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07:18 domenica 14 settembre 2025
Per la prima volta nella storia, nel mondo ci sono più bambini obesi che sottopeso Stando a un report dell'Unicef, oggi un bambini su 10 soffre di obesità, addirittura uno su 5 è in sovrappeso.
Su internet la T-shirt dell’assassino di Charlie Kirk sta andando a ruba, anche a prezzi altissimi Su eBay sono spuntati decine di annunci in cui la maglietta viene venduta a prezzi che arrivano anche a 500 dollari.
In Corea del Nord sono aumentate le condanne a morte per chi guarda film e serie TV straniere Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il regime di Kim Jong-un ora usa anche l'AI per perseguire questo grave crimine.
L’episodio di South Park che prendeva in giro Charlie Kirk è stato “cancellato” La decisione è arrivata dopo le proteste dei conservatori statunitensi, che accusano lo show di aver contribuito al clima d’odio contro Kirk.
La bandiera di One Piece è diventata un simbolo di protesta in tutto il mondo Prima in Nepal e adesso anche in Francia: la bandiera del manga di Eichiiro Oda è diventato il vessillo di tutti coloro che si ribellano ai governi.
Il video dell’omicidio di una ragazza ucraina a Charlotte, North Carolina, è diventato un’arma di propaganda di tutta la destra mondiale A partire, ovviamente, dal movimento Maga nel Stati Uniti, da Donald Trump in persona, fino all'Italia, a Matteo Salvini.
Le proteste di Bloquons tout in Francia sarebbero partite tutte da un post in un gruppo Telegram Un post neanche tanto recente: è apparso su Telegram a maggio ma è diventato virale negli ultimi giorni, subito prima e subito dopo le dimissioni di Bayrou.
C’è un nuovo uomo più ricco del mondo che ha superato Elon Musk grazie all’AI Si chiama Larry Ellison e ha scavalcato l'allievo-rivale grazie alla crescita record della sua Oracle, dovuta agli investimenti nell'intelligenza artificiale.

Il bello e il brutto delle sneaker

Old-school o tecniche: come le scarpe da ginnastica vogliono mantenere il loro status di oggetto-feticcio in un mercato sempre più volubile (e saturo).

29 Novembre 2017

Fino a pochi anni fa le indossavano perlopiù solo raffinati art director o gente che lavorava nella moda. Correva l’anno 2013 e le adidas Ozwegoo ridisegnate da Raf Simons erano le sneakers di chi, per status e per gusto, non voleva mettersi semplicemente un altro paio di scarpe da ginnastica. Come spesso accade quando i designer fanno cose interessanti, quelle sneakers erano una rivisitazione, un po’ ironica un po’ metafisica, della comune scarpa da runner, completamente decontestualizzata e inserita in una logica – quella dell’estetica, appunto – di cui fino a quel momento non aveva fatto parte. Quel tipo di scarpa aveva infatti attraversato in maniera piuttosto democratica i più disparati guardaroba (e tipi) maschili, da quello della provincia, italiana e non, a quello dei papà televisivi che collezionano pantaloni cargo, bermuda e cappellini da baseball, da quello dei raver a quello dei patiti di streetwear.

Da Simons in poi, di sneakers simili ne abbiamo viste moltissime sulle passerelle del lusso, da Dior Homme a Gucci passando per Prada, fino all’ultima versione di Demna Gvasalia che, durante la sfilata maschile di Balenciaga dello scorso giugno, in passerella ci ha mandato dei papà veri che sembravano usciti dalla DDR. Che la deriva più modaiola abbia scelto il vecchio escamotage di rifugiarsi nella poetica del brutto, però, non è che l’ultimo segnale dello strapotere immaginifico delle sneakers, l’oggetto di moda che sembra non conoscere crisi da quarant’anni a questa parte. Naturalmente ne esiste una copia da Zara, mentre «è sempre più difficile capire se un uomo è un vero nerd, magari un tecnico informatico, oppure è solo vestito all’ultima moda», come ha scritto recentemente Lou Stoppard sul Financial Times a proposito di completi fuori misura e calzature discutibili.

sneakers

L’opzione “sneakers brutte”, però, non è che una piccola parte di un campionario ampissimo dove oggi, tra collaborazioni ed elaborate strategie di lancio che si sviluppano sui social, a giocarsela sono principalmente in due, adidas e Nike. Basta pensare al successo delle Stan Smith, calcolato dalla multinazionale tedesca con un’accuratezza da manuale: prima il ritiro dai negozi del grosso della merce per rendere un prodotto già molto popolare ancora più desiderato, quindi l’invio a un ristretto numero di celebrity e il lancio del nuovo modello firmato, manco a dirlo, da Raf Simons. In mezzo poi c’era lei, Phoebe Philo, che con le sue uscite a fine sfilata da Céline è riuscita negli anni ad assicurare un posto nell’olimpo dei classici alle Birkenstock, ai maglioncini blu di Uniqlo e, non ultimo, alle Stan Smith, ma questo è un altro discorso. Per un periodo, le scarpe da ginnastica old-school sembravano l’unico mantra in grado di non stancare un mercato in piena crisi: sono tornate così le adidas Superstar, rese popolarissime da Pharrell Williams, e poi le Nike Jordan, le Air Max, persino le Silver, le Presto e le Squalo in qualche angolo remoto frequentato probabilmente solo da stylist e dj, infine le Nike Cortez.

E proprio queste ultime sono un caso di studio interessante per guardare all’attuale status quo: ri-lanciate in pompa magna con tanto di Bella Hadid e Kendrick Lamar, non sono riuscite a raggiungere i risultati sperati dall’amministratore delegato Mike Parker. Lo racconta bene un recente articolo su Business of Fashion dove, attraverso le voci critiche di alcuni buyer e l’analisi dell’engagement social, dato quest’ultimo di non poco conto nel determinare il successo di un oggetto di moda, si traccia la parabola di una performance decisamente inferiore alle aspettative. Eppure sembrava una scelta apparentemente a basso rischio: puntare su un grande classico, orchestrare una comunicazione con i personaggi del momento, far crescere l’hype sul ritorno della scarpa con cui Nike è diventata quella che conosciamo oggi.

Sia ben chiaro, Nike può ancora vantare su un volume di vendite pari a cinquanta miliardi di dollari e possiede alcuni dei modelli più venduti al mondo (come le Roshe Run e le Air Max 97), meglio specificarlo. Quello che sembra profilarsi piuttosto chiaramente anche in questo mare di sneakers, però, è l’ulteriore conferma di come oggi non esista, di fatto, un unico modello in grado di garantire il successo commerciale. La macchina dell’hype, per esempio, sembra aver perso la sua capacità di attrattiva mentre l’assuefazione da reboot (di vecchi modelli di scarpe, saghe cinematografiche o serie tv che siano) inizia a mostrare i primi, pericolosi, segnali di stanchezza. Il lusso prende in prestito quello che può dallo streetwear mentre i marchi sportivi provano a riposizionarsi su un un livello più alto (è stata la strategia di Parker da Nike), ma neanche la loro capillarità di diffusione sembra infallibile. Per penetrare il mercato sembra perciò necessario un allineamento quasi fortuito, ma in realtà ragionatissimo, di tanti fattori: come si legge nel sopracitato articolo di Bof, a fare la differenza oggi non basta una grande campagna emotiva come quelle che Nike ha costruito durante la carriera di Michael Jordan, ma piuttosto «avere le persone giuste nel posto giusto che prendano una serie di piccole, sagge decisioni sui social e nei negozi». Mica facile.

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