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I rischi e le opportunità dell’attacco di Trump in Siria, secondo il Times

Com’è noto, nella notte di giovedì il presidente degli Stati Uniti ha lanciato un attacco su una base aerea dell’esercito siriano situata nei dintorni di Homs, distruggendola coi razzi di due navi da guerra di stanza nel Mediterraneo, la USS Porter e la USS Ross. Trump ha motivato la scelta, del tutto imprevista e in controtendenza rispetto alle sue posizioni precedenti, chiamando in causa «interessi di sicurezza vitale nazionale» americani nella non-proliferazione dell’utilizzo di armi chimiche, quelle che pochi giorni prima avevano colpito e ucciso 72 civili, tra cui molte donne e bambini.

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La mossa del presidente, scrive il New York Times, gli permette di presentare un aut aut alla Russia: o acconsentirà al regime change, cioè alla deposizione del suo alleato Bashar al-Assad, oppure gli Stati Uniti amplieranno il raggio del loro intervento militare. Ma si tratta di una scelta rischiosa: la Russia ha investito moltissimo, su un piano di forza militare, in Siria, ed è difficile pensare che vorrà mollare la presa facilmente. In secondo luogo Trump, che ha piuttosto evidentemente cercato un coup de théâtre per risollevare l’immagine internazionale di un’amministrazione apparsa già allo sbando, dopo nemmeno tre mesi dall’insediamento, rischia di complicare il raggiungimento del suo primo obiettivo: sconfiggere lo Stato islamico. Se la Siria capitolasse come Stato, potrebbe diventare un rifugio per il jihadismo estremista, «che è esattamente ciò che Trump vuole evitare», scrive il quotidiano americano.

Esiste anche un terzo rischio, se così si può chiamare: che Trump non abbia la minima idea di come procedere da qui in avanti. D’altronde il piano di negoziazione di John Kerry è fallito da tempo, e il nuovo segretario di Stato, Rex Tillerson, non ha mostrato alcuna volontà di organizzarne un altro. Lo stesso Trump, anzi, in un’intervista sullo stesso Times di un anno fa, non sapeva indicare in quale caso avrebbe usato la forza militare per difendere una popolazione straniera da un dittatore sanguinario. Andrà capito, dunque, se il nuovo commander-in-chief è in grado di andare oltre le simboliche manifestazioni di forza; e, se sì, come.

Nelle immagini: in testata una bomba esplosa a Kobane nel 2014; nel testo un palazzo distrutto dalle forze di Assad a Homs nel 2013 (Getty Images)