Attualità

A me gli occhi

Il 2012 è stato un anno difficile per l'advertising, che però in molti casi se l'è cercata, preferendo i vecchi trucchetti a un rinnovamento necessario.

di Michele Boroni

Il 2013 del mercato pubblicitario è partito con il freno a mano tirato e alcuni sbandamenti.

Le previsioni per i prossimi mesi purtroppo non sono rosee: gli investimenti pubblicitari saranno sempre più in calo e questo costerà l’inevitabile chiusura di testate, concessionarie, agenzie e un gran taglio di risorse sul mercato della comunicazione.

Quello che sembra certo secondo molti report dei principali istituti di ricerca è che quest’anno si registrerà a livello globale il sorpasso della pubblicità online su quella della carta stampata.

Ma più che parlare dell’aspetto quantitativo, mostrando cifre e percentuali, oggi vorrei provare a fare una riflessione su quello qualitativo, perché da questo punto di vista il coscienzioso sorpasso pare sia avvenuto da tempo, anche se molti sembrano non accorgersene.

Tutto parte dall’osservazione di un paio di recenti campagne .

La scorsa settimana Ford Italia ha comprato su Repubblica e sul Corriere della Sera alcune spazi per una particolare operazione pubblicitaria che promuoveva gli alti livelli di sicurezza raggiunti dalle proprie auto. Come ha scritto Il Post, il tutto si basava su un gioco di rimandi verso font e corporate image dei principali competitors. Nella prima pagina veniva comunicata la notizia su come una casa automobilistica era riuscita a primeggiare nei test di sicurezza del programma Euro Ncap; nel messaggio si usavano gli stessi codici di copy, carattere e colore della comunicazione di un competitor (la prima volta Volkswagen e, successivamente, Mercedes). Nella pagina successiva del quotidiano si svelava che la casa automobilistica in questione era la Ford, liberando il campo da eventuali fraintendimenti.

Chi scrive – e che osserva le pubblicità con la stessa attenzione dei titoli di prima pagina – si era accorto della pubblicità e soffermato sulla trovata, ma molte persone a me vicine che avevano letto il giornale non solo non l’avevano notata ma, una volta spiegato il “giochino”, erano rimaste indifferenti (peraltro un paio di queste sono anche in procinto di acquistare un autombile, quindi potenzialmente molto interessate all’argomento).

Ecco, la pubblicità oggi continua ancora a chiedere attenzione e concentrazione, merce oggigiorno di altissimo valore e di scarsa reperibilità.

C’è un altro filmato che nelle ultime settimane è girato parecchio in rete e che continua a battere su questo tasto. È il video virale di Newspaperwork, società che si occupa del marketing dei principali quotidiani belgi: nel video tre responsabili della comunicazione di importanti aziende inserzioniste pubblicitarie (Telenet, Bnp Paribas e CocaCola) ricevono l’invito a un giro gratuito in auto con l’obbligo di leggere il quotidiano. Durante il percorso nessuno dei tre viene distratto da nessuna delle situazioni paradossali che accadono sulla strada (astronauti, persone che vanno a fuoco, ecc…) ma la loro attenzione è unicamente dedicata al quotidiano.

Peccato che i campioni presi ad esempio siano assai poco rappresentativi, e guardano il giornale con un occhio completamente diverso rispetto al lettore medio; in fondo per loro la lettura del quotidano (e degli spazi pubblicitari ivi contenuti) è lavoro, non semplice informazione.

Anche questa pare più una comunicazione Business to Business piuttosto che Business to Consumer, come invece dovrebbe essere.

In generale, sembra che l’attenzione sia la principale richiesta alle persone da parte degli investitori pubblicitari, senza peraltro dare in cambio alcunché. Non pensate anche voi che sia un atteggiamento totalmente inefficace, egoista e fuori dal tempo? Perché dovremmo riservare parte della nostra attenzione a banali messaggi pubblicitari? L’impressione è che con l’avvento della comunicazione digitale, l’utilizzo dei motori di ricerca, dei social media e dell’uso pervasivo delle applicazioni mobile siamo ormai stati catapultati in una nuova dimensione della comunicazione le cui parole chiave sono coinvolgimento, interazione e istantaneità. E’ cambiato il nostro rapporto con il tempo e gli spazi di attenzione sono concessi solo se esiste una concreta utilità: il messaggio da solo, anche se ironico o arguto, non basta più.

Perché una comunicazione sia davvero efficace deve inevitabilmente dare o fare qualcosa di più: raccontare una storia – magari integrandola con altri media -, fare giocare (su questo l’ultimo numero di Link – Idee per la televisione offre molti esempi e spunti di riflessione), educare, intrattenere in modo intelligente, o che sia in qualche modo utile.

E veritiera.

Purtroppo l’anno appena terminato è stato caratterizzato da una lunga serie di messaggi pubblicitari ambigui e ingannevoli da parte anche di importanti aziende del largo consumo, censurate dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria o tolte autonomamente dell’azienda dopo montagne di protesta sul web da parte di famiglie o associazioni di consumatori.

C’è stata la Ferrero che attribuiva al Gran Soleil qualità tali da “favorire la digestione”, oppure Barilla, costretta a ritirare lo spot sui Flauti dove la bambina diceva all’amichetto che preferiva questa merendina “perché è sana”, violando la normativa europea secondo cui la pubblicità di un prodotti alimentare deve evitare qualsiasi riferimento alla salute se non suffragato da prove scientifiche. C’è Coca-Cola che invitava tramite uno chef tv a consumare la bevanda zuccherata a pranzo e a cena con gli spaghetti (spot censurato in tv, ma che continua a girare sul web) e Kilocal che ha collezionato ben cinque censure su cinque messaggi sullo stesso prodotto.

Anche molte pubblicità di auto sono finiti nel mirino dell’Authority: dalla Fiat che con una campagna garantiva benzina a 1 euro per tre anni senza precisare i limiti dell’offerta (solo ai distributori Ip e per quantitativi limitati di carburante), alla Smart e la comunicazione di un finanziamento con rate da 95 euri scritto a caratteri cubitali, puntualizzando sotto – in corpo due – che bisogna versare un anticipo di 2200 euri e che c’è la maxi rata finale da 5.548 euri e che è valida per un solo modello.

Purtroppo il vecchio modello pubblicitario basato sulla persuasione, e quindi anche sulla manipolazione, continua ancora a resistere. Spesso supportato dagli stessi giornali che, per paura di perdere i propri investitori pubblicitari, talvolta si sottraggono al dovere morale di informare i lettori delle eventuali censure, dimenticando che secondo le norme deontologiche il direttore delle testata è responsabile delle notizie, ma anche di quanto viene detto nella pubblicità. Insomma, trasparenza ciao ciao.

Un circolo vizioso che auspichiamo finisca presto.

Per fortuna casi virtuosi iniziano a farsi vedere, ma questa è la storia per un altro giorno.

 

(Immagine: Goh Chai Hin / Afp / Getty Images)