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L’Isis sta provando a conquistare l’Egitto?

La scorsa settimana una serie di attentati coordinati hanno scosso la penisola del Sinai, per poi essere rivendicati da un gruppo "affiliato" all'Isis. Nel fine settimana ci sono stati nuovi scontri. Cosa sta succedendo nel Sinai? Quanto c'entra davvero l'Isis? Il punto sulla situazione.

di Anna Momigliano

La scorsa settimana una serie di attentati hanno scosso la penisola del Sinai, una delle zone più turbolente dell’Egitto e sono stati poi rivendicati da un gruppo che si dichiara affiliato con l’ISIS. Generalmente considerato di ispirazione “qaedista”, Ansar Bayt al-Maqdis aveva già rivendicato la decapitazione di presunti “collaborazionisti” nonché attacchi contro gasdotti, e lo scorso novembre aveva giurato fedeltà allo Stato islamico del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Questo significa che l’ISIS è arrivato nel Sinai? Oppure che, dopo avere conquistato parte di Siria e Iraq, lo Stato islamico punta a prendersi anche un pezzo di Egitto? In realtà la situazione è un po’ più complicata di così. Ma non per questo meno preoccupante. Infatti durante il fine settimana nel Sinai si sono verificati scontri tra l’esercito egiziano e la popolazione locale, tanto che alcune agenzie di stampa internazionali  cominciano a parlare di una vera e propria “rivolta del Sinai.” Qui proviamo a fare il punto.

Gli attacchi – Una serie di obiettivi militari e della polizia egiziani nel Nord della penisola del Sinai sono stati colpiti tra il 29 e il 30 gennaio (più precisamente: tra il pomeriggio di giovedì e durante la notte tra giovedì e venerdì), in una serie di attacchi coordinati. Almeno 26, tra soldati e poliziotti, sono rimasti uccisi, almeno 50 i feriti (la Reuters parla di 30 morti). Stando alla ricostruzione della Bbc, che cita fonti egiziane e il giornale filo-governativo Al-Ahram, gli attacchi sono stati almeno quattro: prima un lancio di razzi nella città di El-Arish contro una base militare e un hotel che ospitava dei soldati; poi un’autobomba contro la base militare di El-Arish; contemporaneamente è stato attaccato, a colpi di arma da fuoco, un checkpoint militare al valico di Rafah, il confine con la Striscia di Gaza, costantemente pattugliato dagli egiziani; anche l’ufficio di corrispondenza del giornale Al-Ahram (il nome significa “Le Piramidi”) sarebbe stato distrutto, stando a quanto dichiarato da fonti del quotidiano alla Bbc.

La rivendicazione – In un primo momento il governo egiziano ha attribuito la responsabilità degli attacchi coordinati di giovedì e venerdì ai Fratelli Musulmani, partito islamista che ha governato di recente l’Egitto (ad esso apparteneva il presidente Mohammed Morsi, deposto da un golpe militare nel 2013), acerrimo nemico dell’attuale governo vicino ai militari e di conseguenza dichiarato fuorilegge. Venerdì 30 gennaio però è arrivata la rivendicazione da parte di Ansar Bayt al-Maqdis, definito come “gruppo terrorista affiliato all’ISIS.”

Cos’è Ansar Bayt al-Maqdis – è un gruppo terroristico, basato nel Nord del Sinai, che fa parlare di sé dall’inizio del 2011. Inizialmente tuttavia le loro azioni erano concentrate soprattutto sul fronte israeliano. Il Sinai infatti confina con lo Stato di Israele, con cui l’Egitto si trova da decenni in uno stato di “pace fredda”, e con la Striscia di Gaza, dove attualmente l’Egitto collabora con le forze israeliane per mantenere il “blocco” delle frontiere Negli anni scorsi Ansar Bayt al-Maqdis ha portato avanti una serie di attentati che miravano a colpire il rapporto – se non amichevole, pur sempre cordiale – tra l’Egitto e Israele. Per esempio hanno colpito i gasdotti, che portavano energia egiziana ai consumatori israeliani, nonché decapitato dei cittadini egizianiaccusati di essere “collaborazionisti” di Israele. Dopo il golpe del 2013 (quello in cui i militari hanno deposto Morsi) però Ansar Bayt al-Maqdis ha cominciato a prendere di mira anche il governo egiziano, per esempio tentando di assassinare il ministro dell’Interno e un politico locale. Dal canto loro le autorità egiziane (l’attuale presidente Abdel Fattah el-Sisi, vicino all’esercito, è stato eletto nel 2014 con elezioni democratiche, da cui però i Fratelli Musulmani sono stati esclusi) hanno spesso accusato il gruppo terrorista di avere legami con i Fratelli Musulmani. Altri ancora li hanno accusati di legami con Hamas, il gruppo estremista palestinese. La maggior parte degli analisti, tuttavia, si limitavano a definirlo un gruppo “ispirato ad al-Qaeda”.

Il giuramento all’ISIS – Nel novembre del 2014 Ansar Bayt al-Maqdis ha diffuso un messaggio audio in cui dichiarava fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, califfo dello Stato islamico, anche se le prime notizie su presunti contatti tra i due gruppi risalivano all’estate del 2014. In pratica, si trattava di una dichiarazione in cui il gruppo egiziano riconosceva al-Baghdadi come legittimo leader politico e spirituale dei musulmani (la questione di leadership e “califfato” è spiegata più nel dettaglio qui). Nel concreto, non significava che il gruppo egiziano è “entrato nell’ISIS”, ma piuttosto una dichiarazione di stima e di vicinanza ideologica nei confronti dello Stato islamico. Inoltre, come spiega questa analisi della Afp, è stato anche un tentativo di rafforzare la propria immagine, dandosi un tono internazionale e richiamandosi a un “nome di successo” come l’Isis.

La differenza principale sta nel fatto che l’ISIS opera come un esercito, combattendo in campo aperto, con armamenti pesanti e forte di grandi numeri, mentre il gruppo egiziano è numericamente piccolo e utilizza tattiche di guerriglia

Ma l’ISIS è un’altra cosa – L’ISIS, inteso come gruppo armato che controlla parti di Siria e Iraq e non come l’“ideale” che rappresenta, e il gruppo egiziano Ansar Bayt al-Maqdis sono due cose molto diverse. Come spiega sul sito Al Monitor il giornalista egiziano Moustafa Bassiouni, la differenza principale sta nel fatto che l’ISIS opera come un esercito, combattendo in campo aperto, con armamenti pesanti e forte di grandi numeri, mentre il gruppo egiziano è numericamente piccolo e utilizza tattiche di guerriglia, con attacchi in stile mordi-e-fuggi. Inoltre l’ISIS ha il controllo quasi totale del suo territorio, mentre Ansar Bayt al-Maqdis opera su un territorio controllato, almeno per il momento, dal governo egiziano. Di conseguenza, “nonostante il giuramento di fedeltà, è improbabile che [il gruppo egiziano] diventi l’estensione dell’ISIS in Egitto”.

La situazione nel Sinai è però davvero esplosiva – Finora abbiamo provato a spiegare che, almeno nel breve-medio termine, è estremamente improbabile che l’ISIS possa conquistare l’Egitto, o anche solo il Sinai. Questo non significa però che la situazione nella penisola non sia esplosiva. La penisola del Sinai è una zona estremamente povera – e, quel che è peggio, marginalizzata – dell’Egitto. Abitata prevalentemente da popolazioni beduine che non beneficiano affatto del fiorente business del turismo, che impiega per la stragrande maggioranza lavoratori non-beduini. Inoltre i beduini del Sinai hanno tradizionalmente un rapporto conflittuale con lo Stato egiziano, che accusano di averli abbandonati da un punto di vista economico e marginalizzati da un punto di vista sociale. È una situazione che si trascina da decenni e cha contribuito alla proliferazione di gruppi e gruppuscoli estremisti nella penisola. La vicinanza con Gaza e Israele non ha fatto che complicare le cose. Al momento, oltre alla sopracitata Ansar Bayt al-Maqdis, contro le forze governativi sono impegnati altri gruppi di ispirazione più o meno qadista (tra i nomi più noti: Ansar al-Sharia e Mujahideen Shura Council) oltre che gruppi tribali beduini. Finora, tuttavia, l’esercito egiziano è riuscito a mantenere il controllo del territorio. Non è detto però che ci riesca a lungo.

Gli scontri di domenica – A pochi giorni dagli attentati coordinati rivendicati da Ansar Bayt al-Maqdis, si sono verificati una serie di scontri nella penisola del Sinai che hanno coinvolto le Forze Armate egiziane e gruppi locali, che per il momento non sono identificati. Stando a quanto riferisce la Reuters, nella giornata del primo febbraio dei “miliziani” hanno lanciato dei razzi contro il checkpoint di Rafah (ossia la frontiera tra Egitto e Gaza): l’obiettivo era colpire i militari di stanza lì, però i razzi sono caduti in un’area civile poco distante, uccidendo due donne. Sempre a Rafah c’è stato uno scontro a fuoco tra i militari egiziani e non meglio precisati “miliziani”: non è chiaro ancora a che gruppo armato appartenessero i secondi, ma in ogni caso un proiettile vagante ha ucciso una donna civile. Per mettere questi episodi nel contesto, la Reuters riassumeva: «l’Egitto si trova ad affrontare una rivolta nel Sinai, che ha causato la morte di centinaia di forze di sicurezza da quando l’esercito ha rimosso presidente Morsi nel 2013, a seguito delle proteste di massa contro il suo governo.»

Concludendo – Più che creare una succursale dello Stato Islamico nel Sinai, l’obiettivo delle cellule terroristiche attive nella penisola sembra essere precisamente questo: fare perdere il controllo del territorio al governo egiziano. Il pericolo, per il momento, non è che il Sinai si trasformi in una provincia del califfato, ma piuttosto in una sorta di Stato fallito dove una serie di gruppi armati — legati o meno all’Isis importa fino a un certo punto — possano agire liberamente.

 

Fotografia in evidenza di Jonathan Rashad/Getty Images

 

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