Cultura | Letteratura

L’algoritmo tragicomico di Dave Eggers

Quasi dieci anni dopo The Circle, lo scrittore torna a raccontare le storture del mondo digitalizzato in The Every: lo abbiamo intervistato e lui ci ha raccontato del nuovo libro, del suo vecchissimo telefono e della barchetta che usa per scrivere.

di Lorenzo Camerini

Dave Eggers è uno scrittore nato a Boston, circa cinquant’anni fa, prima di trasferirsi con la sorella maggiore e il fratello minore in California poco più che ventenne. Per approfondire queste scarne note biografiche, e avere più dettagli sulla sua gioventù, non serve affidarsi a Wikipedia: basta leggere L’opera struggente di un formidabile genio, vendutissimo (anche in Italia) memoir “generazionale” del Duemila dove l’autore ci racconta i suoi primi trent’anni come se stessimo chiacchierando con il nostro amico più spiritoso al tavolino di un bar. Da lì in poi, Eggers non si è risparmiato: ha scritto più di dieci libri, qualche racconto, ha fondato una scuola di scrittura creativa, una rivista satirica e collabora con giornali di tutto il mondo e fondazioni che avvicinano i bambini alla lettura. Ieri è uscito The Every, pubblicato in Italia (con la traduzione di Francesco Pacifico) da Feltrinelli. È il seguito di The Circle, fortunato libro del 2013 che ha ispirato un film (dimenticabile) con Tom Hanks e Emma Watson. Non serve aver letto il prequel per apprezzare il nuovo libro di Eggers: The Every si apre con lo scenario, non proprio inverosimile, in cui tutta una serie di riconoscibilissime macro aziende digitali (Amazon, Instagram, Uber, Tesla, Deliveroo e tutte le altre che vi vengono in mente, con una spruzzata di Black Mirror) hanno unito le forze per contribuire a trasformare la nostra vita nel sogno bagnato che un universitario californiano, indossatore di felpone con cappuccio e bullizzato dai compagni di corso, ha immaginato per noi dal suo garage sulla costa del Pacifico. Abbiamo intervistato Dave Eggers via mail.

Iniziamo con il nuovo libro. In un futuro prossimo, tutte le grandi aziende del settore tecnologico si sono fuse, creando un enorme mostro monopolistico e onnisciente, uno scenario spaventoso. Ha sentito il bisogno di scrivere un seguito di The Circle perché in pochissimi anni la digitalizzazione della società ha imboccato una spirale negativa, o aveva già in mente una parte due quando ha scritto The Circle?
Per circa dieci anni, dal 2001 al 2011, ho preso gli appunti che hanno poi contribuito a formare quello che sarebbe diventato The Circle. Quando l’ho pubblicato non avevo in mente un sequel, ma dopo che il libro è uscito ho continuato a scribacchiare i miei appunti. Alla fine, dopo circa sette anni di ulteriori annotazioni, ho pensato che ci fossero stati abbastanza sviluppi nel mondo reale da giustificare un nuovo libro sull’argomento. The Circle rifletteva sulla possibilità che la specie umana potesse migliorare se sottoposta a sorveglianza ventiquattr’ore su ventiquattro e sette giorni su sette, mentre The Every analizza come siamo pronti a delegare ogni nostra scelta e giudizio a un algoritmo. Ma soprattutto, così come in The Circle, volevo prendere un po’ in giro le assurdità della vita digitale. Quel misto di orrore e commedia che è il cuore di come viviamo oggi.

Lei conosce qualcuno che accetterebbe con gioia i cambiamenti nello stile di vita che The Every offre ai suoi utenti?
Penso che la maggior parte del mondo abbia già accettato la maggior parte dei cambiamenti descritti nel libro, almeno in linea di principio. Siamo sottoposti a controllo continuo ogni volta che usciamo di casa, una rivoluzione radicale. Non c’è resistenza a essere spiati e tracciati tutto il tempo, io lo trovo sorprendente. In generale, siamo diventati animali più mansueti, e siamo anche molto più insicuri quando si tratta di prendere una decisione. Aziende, governi, scuole e individui sono tutti alla ricerca di un algoritmo che gli dica se le loro scelte sono corrette, e le loro riflessioni adeguate. Le punizioni moderne in caso di errore, anche uno di vocabolario, sono spropositate. Siamo alla ricerca di macchine del consenso che ci dicano cosa fare e cosa dire.

In The Every, ogni nuova invenzione che comporta perdita della privacy e controllo della popolazione è accettata senza battere ciglio dagli utenti (cioè tutti noi) in cambio della promessa di vivere in una società più sicura. Se affrontassimo una situazione del genere (bè, in realtà siamo già in uno scenario simile, fra pandemia e cambiamento climatico), fino a che punto lei pensa che i cittadini e i governi accetterebbero questo baratto, prima di dire “adesso è troppo”?
La tesi che tratto nel libro è questa: se noi potessimo “salvare il pianeta” – una frase abusata, ma nel frattempo usiamola – permettendo agli algoritmi di determinare che cosa può essere fabbricato e come; quanta acqua spetta a ciascuno; quanta spazzatura possiamo produrre; chi può possedere una macchina e quando può guidarla, etc., etc. … Insomma, se un modello generato da un computer fosse in grado di regolamentare tutto ciò, con la promessa che le emissioni di carbone verrebbero drasticamente ridotte, il livello dei mari resterebbe stabile, e così via, saremmo disposti ad assoggettarci? Non ho la risposta. Ma nel libro, l’azienda chiamata The Every è molto felice di approfittare delle nostre preoccupazioni riguardo al clima per consolidare il potere.

C’è un dipartimento, in The Every, dove qualche topo da biblioteca è incaricato di spulciare vecchi libri e aggiustarli (se così si può dire) in base alle sensibilità contemporanee. Qua in Italia si legge spesso di libri proibiti nei college americani per evitare di offendere qualche studente, libri che poi quando si va a controllare spesso sono completamente innocui, se inquadrati da una prospettiva italiana. È davvero così, o sono notizie esagerate che ci giungono qua alla periferia dell’impero?
L’anno scorso una scuola nel distretto del South Dakota ha proibito The Circle, e in giro per gli Stati Uniti fra il 2021 e il 2022 ci sono stati circa duemila casi dove un libro è stato messo al bando. È un record. La maggior parte di queste decisioni è da attribuire a politiche di destra che cercano di impedire agli studenti di approcciarsi a tematiche Lgbtq+ e a libri che trattano critical race theory. Qua e là, però, libri come Il buio oltre la siepe e Le avventure di Huckleberry Finn sono stati cancellati da gruppi di letture previste a scuola perché non riflettono le sensibilità moderne su argomenti come le etnie o le classi sociali. Sia che venga da sinistra, sia che venga da destra, la censura è deleteria per la libertà di parola e impedisce alla popolazione di informarsi. Quando permettiamo a qualcuno di censurare un libro, da qualsiasi lato venga la proposta, nessun libro è al sicuro. In ogni biblioteca c’è almeno un testo che potrebbe offendere qualche lettore, quindi se è questo il motivo per il quale decidiamo di proibire i libri – perché potrebbero offendere qualcuno – gli scaffali delle biblioteche saranno vuoti domani.

In The Every, il giornalismo e i giornali sono un feticcio del passato. Nella vita vera, le persone stanno abbandonando la stampa per affidarsi a notizie lette su Instagram. L’informazione sta passando da verticale a orizzontale. Lei pensa che in qualche modo questo potrà essere in futuro un cambiamento positivo?
Mi piace l’idea che un giornalismo dei cittadini conviva al fianco di un giornalismo tradizionale, più professionale, ricercato e curato. Il problema è quando i due tipi di giornalismo si mischiano. Quando gli editori permettono che i loro contenuti siano visti attraverso Facebook, o altre piattaforme spazzatura, contribuiscono a generare confusione su che cos’è legittimo e affidabile e ciò che invece è gossip e informazioni inutili. I lettori devono sapere la differenza, proprio come quando vanno dal fruttivendolo dovrebbero (e di solito è così) essere informati sulla differenza fra cibo spazzatura e cibo di qualità. I social media vanno bene, finché sappiamo che stiamo parlando di cibo spazzatura. I lettori, soprattutto gli studenti, vanno educati: per arrivare alla sostanza delle cose, bisogna concordare su che cos’è una fonte d’informazione affidabile.

Lei pensa che sia ancora possibile per un libro influenzare centinaia di migliaia di persone?
Io credo di sì. O almeno, lo spero! Ho degli adolescenti a casa, e vedo che ogni settimana le loro menti si arricchiscono grazie a un libro letto a scuola. Se ti senti pessimista riguardo al potere dei libri, parla con un adolescente di un libro che ha letto recentemente. È lì che si notano le vere conseguenze della letteratura.

Passiamo a tematiche meno universali: quando ci siamo incontrati nel 2016, alla libreria Green Apple Books a San Francisco, le ho mostrato il disegnino di una graffettatrice tatuato sul mio bicipite [disegnino che chiude la prefazione del libro di debutto di Dave Eggers], e lei ha chiesto a qualcuno di scattare una foto del mio braccio perché il suo telefono dell’epoca era un vecchio scassone, sprovvisto di macchina fotografica. È ancora così, o si è unito a noi nel culto laico della telefonia onnisciente? Possiede qualche aggeggio tecnologico a casa?
Mi ricordo di te! Ho una foto del tuo braccio-graffettatrice appesa nel mio ufficio. E sì, possiedo ancora un vecchio telefono scrauso. Mi è costato quarantacinque dollari. È indistruttibile, e dentro c’è tutto quello di cui ho bisogno. Non avevamo mai avuto un wi-fi a casa, fino a quando il Covid ha cambiato tutto. Quando la scuola è diventata virtuale, i bambini avevano bisogno di una connessione online, così ci siamo adeguati. Purtroppo non riesco a lavorare dove c’è Internet – perdo troppo tempo su Espn – quindi mi sono fatto l’ufficio su una barca. Eh già, scrivo su una piccola barchetta ormeggiata nella baia di San Francisco. È una vera figata, anche se il mio vicino è un pescatore, e quando torna nel pomeriggio con la pesca del giorno l’odore è un tantino forte.

In The Every si parla anche dell’imbarazzante situazione dei senzatetto in California, uno shock culturale per tutti gli europei in visita. Come ci si sente a vivere in un’area dove migliaia di disperati convivono in pochi chilometri quadrati con le più ricche aziende del mondo, che pagano meno tasse di me e di lei?
Se tutte queste aziende pagassero ciò che devono, e tutti quei soldi fossero spesi a dovere per risolvere questa emergenza, faremmo un passo in avanti. Ma è un problema che va al di là della California e delle aziende che producono tecnologia. Una gran parte dei senzatetto che vivono in California arriva da altre (più fredde) zone del Paese. Arrivano in California perché è più facile vivere dove non esiste l’inverno – Los Angeles, per esempio, ha la più numerosa popolazione di senzatetto perché non piove mai, figuriamoci la neve. In generale, per via del fatto che le politiche sono liberali e il clima è mite, qua in California abbiamo il maggior numero di senzatetto negli Stati Uniti, un dato che sta crescendo esponenzialmente negli ultimi cinque o dieci anni. È imbarazzante che non si riesca a invertire questa tendenza, ma è anche incredibilmente complicato, per via del nostro sistema sanitario (che non funziona), del nostro sistema di welfare (che è inadeguato) e del nostro approccio all’abuso di sostanze (che è decisamente troppo politico, e dovrebbe essere più pratico). Anche se avessimo un governo illuminato e pragmatico, i numeri sono impressionanti. Come può un qualsiasi governo trovare un tetto in poco tempo a duecentomila persone?

Ho letto che Hbo ha comprato i diritti per adattare The Every sullo schermo. Ci lavorerà anche lei? Quali sono i suoi progetti per i prossimi mesi?
No, non ci lavorerò. Non credo proprio. Preferisco lasciare che se ne occupino i professionisti. Che tu ci creda o meno, sto lavorando a un romanzo sulla pittura. Ho davvero bisogno di una pausa dal mondo delle tecnologie.

Un’ultima curiosità: perché la maggior parte delle persone nel suo ultimo libro indossano abitini aderenti in lycra?
Mi faceva ridere. Avevo voglia di aggiungere un dettaglio un po’ a caso, qualcosa di inaspettato – un sottoprodotto di questi tempi, decontestualizzato – e così mi sono affezionato agli abitini in lycra. C’era un che di spassoso, e ho anche pensato non fosse così improbabile la loro diffusione. Ogni anno c’è sempre meno differenza fra gli abiti delle persone di tutti giorni e quelli dei supereroi. Una totale coincidenza prima o poi, per lo meno in California, sembra inevitabile.