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Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.

Che ci sta a fare la politica?

La Consulta sull'Italicum e la Corte suprema britannica sulla Brexit: le soluzioni giuridiche alla crisi della democrazia.

27 Gennaio 2017

Due delle notizie politiche più attese e discusse degli ultimi giorni non sono arrivate dal mondo della politica, per lo meno non nel senso stretto. Mercoledì la Corte costituzionale ha bocciato parte dell’Italicum con una sentenza auto-applicativa: significa che tecnicamente si potrebbe andare a votare anche subito modificando i punti giudicati incostituzionali; ma, anche al di là di questo dettaglio, la decisione è stata accolta come una spinta decisiva nell’accelerazione verso il voto. Martedì la Corte suprema britannica ha deciso, respingendo un ricorso del primo ministro Theresa May, che la Brexit non può iniziare senza l’approvazione del Parlamento. Si tratta di due sviluppi interessanti di per sé, qui però interessa un aspetto particolare, che li accomuna. Avevamo appena finito di prendere atto della crisi della democrazia rappresentativa, messa alle strette dai rigurgiti populisti e dai risultati dei referendum, insomma da una smania di democrazia diretta; ed ecco che ci troviamo a fare i conti col fatto che, di questi tempi, i rappresentanti eletti sembrano sempre più deboli anche per un’altra ragione: sempre più spesso, i nostri destini politici sono in mano a dei giudici.

È un fenomeno notato da più parti. La Corte costituzionale, detta anche Consulta, «ha oggi in mano più di altri le chiavi della politica italiana», ha scritto su Repubblica Lavinia Rivara, notando che l’istituzione è «chiamata sempre più spesso a dirimere conflitti di natura politica e sociale, a sciogliere nodi che gli altri attori sembra siano stati capaci solo di aggrovigliare». Il costituzionalista Marco Olivetti ha rincarato la dose su Avvenire: «Dal punto di vista del rapporto fra la politica e la giurisdizione (in questo caso la giurisdizione costituzionale) si è infatti creata una situazione nella quale la prima è oggi un vassallo impotente della seconda».

Potere giudiziario

Ora, che sia la Consulta a decidere sulla costituzionalità di una legge è, per carità, sacrosanto. Nonostante l’etimologia del termine, una democrazia non si basa soltanto sulla volontà del popolo, e lo stesso vale per le democrazie rappresentative, dove i rappresentanti eletti non hanno carta bianca per fare quel che gli pare: esiste un sistema di check and balance, fatto di costituzioni, di un potere giudiziario indipendente e meccanismi affini, il cui compito è anche vigilare sul fatto che le decisioni di governi, parlamenti – e persino della volontà popolare – non ledano alcuni princìpi fondamentali. Ci mancherebbe. «Qui abbiamo una Corte suprema, mica siamo la Romania», ha detto il senatore John McCain qualche giorno fa (dove il sottinteso era: “Tranquilli, finché resterà in piedi il nostro sistema di check and balance Trump non potrà buttare a mare i musulmani, anche se avesse un mandato popolare per farlo”) e tocca ammettere che il pensiero porta un sospiro di sollievo.

Che i giudici talvolta scavalchino i politici fa parte del processo democratico, ci sta. Insomma, non c’è alcuna prevaricazione da parte del potere giudiziario. Però l’impressione è che la politica, in questa fase storica, sia sempre meno capace di cavarsela da sola. E il fatto che delle sentenze siano spesso determinanti per stabilire la direzione di governi e parlamenti forse ne è indice. L’analisi di Olivetti, il costituzionalista, era molto pessimista a questo proposito: «Si percepisce qui quasi allo stato puro la crisi dei partiti come sedi di elaborazione culturale e programmatica, con la paradossale conseguenza che una Costituzione nata dalla volontà dei partiti (i partiti di massa dell’immediato Dopoguerra) è oggi creta plasmabile nelle mani di giudici». E ancora: «La situazione di prostrazione della politica e del processo decisionale democratico è tale da rendere ineludibile un’assunzione di responsabilità della politica: ne va della democraticità del nostro sistema costituzionale».

Judges Attend The Annual Service At Westminster Abbey To Mark The Start Of The UK Legal Year

A ben vedere l’indebolimento della democrazia rappresentativa rispetto alla democrazia diretta e la subalternità della politica rispetto al potere giudiziario potrebbero essere due facce della stessa medaglia e la vicenda britannica ne è un esempio lampante. La decisione della Corte suprema, ha scritto il Guardian, «è una riaffermazione del fatto che il Parlamento è sovrano rispetto al potere esecutivo». Ovvero: spetta al legislatore eletto dal popolo, e non al governo eletto dal Parlamento, votare su un eventuale avvio dell’Articolo 50, che innesterebbe un’effettiva uscita dall’Unione europea. Peccato però che il popolo, di cui il legislatore è rappresentante, sulla Brexit si sia già espresso. E, come fa notare lo Spectator, «se i parlamentari votassero contro l’Articolo 50, questo significherebbe votare contro il referendum». Insomma: l’esecutivo ha indetto un referendum (scellerato, ma questa è un’altra storia) e il popolo si è espresso; il governo avrebbe voluto iniziare la procedura indicata dal risultato referendario; ma il potere giudiziario ha stabilito che no, spetta al potere legislativo; che a questo punto si trova nella posizione di dovere votare su un tema su cui il grande pubblico ha già votato. Infatti il referendum sulla Brexit non è vincolante, ma soltanto in teoria: come fanno i parlamentari ad andare contro, e tanto apertamente, al volere del popolo di cui è rappresentate? Si è verificata una sorta di cortocircuito. Dove il potere legislativo, cioè il cardine della democrazia rappresentativa, schiacciato tra l’espressione della volontà popolare e la sentenza della Corte Suprema, ha un margine di manovra assai ridotto.

 Nelle immagini: giudici britannici riuniti alla conferenza annuale che si tiene all’abbazia di Westminister (Oli Scarff/Getty Images); in testata: la sede della Consulta (Wiki Commons)
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