05:06 sabato 21 giugno 2025
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Le notifiche del telefono fanno male e adesso c’è anche una ricerca che lo dimostra Si chiama alert fatigue e tante persone hanno già deciso come affrontarla: disattivando tutte le notifiche, sempre.
Il sindaco di Budapest ha detto che il Pride in città si farà nonostante il divieto di Orbán «Il Municipio di Budapest organizzerà il Budapest Pride il 28 giugno come evento cittadino. Punto», le sue parole.
Francis Kaufmann/Rexal Ford ha ricevuto quasi un milione di euro dal Ministero della Cultura per girare un film che non ha mai girato Lo ha rivelato un'inchiesta di Open: l'uomo è riuscito ad accedere ai fondi del tax credit, senza mai girare nemmeno una scena.
Skims sta inviando soldi via PayPal a centinaia di clienti senza dare alcuna spiegazione Tutto è cominciato con un tiktok, a cui ne sono seguiti decine e decine. Adesso, gli investigatori di internet stanno cercando di svelare il mistero.
La storia della chiusura del Museo del Fumetto di Milano non è andata proprio come si era inizialmente raccontato Un articolo di Artribune ha svelato che nella chiusura c'entrano soprattutto mancati pagamenti e gestione inefficace, non la cattiveria del Comune.
David Fincher vuole salvare Mindhunter trasformandola in una trilogia di film Lo ha rivelato l'attore Holt McCallany, uno dei due protagonisti della serie. A suo dire, ci sarebbero degli sceneggiatori già al lavoro.
Una delle analisi più sensate della guerra tra Israele e Iran l’ha fatta Jafar Panahi su Instagram Il regista ha postato un lungo messaggio, in cui condanna sia il governo israeliano che il regime iraniano.

Joaquin Phoenix, quarantenne

Bravo ragazzo, cattivo ragazzo, o niente di tutto questo: la parabola di Joaquin Phoenix, che compie 40 anni, è quella di un grande del cinema in tutto e per tutto. Una panoramica della sua carriera e delle decine di volti che sa indossare.

28 Ottobre 2014

Nel 2010, anno in cui la Mostra del Cinema di Venezia cominciava a non essere più la Mostra del Cinema di Venezia, uno dei pochi brividi venne da Io sono qui! –I’m Still Here di Casey Affleck, documentario falso (è un ossimoro, come direbbeFedez a X-Factor) e scopertamente furbo, manipolatore, disonesto. Soprattutto, un monumento al suo protagonista: Joaquin Phoenix. Era il periodo in cui l’attore diceva che avrebbe smesso di recitare, non c’era dunque niente di meglio di un mockumentary di finto congedo per pubblicizzare meglio la notizia. Nel film il vero/falso Phoenix dava di matto, sniffava coca, chiamava puttane in albergo, faceva la cacca nel letto. A Venezia lo vide anche lui, ma si presentò in Sala Grande camuffato, evitò i posti ufficiali riservati al cast e si nascose qualche poltrona più in là. Faceva parte dell’operazione di marketing. Dissero che il film era una cagata (vero, in parte), che lui era un mitomane (falso, in parte). In realtà, era la conferma di un dato semplice e sostanziale: Joaquin Phoenix è, fondamentalmente, un cazzone.

Oggi Phoenix compie quarant’anni, e non accenna a sfatare la fama che lo procede da ben prima di quel film. Quando lo intervistai l’anno scorso a Roma per Her di Spike Jonze, grande ruolo non solo per via dei favolosi pantaloni di fustagno a vita alta, si divertì molto a dire che lui sesso online non l’aveva mai fatto. Lo affermava con l’aria di chi era stato su YouPorn fino a due minuti prima. Volete un cattivo ragazzo? Eccomi. Ma i quarantenni ragazzini, stropicciati, bamboccioni; i quarantenni cazzoni, insomma, non sono mai come li si dipinge. Nemmeno lui.

Che la sua sia una parabola da grande di Hollywood, più che il destino di un rebel without a cause, è scritto fin dagli inizi. Tanto per cominciare, ci vuole del talento a far dimenticare di essere un “fratello di”. È pure peggio del passare per “figlio di”, non c’è eredità anagrafica, solo un altro troppo simile e troppo vicino a te che ha preso il tuo posto. Nel 1993, quando River Phoenix morì di overdose, Joaquin aveva diciannove anni e tre giorni. Aveva girato qualche film, nulla di paragonabile al Belli e dannati del prematuro defunto. Il primo titolo a cui prende parte dopo la morte di River resterà uno dei suoi migliori: Da morire di Gus Van Sant, era il 1995. «Ogni volta che piove, nevica o fa tempesta, devo farmi una sega» diceva Jimmy, il suo personaggio, l’amante balordo di Suzanne Stone Maretto/Nicole Kidman. A voler dare stupide letture simboliche, era un commento a quel che era successo due anni prima e una dichiarazione d’intenti sull’intera carriera a venire. Il film che arriva poco dopo stabilisce la programmaticità di quella battuta. Era Inventing the Abbotts, 1997, storia di turbamenti adolescenziali e linee d’ombra da scavalcare. In italiano si chiamava Innocenza infranta: titolo come sempre idiota, ma per una volta puntualissimo.

Volete un cattivo ragazzo? Non è lui. Phoenix è il re del far credere ogni volta di essere un’altra cosa, del saper parlare come pochi altri a seconda del target che ha di fronte. Volete lo scapolo sgarrupato? Ecco Two Lovers, uno dei suoi film più ingiustamente sottovalutati. Volete il virtuoso da Metodo Strasberg? Ecco le nomination agli Oscar, pure abilmente variegate: la prima per quel sandalone kitsch del Gladiatore di Ridley Scott, l’ultima per il concettualissimo intellettualissimo cineforumissimo The Master di Paul Thomas Anderson. In mezzo, una statuetta l’ha quasi vinta. Quando in Walk the Line ricalcò perfettamente vita e alcolismi di Johnny Cash (un totem della cultura americana, altro che parti da ragazzaccio ribelle), il premio gli sfuggì solo perché quell’anno c’era un altro biopicizzato che si sarebbe magnato chiunque: il Truman Capote di Philip Seymour Hoffman.

Non solo non ha smesso di recitare: oggi rivendica apertamente il posto di quelli che la critica gli ha sempre messo tra i piedi, in più di vent’anni di recensioni. Marlon Brando. Montgomery Clift. James Dean, ereditato con doppio salto mortale dal fratello, che l’aveva rievocato in morte ancora più che in vita.

Esce in Italia a febbraio prossimo Vizio di forma, un altro Paul Thomas Anderson, stavolta tratto dal romanzo omonimo di Thomas Pynchon (Einaudi). Phoenix, con basettoni che lo fanno sembrare la dottoressa Zira del Pianeta delle scimmie, è un investigatore privato tossicomane nella California anni ’70. Dalle prime immagini si direbbe un Lungo addio di Altman con modaiolismi rubati all’insopportabileAmerican Hustle.

In più, Joaquin ha appena finito di girare il prossimo film di Woody Allen, ancora senza titolo. Lo avrei visto bene in una parte come quella di Sean Penn in Accordi e disaccordi, chitarrista stropicciato per davvero. Dalle foto dal set (accanto a Emma Stone) si capisce che è un ritorno di Allen a Manhattan. Aspettiamo.

Non solo non ha smesso di recitare, Phoenix, ma continuerà ancora per molto. «Sarò qui ogni giorno, per altri trent’anni, se vivrò così a lungo». Lo diceva sempre il suo Jimmy in Da morire. Un’altra dichiarazione d’intenti, un auto-augurio di compleanno preventivo. Se permettete, I’m still here.
 

Nell’immagine in evidenza, Phoenix nel 2005. Frazer Harrison / Getty

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