Attualità

Roma Nord non esiste

Viaggio oltre il ponte Flaminio, tra marmi, automobili e party classicheggianti. Il Nord della Capitale visto da un non-romano del centro.

di Michele Masneri

“Roma Nord non è così lontana in fondo” – cantava Umberto Tozzi nel 1982 nell’eponimo singolo Roma Nord; ma anche adesso che per i noti party peplum di politici laziali allegri si tende a fare della sociologia, forse è esagerato considerare l’area settentrionale dell’Urbe come autobiografia della Nazione. O almeno, della Regione.

“C’era tutta Roma Nord” (sottinteso: al toga-party) è ormai tormentone, e i sociologi sono al lavoro. Carlo Vanzina, un’autorità, ha scritto sdegnato sul Messaggero venerdì scorso che “si è andati oltre i miei film”; per noi non romani, residenti del centro, di sicuro Roma Nord (d’ora in avanti nel testo, Romanord) è sempre stata soprattutto un mistero. A nessuno verrebbe in mente di dire “sono di Roma Est” o “sono di Roma sud”; eppure Romanord vuol dire invece qualcosa. E poi è difficile collocarla: da dove parte? I Parioli sono compresi? Dove finisce? La inquietante Olgiata è inclusa? Per noi del centro, (aborriti dai romanordisti, che ci considerano minus habens abitanti di un luogo dove non si trova parcheggio e non si possono stendere i panni per il troppo smog; il tema dei panni è ricorrente) è sempre stata un’isola collegata alla capitale da quell’incredibile ponte Flaminio, con aquilotti imperiali e lampioni fuori scala, tipo faro d’Alessandria d’Egitto. Ponte che è stato sempre il magico “apriti Sesamo” per un mondo misterioso che ci ha incuriosito, mai conquistato del tutto. Con questo biancore: marmi bianchi (il travertino del ponte imperiale); palazzine bianche, divani bianchi (ma i telefoni bianchi stavano ai Parioli); molta signorilità, e vie con birignao o status symbol incorporato: via Courmayeur e via Cortina d’Ampezzo; piazza dei Giuochi (giuochi) Delfici; una toponomastica talmente Capital che più di una volta si è sospettato qualche complesso di inferiorità; anche perché non si è mai capito se si tratta di quartieri-bene oppure no. I residenti, naturalmente, lo affermano. Ma le contraddizioni non mancano. Il Fleming, per esempio: costruito su un crepaccio, edilizia così così, palazzoni. Su un grande svincolo. Il trionfo del “residenziale”. “Una zona molto residenziale” dice, in genere, chi ci abita. Mah.

Di sicuro ci sono tante macchine. Passato il ponte, soprattutto Smart e Mini ma anche macchinette senza patente, che sfrecciano sferraglianti fino a Ponte Milvio, luogo di sentimenti minorili, con conducenti asburgici per colore di occhi e di capelli, introvabili in tutto il resto di Roma. Siamo anche probabilmente nel posto con più concessionari e distributori di tutta la capitale; corso Francia, tra un McDonald’s e l’Agip, tra Schifano e Hopper, grandi code verso il centro Rai di Saxa Rubra, e il cimitero di Prima Porta.

Umberto Tozzi cantava: “Sono a Roma Nord a far benzina/chiamo per non farti stare in pena”. In molti esibiscono sul parabrezza l’adesivo del Due Ponti, palestrona identitaria il cui sticker, per lo chic romanordista, è secondo solo a quello “Comprensorio di Monte Argentario”, sempre in bella vista. Perché a Romanord non c’è solo il Capitale, c’è anche il Pettorale; e anche qui l’etnia è generalmente più fit della media romana, e più alta (o forse sono solo le New Balance). Non lontano del resto sorge l’esondato-esodato Salaria Sport Village della Cricca, mentre pochi si spingono fino allo storico Roman Sport Center sotto villa Borghese, tra i pini marittimi maestosi e le architetture garagistiche-brasiliane di Luigi Moretti (ma qui, di nuovo, abbiamo riattraversato il ponte Flaminio).

Forse anche a Romanord c’è la crisi: ma qui, una volta, c’era il boom (ma il Boom, il film, è invece girato al Circolo del Tennis Parioli, sempre lì, magnifica ossessione forse di Romanord). E sembra di sentirlo ancora. Qui dietro, in via Blumenstihl, alla Camilluccia, compound diplomatico di ville blindate (anche qui, molti dubbi. Ok, è un quartiere molto residenziale, ma nessuno ci verrebbe mai ad abitare, se non gravato da prole o cani), abitava Gadda; e l’Ingegnere ammirava molto le novità ingegneresche dell’erigendo Hotel Hilton, in via Trionfale (l’Hilton divenne poi negli anni Duemila epicentro della riscoperta culinaria romana, con un ristorante molto stellato, ma non frequentato, pare, oggi, dai gourmet della regione Lazio).

E però di party ce ne sono sempre stati, in costume e non. Alcuni proprio come quello organizzato dal consigliere Pdl presso lo stadio del Tennis del Foro Italico; altro caposaldo di romanordismo, tra marmi e porfidi e aquile e statuaria fascista testosteronica, mamme in suv che accompagnano a lezione bambini ariani, tra Finzi-Contini e Leni Riefenstahl. Un party romanordista trash c’è già in Fratelli d’Italia, proprio al Fleming, “oltre il ponte Flaminio, un quartiere sconvolto da nuove costruzioni e frane. Si arriva sull’orlo di una vera voragine, profondissima, rasentandola tra tragiche ruspe senza poter fare marcia indietro”; “Non si sa di chi sia l’appartamento. Ad aprire viene una creaturina nuda e inceronata, dalla testa ai piedi, con un mazzo di penne di pavone infilate nel dietro. Dice di essere marmorina al Verano. È un ballo di mediatori d’automobili usate”. Ancora marmi e ancora macchine, e siamo nel 1963.

Ma poi nessuno ha ricordato la vera festa mitologica a cui si assistette, nel 2006, per gli ottanta anni di Hugh Hefner, patron della “rivista che si legge con una sola mano”, e a cui forse De Romanis si è ispirato. Con una Valeria Marini molto scollata, portata a braccio su una biga o triclinio, con paggetti e vestali a spargere petali di rose al suo passaggio, e molto alcol (e il giorno dopo Hefner ebbe un coccolone, dovuto – si disse – alle correnti della villa). La location, Villa Miani, storica magione neoclassica dove da decenni si celebrano matrimoni aspirazionali non solo romanordisti; assurta a simbolo cinematografico del conflitto di classe tra l’altro nel Conformista (1970), nello Scopone scientifico (1972) e soprattutto nel Secondo tragico Fantozzi (1976), con il famoso pranzo Serbelloni-Mazzanti Vien dal Mare e il dobermann “Ivan il Terribile trentaduesimo, discendente di Ivan il Terribile I, appartenuto allo zar Nicola, e fucilato sulla piazza Rossa come nemico del popolo”. Del resto Romanord è stata anche luogo politico di forti dialettiche: terreno storico della destra romana, vi abitava però Berlinguer; e se a via Fani, svoltata la Camilluccia, veniva rapito Moro e assassinato il compromesso storico, Romanord scopriva dieci anni dopo il riflusso e la fuga nel privato. Moccia stesso individua un segnale preciso: “Un giorno, sul ponte Flaminio, al posto delle solite tirate politiche trovai scritto: Catia hai il più bel culo d’Europa. E fu la prima volta che andai a scuola sorridendo”.