Attualità | La strana estate italiana

Capalbio: la “piccola Atene”, da Occhetto a Zingaretti

Lo stabilimento Ultima spiaggia, per anni il luogo di ritrovo estivo della sinistra italiana, e tutto quello che è venuto dopo: la quinta tappa del nostro viaggio lungo le coste della Penisola.

di Giuliano Malatesta

Nell’anno delle vacanze autarchiche e distanziate, che nessuno ha ancora capito se saranno veramente vacanze, sulle orme di illustri predecessori letterari (Pasolini in primis), abbiamo deciso di raccontare questa strana estate italiana con un viaggio a tappe lungo le spiagge e i luoghi più famosi della costa della Penisola, in un periplo che partirà dalla Liguria e arriverà al Friuli Venezia Giulia. Qui le puntate precedenti.

Lo svincolo dell’Aurelia non ammette repliche: Capalbio. Eppure, mentre percorro la salita che in pochi chilometri conduce al borgo vecchio – stasera pare ci sia in piazza una lettura, distanziata, su Dante – un feroce dubbio mi assale: che fine avranno mai fatto Alberto Asor Rosa e Achille Occhetto, che negli anni Ottanta venivano da queste parti a “decidere le sorti del paese ingurgitando cappuccini?” (copyright Michele Serra). Il Professore, inventore della iconica definizione di “piccola Atene”, ha mollato la ciurma in tempi non sospetti. Si fa vedere raramente e quando lo fa – dicono i maligni – è per esser certo di aver fatto la scelta giusta. Da anni si è rifugiato in Val d’Orcia, dalle parti di Monticchiello, dove ha diretto grandi battaglie ambientaliste, sempre a due passi da casa sua. L’ex segretario invece non è mai stato uno a cui piace apparire. E quando viene se ne sta rintanato al fresco nella sua spartana magione nell’entroterra maremmano. Però tutti ricordano come fosse ieri il clamore suscitato nel 1988 dal famoso bacio con la moglie Aureliana Alberici catturato nella loro dacia capalbiese da Elisabetta Catalano, che Arbasino definì un genio della ritrattistica camuffato da bella donna. Quelle immagini private del neo segretario e consorte, finite su un settimanale, provocarono scandalo (sic) dentro un pezzo di partito e momenti di suprema trasgressione nella solitamente placida vita maremmana. «La prima spallata al muro di Berlino», ironizza un anziano in paese ricordando i tempi andati.

Era stato Nanni Filippini, su Repubblica, qualche anno prima, ad iniziare la lunga serie di articoli su politici o intellettuali d’area, legati o vicini al partito Comunista, che nei weekend estivi spostavano in blocco le loro residenze dai salotti romani alle terrazze capalbiesi dove, al riparo da sguardi indiscreti, passavano interminabili nottate, “lacerati da dubbi metafisici”, per usare le parole di Enzo Biagi. Tra un tegame di lasagne al forno e, in caso di menti particolarmente creative, uno spaghetto alle vongole. In questo, almeno, furono preveggenti: di fronte alle frustrazioni della storia l’assalto al palazzo d’inverno si stava trasformando velocemente in assalto alla cucina.

I più avventurieri, i Petruccioli, i Marramao, il professore, arrivarono tra la fine dei Settanta e i primissimi anni Ottanta, quando a Capalbio c’erano i butteri, si mangiavano i tortelli da Maria, appena fuori l’entrata del paese, e si andava al mare a Macchiatonda, prima che l’inevitabile scissione (what else?) conducesse questo manipolo di pionieri all’Ultima spiaggia, un nuovo stabilimento aperto nel ‘87 da quattro amici furbi e un po’ bischeri, “lo Straniero” (era di Grosseto), “Pelo”, ”Cedrone” e “il Lungo”, e che ben diventò presto una sorta di agorà della piccola Atene, dove Giorgio Napolitano, per anni il più corteggiato e temuto, pronunciò il celebre “me ne guardo bene” a chi gli domandava di una sua possibile salita al Colle. Che puntualmente avvenne due giorni dopo.

Poi arrivarono i Novanta, la fine della guerra fredda, la borghesizzazione (che parolaccia), i villini a schiera e pian piano bande di milanesi in trasferta si fecero largo tra i casali senza trovare resistenza, seguiti dai socialisti, capitani dall’apripista Claudio Martelli. Si erano aperte le frontiere. A tenere simbolicamente assieme tutta la baracca con elegante sobrietà, come un padre nobile, ci ha pensato per anni il principe Nicola Caracciolo (scomparso lo scorso aprile), fratello dell’editore Carlo e di Marella Agnelli, la moglie dell’Avvocato, da questi parti noto anche per le sua battaglia contro la realizzazione dell’autostrada. Una parte del suo terreno, a Garavicchio, lo regalò a Niki de Saint Phalle, eccentrica artista franco-canadese, ex modella, che aveva iniziato a dipingere dopo un’esaurimento nervoso, e che in quei due ettari terreno di terreno costruì il suo personale eden, un giardino dei tarocchi composto da 22 carte, esoteriche sculture alte fino a 15 metri e ricoperte di mosaici che ricordano alcuni lavori di Gaudi al Parc Güell di Barcellona. Una grande mostra capalbiese avrebbe dovuta celebrarla quest’anno, ma il virus ha scombussolato i piani. I rumors la danno al 2021.

Nel Frattempo il partito democratico è riuscito nell’impresa di perdere Capalbio. Nel 2019, dopo l’imbarazzante 48% ottenuto dalla Lega alle Europee, Il Comune si è ritrovato sindaco Settimio Bianciardi, ex Pd che ha corso da solo con una lista civica. «Un ex geometra dalle maniche larghe e dalla firma facile», racconta al bar Le Burle di Borgo Carige un signore che gradirebbe rimanere anonimo, «e che ha vinto grazie alla silenziosa comunità rumena presente sul territorio. Per prendere i loro voti gli è bastato nominarne uno di loro in Consiglio». Le ultime notizie segnalano il sindaco indagato per abuso edilizio, per un certificato anti sismico arrivato in ritardo. Capalbio come un Campidoglio qualsiasi.

È tempo di andare in spiaggia. Non all’Ultima però, dove la separazione con il vetro in plexiglas ha salvato il buffet e dunque la stagione – il must è il ‘misto piccolo’, sufficiente a conquistare un tavolino vista mare, guardarsi in giro e capire chi c’è e soprattutto chi non c’è – ma in località La Torba, allo stabilimento Frigidaire, dove da anni bazzica il segretario Nicola Zingaretti (ed è subito decrescita felice). «Nicola non c’è», dice uno dei ragazzi che lavorano. Una vicina di ombrellone, una bella signora dai modi discreti, aggiunge: «Quando c’è dorme sempre». Non una rivelazione. Qualcuno però, in fila alla cassa del bar, giura di averlo visto. Dietro di lui, un signore che sta aspettando il suo turno con veemente impazienza, interviene: «Ma chi quello der Pd? Bella vita fanno». Non è finita. Un terzo incomodo, l’aria spavalda, uno sguardo non particolarmente brillante, s’intromette: «Ma Zingaretti chi? Renzi?». Dice esattamente cosi. Non è chiaro se sia il caldo, quasi trenta gradi, la confusione, o se davvero immagini un mostro con due teste. Non trovo una risposta convincente, preferisco far finta di nulla e dileguarmi. Salendo in macchina però mi torna in mente quella vecchia frase che il produttore ed editore Angelo Rizzoli, disse una volta durante una riunione: «Uè, ma quel Tolstoj lì l’è anche il Dostoevskij?». E allora va bene cosi, sarà la frenesia dell’estate, come diceva Mario Soldati.