Attualità

I circoli dell’orrore

L'horror è il genere che crea più empatia tra gli spettatori. Raduni, citazionismo, comportamenti universali. Da Troll 2 alle saghe di Halloween.

di Federico Bernocchi

Qualche anno fa, nel 2009, è uscito un bellissimo documentario intitolato Best Worst Movie, titolo traducibile come Il Migliore tra i Film Peggiori. Il regista è Michael Stephenson, un attore statunitense che nel 1990 prese parte a Troll 2, per l’appunto il migliore tra i film peggiori. Troll 2, diretto dal nostro Claudio Fragasso con lo pseudonimo di Drake Floyd, è un ridicolo (non solo nel risultato, ma stando a quanto dice Fragasso anche nell’intento) film horror scritto dal regista insieme alla moglie Rossella Drudi. Racconta la storia di una famiglia che si trasferisce a vivere in un piccolo paesino chiamato Nilbog. Gli amici del Bartezzaghi avranno già notato che il nome della città al contrario è Gobiln. Per quale motivo? Semplice: Niblog pullula di Goblin vegetariani che, grazie a uno strano fluido verde, trasformano le persone in alberi per poi mangiarle. Inutile dire che, con una trama del genere, Troll 2 è un film di rara bruttezza. Girato male, recitato peggio, fu all’epoca un clamoroso quanto prevedibile insuccesso. Considerato per molti anni come uno dei film più brutti della storia del cinema, con il tempo s’è invece guadagnato lo status di culto.

Grazie al passaparola in rete, più o meno nel 2006 Troll 2 ha avuto una sorta di seconda giovinezza. Che è una fortuna vera per chi di giovinezza non ne ha mai avuta nemmeno una. Gli appassionati di cinema horror o di serie B cominciarono a organizzare visioni collettive per godere dello scempio realizzato da Fragasso e consorte. Il tutto divenne in poco tempo un vero e proprio fenomeno, capace di attirare l’attenzione di un grande numero di persone. Qualche cinema di provincia cominciò a chiamare a queste proiezioni i vecchi attori e registi e la fama del film continuò a crescere. Best Worst Movie racconta proprio questo: la trasformazione di Troll 2 da peggior film della storia del cinema a fenomeno di costume. C’è una parte in cui si ricostruisce la lavorazione del film, ci sono interviste agli attori e al regista, ma soprattutto si documenta l’amore dei fan nei confronti della pellicola in questione. La sequenze più interessanti del documentario sono proprio quelle in cui si assiste a queste proiezioni pubbliche: qui centinaia di persone si ritrovano per citare battute a memoria, travestirsi da Goblin vegetariani e, semplicemente, stare insieme.

Per chi, come il sottoscritto, è fondamentalmente abituato a vivere la fruizione di un film come un’esperienza solitaria si tratta di un piccola rivelazione. Best Worst Movie, oltre ad aver fatto il giro di molti festival e ad aver riscosso ottime critiche, s’è imposto nell’immaginario comune tanto da essere citato solo due anni dopo nel deludente Scream 4. Wes Craven e Kevin Williamson, per il quarto capitolo della loro saga ultracitazionista, ambientano una sequenza di omicidio proprio durante una visione collettiva del film Stab. I ragazzi dell’immaginario cittadina di Woodsboro si ritrovano per vedere tutti insieme Stab (immaginario film esistente solo nell’universo di Scream): mentre tutti sono travestiti da assassino e vagano per la sala citando le battute del film a memoria, il vero assassino ne approfitta per agire indisturbato.

Certo, il fenomeno non è nuovo: l’esempio forse più famoso è quello di Rocky Horror Picture Show. Anche da noi in Italia, per la precisione a Milano al cinema Mexico, da anni si organizzano proiezioni in cui il pubblico partecipa attivamente e in gruppo alla fruizione del film, ricreando i famosi numeri musicali e interagendo con la visione anticipando le battute più famose. Ma questo, almeno per noi, è un piccolo caso isolato. Negli Stati Uniti invece è usanza molto più diffusa. Il caso Troll 2 ha lanciato una piccola moda. Visto che qualcuno è riuscito anche a guadagnarci dei soldi, in molti si sono subito messi alla ricerca di un altro Best Worst Movie attorno al quale creare un culto collettivo. Dal cilindro dei vecchi crimini ai danni del Cinema è stato per esempio resuscitato Halloween III: Il Signore della Notte. Datato 1982, questo atroce film prodotto dal nostro Dino De Laurentiis, in compagnia del duo John Carpenter e Debra Hill, è stato per lungo tempo snobbato da pubblico e critica, ma oggi ha qualche sparuto sostenitore. Il film si ricorda principalmente per la sciagurata idea di togliere dalla trama il vero protagonista del franchise Halloween, l’assassino con la maschera e il coltello in mano Michael Myers, con lo scopo di creare una sorta di lungo episodio di Ai Confini della Realtà ambientato proprio durante la macabra festività. Il risultato è un pasticcio di rara bruttezza e inutilità, salvato in extremis da qualche furbacchione proprio per la sua involontaria comicità.

Oggi, non a caso il giorno di Halloween, un pubblico di nerd appassionato di film horror si ritroverà in qualche piccola sala di provincia americana a guardare insieme questa pellicola, ridendo felici alla rivelazione che grazie al potere di una pietra di Stonehenge un perfido creatore di maschere per bambini vuole conquistare il mondo. Ovviamente, come si dice in questi casi: contenti loro, contenti tutti. Ma la domanda che ci dobbiamo fare è: perché vedere un film in compagnia?

Uno degli aspetti più affascinanti del Cinema è la sua capacità di essere diverso, differente da cultura a cultura. Parlo di una diversità che agisce su più aspetti. In primo luogo, detto nel mondo più semplice possibile, ogni cultura produce film di un certo tipo. Per spiegare semplicemente questa frase prendiamo il genere cinematografico dove questa differenza culturale è più evidente: la commedia. Ciò che fa ridere noi italiani può non far ridere in altri parti del mondo. Si tratta di una questione di consumi culturali, tic, abitudini. Fantozzi non fa ridere in Svezia, perché la sua comicità è basata su un tipo di società, di organizzazione del mondo del lavoro che là non esiste. Se guardo un film francese dove i protagonisti si scambiano pungenti battute sui vicini belgi, può anche essere che su di me non abbiano effetto. Questa differenza culturale non agisce solo sulla commedia, ma praticamente su tutti i generi cinematografici (anche se ha un’eccezione su cui torneremo più avanti).

Ma il cinema è diverso di cultura in cultura non solo per quanto riguarda i suoi contenuti, ma anche per quanto concerne la sua fruizione. L’esempio più facile in questo senso è il pubblico indiano. I film del famoso cinema di Bollywood (sempre più citato e sempre meno visto), sono incredibilmente partecipati. Se cercate in rete un esempio ve ne potete fare facilmente un’idea. Il pubblico esulta quando il protagonista ha la meglio e, quando invece è il villain a prevalere, fischia e si dispera. I più scalmanati salgono sul palco e addirittura percuotono lo schermo. Per noi questo è fondamentalmente un comportamento incomprensibile. Noi guardiamo i film in silenzio, più o meno sempre infastiditi dal resto del pubblico che chiacchiera o commenta le sequenze. Questo perché per noi la visione di un film è un gesto personale, solitario, capace di dirci qualcosa solo se riferito alla nostra persona, al nostro passato e alla nostra cultura (e anche perché, ammettiamolo, molti di quelli che riempiono le nostre sale sono anche affetti da quella brutta malattia che è la maleducazione. C’è differenza tra salire sul palco e esultare perché il Bene ha vinto e rispondere al proprio cellulare infischiandosene degli altri). In altri paesi invece la visione diventa parte integrante dello spettacolo. Il film parla allo stesso modo a tutti e tutti, come coloro che scapparono di fronte alla locomotiva dei Lumière, si comportano più o meno allo stesso modo.

Facciamo però un passo indietro. Abbiamo accennato a un genere capace di essere più o meno uguale in tutto il mondo. Questo genere è l’horror. Le ragioni sono semplici: ciò che fa paura in Australia fa paura anche in Italia o in Germania. La paura, a differenza della comicità o dei rapporti tra personaggi in un film drammatico, è universale. Tutti hanno avuto paura del buio e tutti hanno immaginato almeno una volta della vita di trovare qualcuno o qualcosa nascosto nel proprio armadio. Per questo motivo gli unici film che hanno una larga partecipazione pubblica sono proprio i film horror. Da spettatore noioso quale sono ho notato che la maggior parte del pubblico in sala durante un film horror, dopo una sequenza particolarmente cruenta o tesa, si lascia andare a una risata liberatoria. A pericolo scampato, ci si sente sollevati; di conseguenza si ride ad alta voce per condividere questa sensazione con altri.

Non solo: l’horror è l’unico genere capace di far saltare qualsiasi sospensione di incredulità. Siamo tutti pronti ad accettare il fatto che in una commedia romantica la brutta della classe sia una fotomodella con la coda e gli occhiali da vista (Emma Stone viene insistentemente spacciata come bruttona impacciata. Ok, non è Charlize Theron, ma non mi sembra proprio una brutta ragazza), ma siamo pronti ad individuare la più piccola incongruenza in un horror o thriller. Se un personaggio di un film dell’orrore decide di scendere di notte, al buio, in una cantina dove anni prima è stato commesso un omicidio, automaticamente il film perde di credibilità. Questo porta tutti a sentirsi legittimati a una sonora risata e al rendere partecipe tutta la sala che nessuno di noi si sarebbe comportato realmente in quel modo. Il cinema horror, con tutti i suoi difetti e limiti, è l’unico che conserva ancora oggi una sua dimensione collettiva. Che questo sia un bene o un male dipende ovviamente dalle vostre convinzioni. Oggi è Halloween. Volete provare?