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Chronicle e i film Found Footage / 1

Partendo dall'imminente Chronicle, un'indagine sul genere cinematografico del "finto amatoriale"

di Federico Bernocchi

Chronicle è soltanto l’ultimo esempio. I più famosi sono stati The Blair Witch Project, [REC] e Quarantine. Parliamo dei film “Found Footage”, finti amatoriali spacciati come reali documentari. Ne ripercorriamo la storia in due articoli, qui il primo, mercoledì prossimo la conclusione.

La settimana prossima vedrà il buio delle nostre sale cinematografiche Chronicle, uno dei casi cinematografici dell’anno. Il film, diretto da Josh Trank e scritto insieme a Max Landis (figlio del grande John), racconta la storia di tre ragazzi adolescenti che, dopo un contatto con un corpo celeste alieno, acquistano dei superpoteri. I tre inizialmente sfruttano queste loro nuove abilità per fare cose utilissime, come giocare a football americano tra le nuvole o eccellere nella giocoleria (true story), fino a quando succede l’irreparabile. Uno dei tre, il nerd della scuola, quello con il padre alcolizzato, la madre morente e le occhiaie del disagio, sbrocca. Una mente debole non è in grado di gestire un così grande potere fisico e il ragazzino problematico passa dalla parte oscura dei supereroi, ovvero diventa un cattivo. Questo porterà a uno scontro tra ragazzini a colpi di superpoteri. Chronicle ha una sola particolarità che lo ha imposto come uno dei successi dell’anno: è girato come fosse un documentario. Meglio: è girato come se fosse realizzato interamente da camere amatoriali. L’escamotge è quello di mettere in mano al protagonista – il ragazzino problematico – una macchina da presa con cui riprende tutto quello che accade. Niente di nuovo, direte voi. E avete tutte le ragioni del mondo, solo che in questo caso c’è qualche elemento da tenere in considerazione.

Chronicle è l’ennesimo tassello del lungo percorso di destrutturazione del mito del supereroe. Da una parte la perfezione (stilistica) di The Avengers, dall’altra le finte riprese amatoriali di Chronicle dove i protagonisti giocano a testare i propri superpoteri tirandosi delle forchettate sulle mani. Trank & Landis sono furbi e non solo si sono inseriti nell’ormai affollatissimo filone del “supereroe normale”, ma hanno azzardato giocando la carta della ripresa amatoriale. Ma visto che riprendere gente che vola e che lancia utilitarie con la stessa facilità con cui noi tiriamo un sasso è difficile, hanno deciso di giocare sporco: il protagonista utilizza i suoi nuovi poteri telecinetici per muovere la propria videocamera come se fosse David Fincher. Alla fissità o alla camera a mano traballante tipica di prodotti di questo genere, si sostituiscono carrelli, gru, piani sequenza azzardatissimi, giustificati narrativamente dall’abilità del protagonista. Ma la scorrettezza di Chronicle non si ferma qui: per poter utilizzare la tecnica delle riprese amatoriali anche quando non è in scena il protagonista, si introduce in maniera del tutto pretestuosa una ragazza che ha un videoblog e che riprende tutto quello che le accade. Chronicle segna da una parte la vittoria dal punto di vista produttivo di questo genere di film (minimo sforzo, massima resa) ma allo stesso tempo è la sua bara stilistica. È vero che Chronicle è costato relativamente poco e ha incassato molto, ma nulla giustifica le sue scelte stilistiche. Il genere del finto documentario e delle finte riprese amatoriali, tra alti e bassi, tra fiera exploitation e rari esempi di blockbuster, esiste da ormai quasi una trentina d’anni e ha una sua storia. Vediamo di tracciarne le tappe fondamentali.

La nascita di questo genere è da attribuire al famigerato Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato. Il film, datato 1980, è particolarmente noto per l’imbarazzante (per lui) presenza di Luca Barbareschi e per lo sconvolgente fatto che le numerose uccisioni di animali presenti nel film sono tutte reali. Cannibal Holocaust racconta la storia di una troupe di giornalisti che vaga nella giungla per realizzare un documentario sulle varie tribù di “selvaggi”. I giornalisti, sulla carta illuminati antropologi, sono in realtà dei veri e propri bastardi e passano le loro giornate stuprando indigeni, uccidendo (ripeto: realmente) animali e bruciando villaggi. La cosa interessante è però come si scelse di raccontare questa storia: all’inizio della pellicola veniamo a sapere che la troupe è andata dispersa. Sulle tracce dei tre documentaristi si mette un giornalista che, dopo un giretto nella giungla, trova le bobine girate da Barbareschi e compagnia. Il giornalista le riporta a New York e infine le guarda. E noi con lui. Ora, si può pensare tutto il peggio del mondo di un film del genere (non solo è ovviamente criminale per quanto fatto agli animali, ma è anche girato molto male), ma è indubbio che Deodato abbia gettato, con molti anni di anticipo, le regole di questo genere. Il film fu all’epoca pubblicizzato come reale; gli attori protagonisti del film firmarono un contratto che impediva loro di farsi vedere in pubblico nel periodo subito dopo l’uscita della pellicola nelle sale, per dare adito alla loro reale scomparsa. La presunta veridicità del film non era solo garantita dal fatto che le riprese erano “amatoriali” e documentaristiche, ma soprattutto dal fatto che queste erano state ritrovate da terzi. E qui sta uno dei punti focali del genere: il ritrovamento delle riprese, l’idea che queste siano state già fatte, ha due importanti conseguenze. Da una parte, come detto, aumentano il senso di realtà, dall’altra introducono un altro elemento importante. I film di questo genere sono raccontati in flashback. All’inizio del film si presenta una situazione (esempio: si sono persi dei giornalisti) e attraverso le loro riprese, lo spettatore ricostruisce la storia. Chronicle, colpevolmente, non rispetta questa regola. Ma chi ha realizzato il trailer sembra essersi accorto di questa grave mancanza e ha tentato di correre ai ripari: il trailer di Chronicle si interrompe a metà per poi tornare indietro, dando proprio l’idea di un nastro che si riavvolge, come a suggerire un mistero legato alla nascita dei superpoteri dei protagonisti (cosa in realtà del tutto assente dal film).

Diciannove anni dopo Cannibal Holocaust, due ragazzi – Eduardo Sanchez e Daniel Myrick, girano The Blair Witch Project. Il film in questione, copiando in tutto e per tutto il film di Deodato, rilancia (per il 99% del pubblico, si inventa) il genere. Si perdono le tracce di tre giovani filmaker partiti per girare un documentario sulla Strega dei boschi. Si scoprirà cos’è accaduto, grazie al ritrovamento delle loro bobine. The Blair Witch Project diventa in men che non si dica un enorme successo commerciale grazie al passaparola sull’allora giovane mezzo oggi conosciuto come internet e soprattutto grazie al fatto che girare film di questo genere costa molto poco. Mentre di Sanchez e Myrick si perdono fondamentalmente le tracce, dal 2000 in avanti sono in tantissimi a provare la strada del successo grazie a questa formula. Il fenomeno esplode realmente dal 2007, con lo spagnolo [REC] di Jaume Balaguerò e Paco Plaza. Questa volta la storia è quella di una troupe televisiva che segue una squadra di pompieri alle prese con un palazzo pieno zeppo di normali condomini trasformati in mostri assetati di sangue da uno strano virus. Balaguerò e Plaza colpiscono nel segno e riescono a realizzare un film tutto sommato sempliciotto ma che ha il grande pregio di essere particolarmente plausibile e quindi veritiero. [REC] viene rifatto l’anno successivo, inquadratura per inquadratura, negli States (il titolo è Quarantine). Da allora in avanti il genere sembra aver attecchito sul mercato che negli ultimi anni ha sfornato un numero impressionate di pellicole di questo genere. Dal 2007 ad oggi se ne contano per lo meno una settantina. Titoli che analizzeremo meglio la settimana prossima.