Attualità

L’occhio del poliziotto

Più telecamere indossate dagli agenti di polizia, più sicurezza per i cittadini? Non proprio, anzi.

di Pietro Minto

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Il caso di Ferguson – la cittadina del Missouri in cui la polizia uccise Michael Brown, giovane nero disarmato – ha segnato un prima e un dopo nel rapporto tra cittadini e forze di polizia. L’evento è stato prettamente americano ma ha delle cause primarie piuttosto universali – pregiudizio razzista, abuso di potere da parte della polizia – in grado di trasformare il caso Brown in una questione globale. Anche perché le proteste seguite sono state riprese da media internazionali e cittadini armati di smartphone, diventando virali e creando un racconto corale ormai prassi nella cronaca odierna. Dopo tutto questo è arrivato il video amatoriale della morte di Eric Garner, il 43enne strangolato a morte dalla polizia di New York, spirato poco dopo aver implorato «I can’t breathe», non riesco a respirare. L’onnipresente occhio fotografico è così passato dall’essere strumento di informazione e testimonianza a possibile soluzione del problema, il Problema per eccellenza nella nostra società, ispirando un movimento che chiede più telecamere, più sorveglianza, più video. In uno slogan: “Diamo telecamere ai poliziotti, solo così possiamo tenerli d’occhio!”.

La proposta ha tutti i crismi dell’utopia tecnologica, una soluzione hi-tech (e così semplice!) in grado di curare un male secolare; come ogni proposta di questo genere, però, non è così sicura, come vedremo. Nonostante tutto, Barack Obama ha proposto un piano da 263 milioni di dollari per prevenire nuove Ferguson, che prevede una spesa di 75 milioni per 50mila telecamere indossabili da affidare agli agenti di polizia. Era il dicembre 2014. Passiamo a oggi, marzo 2015.

Il primo marzo scorso la polizia di Los Angeles ha ucciso un senzatetto, un atto di sangue che ha subito dimostrato come l’algido punto di vista di una telecamera possa diventare soggettivo e parziale, a seconda di chi sta riprendendo. Il video seguente (attenzione: immagini piuttosto crude, NdA) è stato girato da un passante e mostra l’uomo in questione, Charly Keunang, in un comportamento di certo violento e aggressivo nei confronti degli agenti ma presto placato e accerchiato da diversi poliziotti; poco dopo, i tre colpi di pistola che lo hanno freddato. A giudicare dal video si tratta dell’ennesimo caso di grilletto facile alle prese con una persona sola, Keunang, facilmente immobilizzabile poiché in netta minoranza. Dall’altra, però, c’è il parere del dipartimento di polizia di Los Angeles, che ha dichiarato di essere in possesso di un’altra clip, questa volta dal punto di vista della polizia, che scagionerebbe i poliziotti. Il video «sarà pubblicato presto» e mostrerebbe Keunang mentre tenta di rubare la pistola a un agente. Un fatto, un morto; due punti di vista, due realtà completamente diverse. Ma le telecamere non dovevano rendere tutto più chiaro?

In un mondo ideale, sì. In realtà no, visto che la questione di base – criminalità e violenze della polizia – è un oggetto culturale e politico complicato e, come detto, antico, non risolvibile modificando – o aggiungendo – nuovi obiettivi fotografici. Il rapporto tra cittadini e forze dell’ordine va mitigato e risolto con altri mezzi politici, non cedendo alla sorveglianza di massa, da sempre una forma di controllo ansiogena e facilmente manovrabile. Le vicende delle body camera tra le fila delle forze dell’ordine sono del resto cominciate nel modo sbagliato l’11 novembre 2009 nell’Arkansas, quando la polizia irruppe in casa di Eric Berry, cittadino armato di una semi-automatica, intimandolo di mollare l’arma per poi, vista la resistenza di Berry, ucciderlo. Fu la prima volta che una ripresa di questo tipo fu utilizzata a mo’ di prova, finendo per scagionare gli agenti che avevano sparato. Anche in questo caso la ripresa non è chiara, si intravede l’arma ma, come nota Gizmodo, non sembra autorizzare l’uso del grilletto. A dire il vero non sembra dimostrare né autorizzare nulla in particolare.

Sarà che gli USA sono la patria dell’intrattenimento, sarà che siamo tutti cresciuti guardando film polizieschi ma il genere “Police Body Camera” è subito diventato show. Questa settimana il Seattle Police Department ha inaugurato un canale YouTube, SPD BodyWornVideo, in cui carica riprese effettuate dalla polizia. Il canale, come racconta il sito Fusion, è controllato da un programma che carica automaticamente filmati senza audio in modo da anticipare le eventuali richieste dei cittadini e presenta filmati lunghi, non editati, in bianco e nero, senza audio e senza censure (da cui le accuse di violazione della privacy dei cittadini ripresi). Un’iniziativa che, al netto di tutto, potrebbe comunque aiutare a fare chiarezza in alcuni casi, se e solo se tutti gli agenti avessero un rapporto trasparente con la fotocamera che indossano: nel corso degli scorsi due anni la polizia di Oakland ha registrato 24 casi di mancato utilizzo di questi dispositivi, quando alcuni loro agenti si sono rifiutati (o dimenticati) di attivarli. Parafrasando il noto detto, se una violenza avviene davanti una telecamera spenta e nessuno la riprende, si può ancora definirla violenza?

Certo che sì.

Anche per questo il New York Times si è schierato nettamente sulla questione ricordando che una telecamera «non protegge la verità» e, anzi, crea e diffonde versioni diverse dello stesso evento: la confusione aumenta, le varie parti guadagnano materiale a sostegno delle loro posizioni. Quanto ripreso dall’obiettivo fotografico – non serve essere Susan Sontag per capirlo – non è sinonimo di realtà, perché parte della sua efficenza dipende dagli umani che lo indossano, i quali non solo devono ricordarsi di accendere il dispositivo ma devono inoltre rispettare le regole sulla loro attivazione. E da questo punto di vista, continua il Times, non esiste un regolamento unico ma una babele di prassi e regole interne per cui un agente potrebbe essere costretto a usare la pistola, all’improvviso, nel bel mezzo di una situazione che, stando al codice, non prevede l’accensione della body camera. O, in più maliziosamente, potrebbe decidere di sparare e quindi decidere di non accenderla.

Rimangono poi i dubbi sull’utilità effettiva di queste riprese. Di seguito, per esempio, ne vediamo uno in cui una persona viene fermata nel bel mezzo di una protesta. I motivi del fermo rimangono criptici, nonostante il filmato.

Clip come queste SPD BodyWornVideo possono essere utili come intrattenimento morboso per gli amanti della Legge e Ordine ma non spiegano, non documentano, sono solo registrazioni che si aggiungono a quelle di un mondo già di per sé ripreso di continuo. Anzi, se c’è qualcosa in cui contribuiscono è l’aumentare la sensazione di rischio percepito: queste camere sono occhi aperti e sempre attivi – ansiogeni, quasi criminogeni. Ma che alternative ci sono?, potreste chiedervi. Una possibile alternativa al Grande Fratello Indossabile è la costruzione di un rapporto più diretto e umano tra cittadini e polizia: è quello che sostiene – in questo studio congiunto del Dipartimento di Giustizia Usa e del Police Executive Research Forum pubblicato nel 2014 (pdf) – Sir Peter Fahy, commissario capo della polizia di Manchester:

Vogliamo che i nostri agenti escano dalle caserme e dalle loro macchine e parlino al pubblico di calcio o qualsiasi argomento in grado di garantire una relazione informale. È così che si costruisce una collaborazione e si convincono le persone a darti informazioni sul crimine nella loro area. Credo che se dicessimo che ciascuna interazione verrà registrata, finiremmo con l’avere un rapporto più invadente. Forse la gente si abituerà, così come si è abituata alle telecamere nelle strade, ma temo che le nostre interazioni diverranno formali, e che quelli informali saranno messe in difficoltà.

Il rischio è che alla dialettica cittadini-polizia se ne aggiunga un’altra, quella tra video della polizia e video dei cittadini: body camera contro smartphone. Questo è il futuro che una politica del genere ci garantirà, un futuro in cui il problema di base rimarrà ma, ehi, perlomeno potremmo vederlo da punti di vista differenti!

Non occorre aspettare un futuro distopico, sta già succedendo, come si vede in quest’altro video della polizia di Seattle, in cui dei passanti riprendono la polizia mentre la polizia riprende i passanti, generando girato su girato parziale, di parte, mosso e preda di facili equivoci. Ricorda una certa puntata di Black Mirror – e non è un buon segno.

 

Nell’immagine in evidenza: un particolare della divisa della polizia di Oakland; un fotogramma da un video di “SPD BodyWornVideo”