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Il dissing tra Elon Musk e Donald Trump è degenerato Come ampiamente previsto, i due hanno rotto, ma non si pensava sarebbero arrivati fino a questo punto.
Lo scrittore Kamel Daoud era stato invitato alla Milanesiana ma non potrà partecipare perché in Italia rischia l’arresto A causa di Urì, romanzo con cui ha vinto il premio Goncourt e che uscirà in Italia il 17 giugno.
Gli undici abitanti di una remota isola giapponese vogliono ripopolarla usando i manga Gli anziani di Takaikamishima hanno fondato una scuola di fumetto, nella speranza di salvare l’isola dallo spopolamento.
Il designer delle T-shirt più amate dalle celebrity è un bambino di 11 anni Si chiama Dylan e tra i suoi clienti può già vantare Elle Fanning, Michelle Pfeiffer, Pharrell, Jamie Lee Curtis e Pierpaolo Piccioli.
Uno dei massimi esperti di Caravaggio del mondo dice di aver finalmente trovato il suo primo dipinto Secondo Gianni Papi, "Ragazzo che monda un frutto" è l'opera prima dell'artista: ci sarebbe un dettaglio che lo conferma oltre ogni ragionevole dubbio.
Chi sono i cinque finalisti che si contenderanno il Premio Strega 2025 Dai voti ricevuti Bajani si conferma il favorito: giovedì 3 luglio scopriremo chi ha vinto.
Pur di non sembrare pigri, i disoccupati cinesi pagano dei finti uffici in cui vanno a fingere di lavorare Ci sono anche dei finti capi che assegnano finte mansioni, e talvolta capitano finti litigi e finti scioperi.

Secondo il New Yorker, Roma di Alfonso Cuarón ha un grave difetto

19 Dicembre 2018

In un articolo dal titolo “There’s a Voice Missing in Alfonso Cuarón’s Roma, pubblicato ieri sul New Yorker, Richard Brody esprime una lunga serie di dubbi sull’acclamatissimo film di Cuarón. Secondo lui, durante un intervista, il regista stesso avrebbe inavvertitamente rivelato una serie di aspetti cruciali del suo lavoro, «portando alla luce l’inconscio cinematografico, suggerendo cosa avrebbe potuto e dovuto essere il suo film». Come scrive Mattia Carzaniga nella nostra lista delle 20 migliori cose viste 2018, l’autofiction di Cuarón è da considerare, per diversi motivi, come il film più rilevante dell’annata in corso (perché sta vincendo tutti i premi stagionali, dal Leone d’oro a – si presume – l’Oscar, e perché grazie al passaggio su Netflix sta ridefinendo le possibilità del cinema del futuro). Secondo Brody, però, i problemi del film non stanno nel modo in cui è stato distribuito (che ha ricevuto molte critiche), ma nella superficialità con cui, secondo lui, Cuarón ha descritto alcuni personaggi, in particolare quello della tata.

Roma è il quartiere borghese di Città del Messico in cui il regista è cresciuto. Il personaggio della tata/cameriera, Cleo Gutiérrez (Yalitza Aparicio) è basato su una donna di nome Libo Rodríguez – alla quale il film è dedicato – che ha ricoperto il medesimo ruolo nell’infanzia del regista. Nell’intervista che Brody considera rivelatrice, Cuarón racconta di come, da bambino, restasse incantato ascoltando le tante storie personali che Libo aveva da raccontare. Cleo Gutiérrez, al contrario, parla pochissimo: secondo il critico la sua figura è gravemente stereotipata e asseconda il cliché con cui, nei film, «i registi intellettuali e borghesi rappresentano le classi più povere: un tipo forte, silenzioso, che tollera tutto, lavoratore indefesso, deprivato della parola. Un angelo silenzioso la cui incapacità o riluttanza ad esprimere se stesso è considerata un segno della sua stoica virtù». Non sappiamo niente della sua famiglia, dei suoi pensieri, dei suoi desideri.

Per riassumere la lunga dissertazione del critico, potremmo dire che, secondo lui, nel film di Cuarón manca del tutto una contestualizzazione politica e sociale complessa e credibile. Una critica che ricorda quelle mosse a un altro regista “borghese e intellettuale”, Luca Guadagnino, per il suo Call Me By Your Name. Resta da capire cosa vogliamo da un film, se un’opera d’arte o un video-saggio sullo stato di un Paese in un dato periodo storico.

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