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La lettera con cui il comandante dei curdi ha accettato l’aiuto della Siria

14 Ottobre 2019

«Con i loro 70 mila soldati, le Forze Democratiche Siriane (SDF) hanno combattuto contro l’estremismo jihadista, contro l’odio e l’oppressione delle donne dal 2015. E non hanno mai sparato un solo proiettile verso la Turchia». È con queste parole che si apre la lettera con cui il generale delle forze curde Mazloum Abdi ha chiesto l’aiuto della Russia e del Presidente siriano Bashar al-Assad per porre un freno all’invasione turca nel nordest della Siria dove, lo scorso 9 ottobre, ha avuto inizio l'”Operazione fonte della pace” contro le forze curdo-siriane delle Ypg (Unità di protezione popolare).

La decisione è giunta a seguito della scelta di Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla zona, dopo cinque anni di guerra all’Isis combattuta insieme ai curdi. «Abbiamo sconfitto al Qaeda, sradicato lo stato islamico e, allo stesso tempo, abbiamo costruito un sistema di buon governo basato sul pluralismo e sulla diversità», si legge nella lettera. «Quando il mondo intero non ci ha supportato, il governo americano ci ha teso la propria mano. Su richiesta di Washington abbiamo deciso di ritirare le nostre truppe dalla zona di confine con la Turchia, distrutto le nostre fortificazioni difensive e ritirato i nostri combattenti più esperti. La Turchia non ci avrebbe mai attaccato fintanto che il governo degli Stati Uniti fosse rimasto fedele alla sua parola». Privi di una protezione internazionale, «ora siamo in piedi, ad affrontare le lame turche a petto nudo».

Per questo i curdi hanno così deciso di rivolgersi alla Russia e al regime di Assad che, «alla luce della minaccia esistenziale che l’attacco turco rappresenta per il nostro popolo», viene considerata l’unica possibilità per fronteggiare l’attacco. «I russi e il regime siriano hanno avanzato proposte che potrebbero salvare la vita a milioni di persone che vivono sotto la nostra protezione. Non ci fidiamo delle loro promesse (Assad è infatti stato responsabile di migliaia di morti nella guerra siriana, ndr.), ma a essere onesti, è difficile capire di chi potersi fidare», continua.

«Sappiamo che dovremmo scendere a compromessi dolorosi con Mosca e con Assad se decidessimo di allearci con loro. Ma se dobbiamo scegliere tra un compromesso e il genocidio della nostra gente, sicuramente sceglieremmo la vita del nostro popolo». A fronte del “tradimento” americano, «rimangono due domande da porsi. Come possiamo proteggere la nostra gente? E, soprattutto, gli Stati Uniti sono ancora nostri alleati?».

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