combinazione di storie originali e cast azzeccati che appena qualche anno fa avrebbero garantito un’esposizione fuori dalla norma. Ovvero nell’epoca in cui era Netflix a investire su grandi serie dispendiose, con ambizioni artistiche allora fuori scala, conquistando così la fiducia degli spettatori.

Non è che Apple TV+ manchi di copertura mediatica (il che dovrebbe forse indurre una riflessione sull’incapacità della critica di consigliare per davvero il pubblico), né viene trascurata dai premi di riferimento, come gli Emmy Awards. Eppure dal 2020 – quando il successo di Ted Lasso mise sulla mappa per la prima volta la piattaforma – Apple TV+ non è più riuscita a lanciare una hit, scivolando di nuovo nel dimenticatoio. Le sue serie a oggi più note sono The Morning Show (che usufruì del traino di Ted Lasso) e Slow Horses, complice il successo letterario dei romanzi di partenza. Niente però di paragonabile all’ultimo dei titoli lanciati settimanalmente da Netflix e, con minore frequenza, da Disney+ e Prime Video.

Quel legame di fiducia tra Netflix e il pubblico sembra rimanere inalterato. Sia che si parli di serie importanti (Baby Reindeer), sia di guilty pleasure rilassanti (Emily in Paris) o appunto di titoli deludenti come Inganno. Viviamo nella paradossale situazione in cui il passaparola spesso riguarda una serie particolarmente brutta di cui tutti parlano, tanto da generare una sorta di Fomo al contrario. Mentre molti piangono la fine dell’epoca d’oro della serialità, Apple TV+ sforna titoli ambiziosissimi come Scissione. L’impressione è che raggiungano solo un ristrettissimo circolo di spettatori, mentre la stragrande maggioranza del pubblico rimane aggiornata sui titoli Netflix, più o meno riusciti che siano.

Apple TV+ è la prima colpevole di questa situazione, con il suo atteggiamento di superiorità, unito alla scarsa disponibilità a stanziare un budget promozionale direttamente proporzionale a quello speso per produrre i suoi titoli. Fa parte dell’identità del brand stesso, in un certo senso, non dare mai l’impressione di cercare troppo l’attenzione del pubblico. Tuttavia che senso ha produrre serie che, per quanto belle, vengono viste da pochissimi oltre gli addetti ai lavori? La risposta non è semplice da mettere a fuoco. A fronte di Netflix, sempre più specializzata in titoli di stampo true crime, tematiche sensazionaliste e serie per un consumo veloce sull’onda del hype, il resto della concorrenza sta ancora cercando una quadra. Forte del suo know how decennale, HBO sembra la più capace nel lanciare serie diverse, di qualità, creando il passaparola necessario a renderle un appuntamento irrinunciabile, vedi per esempio Succession, White Lotus, The Last of Us. Il 2024 è stato però l’anno di FX, che oltre al successo di The Bear è riuscita a lanciare una serie di stampo commerciale ma comunque ambiziosa come Shōgun. A fronte di queste storie vincenti però ci sono decine di grandi titoli che non sopravvivono che per un paio di stagioni, pur esprimendo premesse promettenti e una qualità sopra la media. Una bella fetta dei quali farà compagnia a Disclaimer nel catalogo Apple TV+.

Viviamo così nella paradossale situazione di un’azienda che investe milioni i dollari per prodotti di altissima qualità che si godono in pochissimi, mentre il resto del pubblico si lascia trascinare dai consigli dell’algoritmo in homepage della sua smart TV, dai titoli di cui sente parlare sui social dai content creator abilmente orchestrati e pagati per farlo dai servizi di streaming, oltre che ovviamente dai commenti dei conoscenti. Non importa che siano positivi o negativi: il punto non è (più) vedere una serie bella, ma vedere la serie di cui tutti parlano.

Perché allora continuare a prendersi il rischio di produrre contenuti originali e di alta qualità, se poi quest’ultima non è tra le priorità del pubblico? Per il momento Apple TV+, seguita da Hbo, Disney+ e Prime Video, sembra ancora ritenere che il gioco valga la candela. Pur di avere un The Bear, un Succession, uno Scissione in catalogo, si mettono in conto tante serie che esprimono la medesima qualità ma rimangono ignorate. Anche perché solo Netflix sembra in grado di convincere il pubblico a vedere una serie brutta per accertarsi in prima persona di quanto brutta sia davvero.