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22:47 martedì 1 luglio 2025
L’Unione Europea ha stabilito che sapere quanto guadagnano i propri colleghi è un diritto Lo ha fatto con una direttiva che l’Italia deve recepire entro il 2026. L'obiettivo è una maggiore trasparenza e, soprattutto, contribuire alla diminuzione del gap salariale tra uomini e donne.
Grazie all’accordo tra Netflix e la Nasa ora si potrà fare binge watching anche dell’esplorazione spaziale Il servizio di streaming trasmetterà in diretta tutta la stagione dei lanci spaziali, comprese le passeggiate nello spazio degli astronauti.
Gli asini non sono affatto stupidi e se hanno questa reputazione è per colpa del classismo Diverse ricerche hanno ormai stabilito che sono intelligenti quanto i cavalli, la loro cattiva fama ha a che vedere con l'associazione alle classi sociali più umili.
In Turchia ci sono proteste e arresti per una vignetta su Maometto pubblicata da un giornale satirico Almeno, secondo le autorità e i manifestanti la vignetta ritrarrebbe il profeta, ma il direttore del giornale ha spiegato che non è affatto così.
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

L’era dello scrivere gratis

E se il problema non fossero gli editori che non pagano mai noi che scriviamo gratis sui social network? Una riflessione a partire da Andrew O’Hagan.

15 Novembre 2017

Tutti abbiamo, o così almeno mi piace pensare, una fantasia sadica ricorrente con cui trastullarci nei momenti difficili. La mia è questa: il caporedattore di una testata «piccola ma prestigiosa», l’ennesima, mi telefona per chiedermi un pezzo; che però, sai come vanno queste cose, non possono pagare; io, magnanima, accetto, promettendo di consegnare giusto a ridosso della deadline, poi però non mando nulla; a quel punto il caporedattore mi richiama per sollecitare e io gli rispondo che, boh, ho cambiato idea, così lui resta con la pagina vuota. Nelle sue edizioni più sgargianti, la fantasia prosegue col caporedattore che protesta, gli impegni presi si rispettano o almeno si avvisa, e io che rispondo che, visto che era una cosa non pagata, non gli dovevo alcunché, se tu non prendi un impegno con me perché dovrei prendere sul serio un impegno con te?

Naturalmente, è una fantasia che non si è mai avverata. Un po’ perché l’educazione che ho ricevuto, a metà strada tra l’etica calvinista e un bootcamp dell’esercito israeliano, mi ha inculcato un senso del dovere cui, mio malgrado, proprio non riesco a sfuggire: la sola idea di dare buca a qualcuno mi farebbe venire un coccolone. Ma soprattutto perché, salvo rarissime eccezioni, il più delle quali riguardano ricatti, non scrivo gratis.

Quello dello scrivere o non scrivere gratis è uno dei temi più divisivi tra i giovani creativi e lavoratori culturali. Da un lato c’è il campo di chi scrive per la gloria o per la visibilità, oppure, perché no, per l’amore di scrivere; dall’altro chi si scandalizza alla sola idea, questo è un lavoro, perdiana, chiederesti a un idraulico o a un dentista… insomma, conosciamo l’argomentazione. In mezzo c’è una pletora di dorotei, coi loro distinguo: dipende dal caso, se un progetto proprio mi piace, se ha un prestigio tale da valerne la pena, se me lo chiede un amico, o se in quel momento sto già guadagnando tanto per i fatti miei. Quanto a me, sarei ben felice di unirmi ai terzisti della realpolitik, se non fosse per il dettaglio che, guarda un po’, devo dosare le forze: i giorni liberi dagli impegni redazionali di Studio sono pochi e preferisco dedicarli a progetti remunerativi o, in alternativa, al parrucchiere. Per me è una questione di tempo, prima ancora che di orgoglio o di portafoglio. E se fosse davvero questa la questione centrale, il tempo?

O'Hagan

L’impressione però è che, in questo dibattito, finora ci siamo persi un pezzo. Mentre stiamo ad azzuffarci, su Twitter e su Facebook, sul fatto che sia giusto o meno scrivere gratis, non ci siamo accorti che scrivere gratis è esattamente quello che stiamo già facendo. Su Twitter, su Facebook, su Medium o sui nostri blog. Il dato di fatto è che vivere di scrittura sta diventando sempre più difficile anche perché abbiamo contribuito a creare un ecosistema sovrappopolato di parole scritte gratis. È una cosa diversa, si dirà: sui social scrivo per me, non per un editore che non mi paga, i social non sostituiscono i libri, se qualcuno vuole leggersi qualcosa di mio che vale deve farlo comprando un libro o un giornale o cliccando su un sito. Eppure. Eppure sappiamo che non è proprio così. In molti casi, il tempo passato leggere materiale su Facebook o Medium è tempo sottratto a leggere altre cose. E intanto abbiamo abituato il lettore a leggere cose non retribuite, e noi stessi a scriverle.

Una volta il direttore di Studio mi ha detto che sta diventando sempre più difficile convincere la gente che la scrittura ha un valore economico, quando noi siamo i primi a regalare le nostre parole sui social network. In un pezzo che pubblicheremo sul prossimo numero della rivista, lo scrittore scozzese Andrew O’Hagan, la mette giù ancora più dura: «Gli scrittori prosperano nella privacy, non su Twitter, e lo stesso vale per i lettori. Dare via le proprie frasi senza pensarci, e per giunta gratis, danneggia la scrittura come professione, l’idea di pagare qualcuno perché è bravo a scrivere, e uccide la concentrazione».

Di O’Hagan è appena uscito per Adelphi La vita segreta, una raccolta di tre saggi che incarnano i «dilemmi collettivi delle nostre esistenze semi-digitali», come scriveva qualche tempo fa Cristiano de Majo. O’Hagan sarà uno degli ospiti della prossima edizione di Studio in Triennale, l’annuale festival di Studio che si terrà alla Triennale di Milano il prossimo 25 novembre. Magari in quell’occasione potremo fare due chiacchiere sullo scrivere gratis. Non è meglio di scriverne gratis su Facebook?

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