Stili di vita | Estate
Anche al mare è impossibile staccare
Tutto l'anno a parlare di equilibrio vita-lavoro, a prepararsi al detox digitale agostano, a sognare di comprare un dumbphone che ci liberi da mail e calendar. Per poi ritrovarsi in spiaggia, incapaci di mettere da parte il telefono anche solo per un minuto.
Il responso arriva impietoso come ogni lunedì. Il report settimanale del mio iPhone 12 mini, dice: tempo di utilizzo medio giornaliero 6 ore e 4 minuti. Poco più della media generale in Italia. Sei ore al giorno corrispondono a 3 mesi l’anno. Circa due anni e mezzo della mia vita nel corso dell’ultimo decennio. È per lavoro, dico alla mia coscienza, di solito. È per rimanere aggiornato, per stare sul pezzo. Peccato che la scorsa settimana ero in vacanza, in teoria.
A maggio, durante la Milano Design Week, Heineken e Bodega hanno presentato The Boring Phone, un telefono a conchiglia, con una fotocamera da 0,3 megapixel e uno schermo da 2,8 pollici. Caratteristiche e prestazioni da inizio anni Duemila, quando i cellulari si limitavano a inviare sms e fare telefonate e non disponevano di app o accesso ai social media. The Boring Phone è prodotto da HMD Global, lo stesso concessionario esclusivo del marchio Nokia che ha da poco lanciato sul mercato una nuova versione del 3210, l’iconico cellulare dual-band messo in commercio per la prima volta nel 1999. «Nessuna app. Nessun problema.» si legge sul sito ufficiale.
L’operazione newtro portata avanti da HMD Global non salta fuori dal nulla. Ormai già da qualche anno si parla del ritorno dei “dumbphone”, i cosiddetti telefoni scemi. Gli esemplari più in voga sono il Light Phone, il cui claim recita “pensato per essere usato il meno possibile”, o il Punkt., uno dei primi modelli a cavalcare il revival. Questi dispositivi offrono alte prestazioni, ma si distinguono parecchio dai comuni smartphone per caratteristiche e funzionalità, promettono di essere efficaci, scongiurando il pericolo di doomscrolling. Il primo ricorda un vecchio modello di ebook reader, l’altro sembra il telefono dai tasti giganti che ogni anno regaliamo invano a mia nonna. Entrambi hanno un costo che si aggira attorno ai 300 euro. Il digital detox non è più soltanto un trend, adesso ha un valore quantificabile: nel 2023 i dumbphone si sono presi il 3 per cento del mercato, vendendo circa 2,8 milioni di unità. Ironia della sorte, a contribuire al successo dei telefoni essenziali, è stato proprio un thread andato virale su TikTok sotto l’hashtag #bringbackfliphones, che continua a ottenere milioni di visualizzazioni. I video mostrano prevalentemente dei ventenni che tirano fuori vecchi telefoni impolverati, schermi a cristalli liquidi, tastierini numerici sbiaditi e cellulari a conchiglia, mentre raccontano come abbiano deciso di disconnettersi dal mondo digitale.
Ho pensato di riesumare anche io un vecchio modello da portare in vacanza per disintossicarmi. Ma poi, ho subito realizzato: sono totalmente perduto senza le mappe. E i biglietti nel widget? E i pagamenti contactless? E la musica? E se devo inquadrare un QR Code per consultare il menù al ristorante?
Pochi giorni dopo ero in un paradiso terrestre incontaminato a procurarmi un’insolazione, munito di power bank da 50000 mAh, con gli AirPods che pompavano brat nelle orecchie – il report dell’iPhone 12 mini dice anche: l’esposizione all’audio è al di sopra del limite previsto – mentre divoravo teorie del complotto e ipotesi balistiche sull’attentato a Trump, connesso alla rete Starlink di Elon Musk, l’unica fonte di internet disponibile nel raggio di chilometri. È lì che ho capito di essere un mostro. È lì che ho capito di avere una dipendenza da smartphone molto più grave del previsto, come tutti.
Se c’è una pistola in scena, prima o poi sparerà e se c’è un freelance connesso a internet, prima o poi lavorerà. Naturalmente anche le app dell’email o di Google Calendar non hanno riposato un solo giorno, poverine. Ho fatto call in costume, mi sono addentrato in mezzo ai rovi sotto il solleone in cerca di un briciolo di 4G, ho persino proposto questo pezzo quando ho capito che la situazione era ormai irrecuperabile (già che c’ero, tanto valeva lucrare sul disastro). Come è possibile che stia succedendo davvero? mi chiedevo, ho solo una settimana di vacanza e non riesco a staccare, nonostante sappia benissimo quanto sia nocivo e sbagliato.
A inizio 2024, al culmine dei giorni in cui si fanno “buoni propositi”, il Guardian ha lanciato una serie di articoli intitolata “Reclaim Your Brain”, interamente dedicata all’economia dell’attenzione, la lotta spietata condotta dalle piattaforme per ottenere un briciolo del nostro tempo e, magari, dei nostri dati. La serie sponsorizzava un programma di coaching di cinque settimane per resettare le cattive abitudini digitali e liberarsi dalla “nomofobia” (no mobile phone phobia). Del resto gli studi che cercano di dimostrare l’entità dei danni causati dalla dipendenza dai dispositivi e da internet si moltiplicano e non annunciano mai niente di buono: problemi alla memoria o alla postura, alienazione, aumento di stress e ansia, calo dell’attenzione, apatia, sono solo una parte delle conseguenze. Gli stessi smartphone offrono la possibilità di limitare l’utilizzo di alcune app, ma, come sa benissimo chiunque abbia mai ricorso a quella funzione, le restrizioni sono talmente facili da aggirare da renderle perfettamente inutili. Ci sono delle app come Minimalist Phone, on point o ScreenZen che sembrerebbero più efficaci rispetto alle soluzioni di default. Tutte queste app cercano di rendere meno appetibile lo smartphone oscurando le attività non essenziali e trasformando le immagini in bianco e nero, oppure, quando lo schermo viene sbloccato, porgono una semplice domanda: devi fare qualcosa di importante? No! Ovviamente no ed è proprio questo il problema. È solo una scrollata insignificante, che conseguenze potrà avere?
I discorsi sulla dieta digitale sono all’ordine del giorno, così come quelli sull’importanza del non fare niente e di avere un distacco sano dal lavoro. L’ultimo, condivisibile dalla prima all’ultima pagina e mordace ai limiti dell’irritazione, si intitola Riposare è resistere di Tricia Hersey pubblicato in Italia da Atlantide, ma è persino ridicolo citarne altri qui. Li abbiamo letti, li conosciamo benissimo e abbiamo rivendicato quelle istanze, probabilmente con una storia su Instagram. Credevo di aver sviluppato una buona consapevolezza, ma queste vacanze hanno rappresentato una brutta regressione. Forse anche il digital detox è una questione di classe. Esistono dei costosissimi retreat in cui le persone facoltose decidono deliberatamente di farsi sequestrare lo smartphone per dieci giorni e poter finalmente “vivere il momento”. E io che cosa ho vissuto? Una lunga lotta per non essere produttivo, che però prosegue anche adesso che devo esserlo. Gli smartphone sono i nemici dell’improduttività, ma anche della produttività. Per finire di scrivere questo pezzo ho dovuto rinchiudere il mio iPhone in un’altra stanza, dopo innumerevoli sbirciatine alle notifiche su Whatsapp, un’altra ai risultati della pallamano alle Olimpiadi, un giro di ricognizione su Vinted, qualche secondo di attenzione verso un reel in cui qualcuno faceva bollire delle Pringles ottenendo una disgustosa poltiglia. Ora che finalmente ce l’ho fatta posso liberarlo, per tornare a imprigionare me, è finita la vacanza.
Del disperato tentativo di liberarci dalla dittatura degli smartphone abbiamo parlato anche nel numero 57 di Rivista Studio, “Alla ricerca del tempo perduto”, in questo pezzo che potete leggere qui. Se l’argomento vi interessa, qui invece potete acquistare una copia del numero.