Attualità

Interno Criminale

Gomorra e le sue ambientazioni domestiche. Come lavora lo scenografo del format tv e come sono le vere case dei camorristi.

di Michele Masneri

Interni sobri da Padrino o claustrofobici da rifugio di Bernardo Provenzano: dimentichiamoceli. C’è tutto un interior design camorristico-criminale da scoprire. Naturalmente la consacrazione del nuovo paradigma si ha con Gomorra – La serie, già culto televisivo prodotto da Sky Italia e Cattleya. Qui, la reggia dei Savastano, clan disfunzionale di Scampia alle prese con difficili problemi di successione, assurge a manifesto estetico del nuovo corso, tra tappezzerie damascate, vasi finti antichi, consolle Luigi XV, nicchie con leoni in librerie tipo Roche-Bobois però più estreme, e abat-jour, e divani barocchetti, e balaustre, e un enorme ritratto di famiglia. Il compasso d’oro è lontano.

Paki Meduri, scenografo di Gomorra – La serie. Come hai ideato gli interni di casa Savastano?

Ho dovuto stuprare abbastanza il mio senso estetico. Però mi sono divertito molto. Un grande lavoro di ricerca, ho seguito molti arresti eccellenti, siamo andati a casa di vari boss, poi soprattutto abbiamo fatto molto scouting tra persone che non erano proprio boss, ma aspiranti, persone legate ai clan anche alla lontana, comunque famiglie del territorio. Comunque nelle case di periferia di gente che aveva molti sodi, e abbiamo visto che tipi di televisori avevano, che pavimenti, che bagni, che quadri. La casa dei Savastano esternamente è così come si vede nella serie, una specie di castelletto sudamericano, da Narcos, con le merlature, e gli intonaci rosa all’esterno, e tutto intorno il grande muro di cinta. Le ville dei camorristi che abbiamo visto hanno tutte questi enormi muri di cinta con le telecamere, e cancelli sempre chiusi. Qui però la villa è al centro di Scampia, perché il boss vuole stare al centro dei suoi affari. All’interno però l’abbiamo cambiata molto, l’abbiamo molto riempita.

È di un boss?

No, è una persona normale, si occupa credo di cavalli, infatti c’erano molti quadri di cavalli. Poi durante le riprese è saltato fuori che era legato in qualche modo alla criminalità, quindi l’hanno pure sequestrata, e per un po’ non abbiamo potuto girare. Ma poi il problema si è risolto, perché noi avevamo un regolare contratto di affitto.

In molte inquadrature c’è un ritratto di famiglia dei Savastano.

(Ride) Quello è bellissimo. L’abbiamo fatto fare a un artista di Secondigliano molto quotato in zona, un dipinto a olio fatto con tutti i crismi. Lui non sapeva nulla del fatto che fosse una produzione televisiva, gli abbiamo portato le foto degli attori e lui l’ha fatto, anche molto velocemente, perché l’idea del ritratto ci è venuta all’ultimo, quando visitando alcune case di boss ci siamo resi conto che ovunque c’erano questi ritratti pseudo-nobiliari, come a voler ricreare un passato aristocratico. In questo laboratorio c’erano decine di quadri: tutti gruppi di famiglia, non solo della camorra ma anche di famiglie normali, molte prime comunioni, c’è una continua richiesta di queste cose.

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Poi a casa Savastano c’è un altro quadro micidiale, che rappresenta una donna un po’ scosciata in un abito di lamé.

Quello l’ho trovato in un mercatino, a Napoli. Mi serviva per modernizzare un po’ l’ambiente, e renderlo allo stesso tempo ancora più terrificante, accanto ai tavoli finti Ottocento, i mobili finti neoclassici. Poi gli ho messo una cornice dorata.

ⓢ E poi ci sono tante tigri.

Tigri tantissime. Ce ne sono due rampanti in questo mobile che ho fatto fare nello studio di Pietro Savastano, coi libri finti e due nicchie dorate. Poi ci sono due tigri nere. C’è un quadro con una enorme tigre che ruggisce. In camera di Genny (il figlio del boss) pure ce n’è una nera; ci sono copriletti con tigri, e una tigre enorme nella camera da letto; qui c’è l’apoteosi della tigre; una statua dorata alta un metro e dieci, col capoccione grosso e gli occhi enormi di smeraldo Swarovski.

ⓢ Ma dove le avete comprate tutte queste tigri? E le statue di padre Pio?

Le tigri in un negozio di Napoli specializzato in animali di porcellana; lì abbiamo preso non solo le tigri ma anche i dobermann che stanno nello studio di Salvatore Conte (il boss rivale) e nella sua villa di Barcellona. Le statue di Padre Pio invece, che sono tantissime, sparse in tutte le case e i palazzi di Scampia, le abbiamo prese un po’ in un negozio di Roma, un antiquario che si chiama Agostinelli, che ci ha fornito diciamo i padri pii carini, quelli fighi diciamo. Quelli più scrausi li abbiamo presi a Napoli. In tutto abbiamo usato circa ottanta padri pii.

Casa Savastano è opera di fantasia ma la criminalità ha dato segni di grande vitalità negli ultimi anni a livello di architettura d’interni. Due anni fa la polizia irruppe nella villa di Casal di Principe di Nicola Schiavone, figlio del più noto Francesco, alias Sandokan. «Ci sono impianti di climatizzazione in ogni ambiente e due grandi cancelli elettrici agli accessi carrabili. I mobili sono tutti di lusso e di noti marchi. Anche le rifiniture sono di pregio, ma per il catasto era un’abitazione popolare» (da Repubblica). E ancora: «I vani interni sono come un museo del design e dell’arte contemporanea, con almeno dieci quadri di pittori contemporanei molto quotati, sedie Frau pieghevoli rosse e gialle del valore di mille euro l’una, pareti ricoperte di mosaici in tessere di vetro di Murano, come quelle del bagno della camera da letto di Nicola Schiavone e della moglie, parquet in radica di noce». Qui, nelle foto pubblicate da Repubblica, anche una poltrona barocchetta-postmoderna tipo la Proust di Mendini, pareti scure, una cucina industriale inox, armadi-frigoriferi, grappe da collezione, molte scarpe Hogan. In generale, interni più moderni e ariosi di quelli di Gomorra; forse la casa di un boss giovane.

A Roma, invece, la criminalità predilige toni più classici. Due anni fa ci fu una storica retata presso il quartier generale dei Casamonica, clan molto in ascesa, nel quartiere della Romanina, periferia della capitale; lì si svelò molto dei gusti della nuova classe affluente criminale: porta kleenex d’oro, bagni neri, porte materassate tipo 007, scaloni di porfido, colonne ioniche. Interni chiari, per le boiserie si opta per una laccatura sul tono dell’avorio. Sempre tanto marmo, e forse è solo una coincidenza, ma la retata arrivò a seguito del pestaggio di un marmista che dopo aver realizzato ingenti opere decorative pretendeva di essere pagato, e che invece venne massacrato, e denunciò il clan.

ⓢ Francesca Fagnani di Servizio Pubblico seguì la polizia in quell’intervento. Come sono queste case?

Intanto colpisce il contrasto; come in Gomorra, anche alla Romanina ci troviamo in un quartiere estremamente popolare. Una strada tutta di villette modeste all’esterno, tutte uguali, a due piani. È la via dello spaccio. Le donne aspettano fuori, chiuse a chiave dagli uomini che dentro preparano le dosi. Le donne stanno fuori in veranda, non hanno né soldi né dosi con loro, in modo che se arriva la Polizia deve entrare in queste case, sfondando le porte e le inferriate. Dentro, una cosa che mi ha colpito, trovi subito una glacette d’argento con dentro diverse bottiglie di Veuve Clicquot. Queste le trovi proprio in tutte le case dei Casamonica, una specie di marchio di fabbrica. Con dei bicchieri di cristallo. Poi mi ricordo un bagno Versace, nero, con una vasca idromassaggio con i rubinetti placcati d’oro. Megatelevisori in tutte le stanze. Quello che è più interessante è che le case sono proprio tutte uguali, costruite come in serie, col patio, e il caminetto sempre acceso.

ⓢ Perché sempre acceso?

Per bruciare la droga nel caso di irruzione della polizia. Siccome buttarla nel water ormai è un trucco che sanno tutti, loro preferiscono bruciarla, e così in tutte queste case anche in agosto c’è il caminetto acceso. Poi letti a baldacchino, sempre, in tutte. E grandi armadi dorati a specchio. Arredi tipo Maria Antonietta. E queste porte matelassé, con stipiti di legno laccato bianco e oro, con timpani. Lì dentro, nelle porte e negli stipiti, mettono la droga, e la polizia infatti li smonta. Un’altra cosa che mi ha colpito è in mezzo a questo lusso le donne sono vestite male, trascurate. I Casamonica, di origine rom, un tempo facevano i commercianti di cavalli.

 Nel servizio, insieme a due ghepardi di porcellana, si vede anche un cavallo d’oro rampante, molto simile a quello della Rai di Saxa Rubra, ma senza ali.

Ah, e poi una specie di comò di legno bianco dorato, barocco, con sopra boccettine di profumi, ma tantissime, tipo settanta, delle più note marche, credo a voler dimostrare una certa opulenza. E poi tendaggi. E uno specchio nero con delle piume.

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C’è anche un ananas di cristallo. In generale il nuovo gusto camorrista sembra comunque avere influenze più straniere che italiane. Poca tradizione sicula di mobili scuri, e molta contaminazione. «Soprattutto Scarface» dice Francesca. E «Scarface» dice anche Paki Meduri di Gomorra. Il film del 1983 di Brian De Palma insomma è il riferimento. «Uno Scarface riveduto e corretto, aggiornato ai gusti del 2014» continua Paki. Facciamo dei distinguo tra le varie mafie?«In generale i siciliani hanno moltissime proprietà e si spostano molto tra queste, non stanno mai fermi. Invece i camorristi se le godono, le case; se le godono le mogli, soprattutto. La casa del camorrista è il regno della donna, che ci tiene tanto. Sempre tenute in maniera spettacolare, sempre linde». E la ‘ndrangheta? «Non sono un esperto, però diciamo che sono sempre case un po’ posticce, spesso neanche intonacate, spoglie, coi mattoni a vista e coi ferri che escono dalle pareti. Posti da cui scappare improvvisamente». Ma la casa dei Savastano adesso che fine farà? «Alla fine il proprietario ci ha pregato di lasciarla con gli arredi di Gomorra, gli è piaciuta tantissimo, anche i vicini e la gente del posto erano entusiasti, era esattamente la casa che sognavano».

 

Tutte le foto sono di Emanuela Scarpa