Attualità

Emma Watson, anche meno

Dove c’è odore di impegno sociale c’è lei, una compagna che si candida a rappresentante d’istituto, e anche principessina nella Bella e la Bestia.

di Mattia Carzaniga

Emma Watson firma editoriali sul corpo delle donne. Emma Watson lascia libri nella metropolitana per incentivare la gente incolta alla lettura, Emma contro la piaga dei pendolari sulla linea gialla attaccati a Candy Crush andata e ritorno. Emma Watson – soprattutto – è la protagonista del nuovo La bella e la bestia, fiabona Disney in uscita giovedì 16 marzo, che farà incassi miliardari, ma che lei traveste da un’altra cosa, anzi le due che le stanno appunto a cuore. Stando alle sue dichiarazioni, è un manifesto sul corpo delle donne: «Nei primi schizzi della costumista era previsto che Belle indossasse le scarpette da ballo. Che sono bellissime, per carità: ma cosa può fare di utile una ragazza con le scarpette da ballo ai piedi?». È pure diventato, guarda un po’, un invito alla lettura, considerata l’eroina divoratrice di tomi ottocenteschi che si innamora del cagnone: «I libri hanno il potere di cambiare la tua prospettiva sulle cose. Il film parla esattamente di questo». La chiosa mette insieme il corpo delle donne e i libri (di testo): «Viviamo ancora in un mondo in cui 80 milioni di ragazze non possono andare a scuola solo in quanto femmine».

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Emma Watson non la disegnano antipatica: così ci è nata. È di quel genere preciso che tutti abbiamo avuto in classe: la secchiona che non studia manco troppo, tanto sa che il professore non si azzarderà mai a darle meno di sei al sette; la compagna che si candida come rappresentante d’istituto, perché sa che gattamortismo e senso civico sono una micidiale combo acchiappa-voti; la barricadera del collettivo di sinistra che però non perde tempo con le manifestazioni fatte tanto per bigiare la scuola: piuttosto, da lecchina qual è, organizzerà una legalissima cogestione insieme al prof. di lettere, convincendolo a invitare un amico dei suoi che insegna Sociologia all’università. Ovviamente mette solo un filo di matita sugli occhi, ha una collezione di Clarks e un fidanzato più grande, facciamo al secondo anno di Filosofia.

Anni fa mi mandarono sul set di Harry Potter: lo racconto sempre ai potteriani fanatici, io che non lo sono mai stato, giusto per farli incazzare. Mentre Daniel Radcliffe e il suo collega roscio erano bravissimi a tenere testa ai giornalisti ma in fondo restavano due pischelli, Emma – sarà che le ragazze maturano prima – era già un’altra cosa, proprio quel genere preciso lì: la cocca dei produttori. Anche da minorenne, il suo atteggiamento era inequivocabile: non offendetemi con le vostre domande del tipo «Chi ha disegnato la tua camicetta?», parliamo invece dell’emergenza profughi nascosta tra le righe della Rowling. Piccole Natalie Portman crescevano, e poi non hanno più smesso.

J.K. Rowling Books Goes To The Big Screen

Con gli anni Emma non ne ha sbagliata una, per corrispondere al profilo di prima della classe che si era scelta fin dall’inizio. I film successivi al periodo Hermione Granger non se li ricorda più nessuno: vi dice qualcosa Noah? E Colonia? E Regression? Neanche Noi siamo infinito resterà nella memoria cinefila, nonostante fosse un buon teen-movie (ovviamente più impegnato della media: non l’avrebbe mai accettato, altrimenti). Forse era tutta una strategia: nessun personaggio doveva vampirizzare l’immagine che Watson stava cercando per sé. Quella che avrebbe fatto dimenticare alle platee di tutto il mondo la streghetta di una saga a nove zeri e si proponeva come baluardo millennial delle nobili cause.

Oggi dove c’è odore di impegno sociale, c’è Emma: dalle marce a sostegno di Hillary Clinton alle battaglie “la [beep alla Rovazzi] è mia e la gestisco io” di Planned Parenthood; dalla Buona Scuola traslata su scala mondiale a Per un pugno di libri UK. Emma è l’unica diva internazionale che starebbe benissimo dentro il palinsesto di RaiTre. Alla fine, snasando il senso del tempo come solo una dottoranda in Scienze del Senonoraquandismo sa fare, trova la parola chiave su cui imbastire la sua nuova me: Femminismo. Un contenitore riadattabilissimo che non fa più paura: siamo ragazze di oggi, ma con un cuore da Rossana Rossanda. Recita Emma: «Femminismo vuol dire permettere alle donne di scegliere. Femminismo è uguaglianza. Femminismo è libertà e liberazione». Si va dai book club in cui spaccia alle iscritte i testi sacri di Gloria Steinem alle copertine di magazine patinati versione “non ti trucchi / e sei più bella”. Se segue dibattito, tanto meglio. Il Popolo del Web è così demente (l’ultima scemissima polemica è: facile parlare di femminismo, quando poi su Vanity Fair America ti fai fotografare con le tette al vento) che ormai Watson passa a ragione per la versione fighetta di Malala: «Non so davvero cosa c’entrino le mie tette con tutto questo. La maggior parte della gente è confusa». Se c’è una cosa che questo genere di secchiona non tollera è avere a che fare con gli stupidi.

"Beauty And The Beast" New York Screening

Il tratto buono (l’unico?) della nostra eroina è proprio l’anti-grillismo: non siete tutti fatti per dire la vostra, prima studiate come ho fatto io e poi ne riparliamo. Forse. Certo lei ci aggiunge la pesantezza intellò di chi vede in una Kardashian qualsiasi la peste nera della nostra epoca. Per dire: Emma ha detto no ai selfie con i fan. «Per me sono il discrimine tra il poter avere una vita oppure no. Se uno si fa una foto con me e la posta sul suo account, in due secondi chiunque verrà a sapere dove sono, vedrà come sono vestita e chi c’è insieme a me. Non posso permettere che vengano diffusi dati così personali. Perciò a chi mi chiede uno scatto dico: “Risponderò ad ogni tua domanda su Harry Potter, ma no: non farò un selfie con te”».

La sola cosa che ancora non è riuscita a Watson è farsi prendere per un’attrice seria: per quanto femminista, al momento è globalmente percepita come una principessina Disney. Me la vedo ancora lì che pesta i piedi per aver mancato la parte da protagonista in La La Land (Dio sia sempre ringraziato). Era lei la prima scelta, però voleva troppi soldi, e poi aveva chiesto di fare i corsi di tip-tap a Londra, insomma Chazelle le ha detto arrivederci Emma 1, benvenuta Emma 2 (Stone), e sappiamo com’è andata, dalle unanimi lodi al premio Oscar. Emma Watson ancora non se ne fa una ragione. Del resto, quel preciso genere di gattamorta impegnata ha un’altra caratteristica inequivocabile: non deve mai essere colta in fallo. È come essere costretti a chiedere al compagno di banco quella frase della versione di greco che – ti costa una gran fatica ammetterlo – proprio non riesci a tradurre. Hai voglia a fare gli incontri di sensibilizzazione in aula magna, con quel sette e mezzo rubato.

 

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