Attualità
Le stanze del potere
La storia dell'ascesa di Armando Iannucci vista attraverso le lenti dei suoi The Thick of It e Veep.
Armando Iannucci ne ha fatte di cose. Ha scritto di musica classica su Gramophone, ha fatto il comico, il regista, il produttore e lo speaker radiofonico. Ma soprattutto ha scritto per la Bbc, approdando in televisione nel 1994 con The day today, remake del programma radio On the hour. Un notiziario parodistico di mezz’ora, condotto da Chris Morris e sospeso dopo soli sei episodi, che non ha lasciato granché in eredità alla programmazione della rete britannica, se non il personaggio di Alan Partridge, divenuto icona della satira made in UK e cavallo di battaglia del genio comico di Armando, che lo ha inserito praticamente in ogni sua produzione fino ai primi anni 2000.
Knowing me, knowing you, I’m Alan Partridge, Armistice, The Armando Iannucci show e la fama crescente, aumentano esponenzialmente il numero di produzioni in cui lo scozzese – di padre italiano – viene coinvolto come autore, produttore, regista o mentore. Uno dei meriti più grandi che gli vengono riconosciuti è quello di aver formato, istruito e inserito l’ondata di comici satirici pre-New Labor che ha investito la Gran Bretagna nella prima metà dei ’90. Suo il merito, sua la gloria. Iannucci ha saputo ridefinire la satira inglese, affilarla e involgarirla quanto basta a incoronarlo come inventore di un nuovo filone comico.
Dopo due Sony Radio Awards, tre British Comedy Award e dopo che Yes Minister è stata nominata miglior sitcom britannica, dopo aver sfidato la mancanza di spina dorsale della Bbc – dice l’Indipendent – con i documentari Clinton: his struggle with dirt e 2004: the stupid version, dopo essere stato attaccato e incensato in uno strano equilibrio mediatico, Armando raggiunge finalmente il suo apice con The thick of it. E sfonda le porte della Hbo.
La serie, in onda per due stagioni su Bbcfour dal maggio 2005 e oggi su Bbctwo/HD, sbudella il sistema politico inglese, inventando un ministero fittizio che si occupi di tutto quello che il Premier non è in grado di affrontare. Per incompetenza o per volontà
Il primo interessamento alla produzione di un remake statunitense viene nel 2006 da Mitch Hurwitz, ideatore di Arrested Developement che lancia il pilota prodotto da Sony Pictures e Bbcworldwide. È un flop. Armando prende ufficialmente le distanze dalla puntata diretta da Christopher Guest definendola «terribile, e per niente fedele alla linea originale». La Abc la rifiuta, con un sospiro di sollievo da parte del suo creatore, e il progetto torna nel cassetto.
The thick of it, intanto, sbanca ai Bafta come miglior sitcom per due edizioni, e migliore performance comica a Chris Langham e Rebecca Front, rispettivamente nel 2006 e nel 2010, oltre ad essere incoronata Migliore Situation Comedy dalla Royal Television Society e dalla Brodcasting Press Guild, che premia la serie anche per il migliore team autoriale. Armando ne approfitta per limare i suoi personaggi, tra critiche ed elogi, e inventare nuovi e provocatori modi di inserire nei dialoghi la parola “fuck” – Il New Yorker, in un lungo articolo che tende più alla critica che alla lusinga, ne ha contate ben 250 in soli otto episodi – e dà vita a In the loop, primo e unico spin-off del programma.
La seconda opportunità di entrare a far parte del gotha delle serie tv arriva nel 2009, quando la Hbo, Showtime e la Nbc esprimono il loro interessamento a riconsiderare la produzione di un remake. Questa volta è Armando in persona a reggere le redini, presentando l’idea e lo script per la prima puntata. Con Hbo l’alchimia funziona, e nell’aprile 2010 viene annunciato l’inizio delle riprese per Veep.
Il set si sposta da Westminster alla Casa Bianca, cambiano il titolo e il sesso del protagonista, ma la sostanza rimane quanto più vicina possibile all’originale. Lo stile cinéma-vérité, la camera a spalla, le interviste frontali, i dialoghi casuali e spontanei al limite dell’improvvisazione, l’audio mixato ad un solo livello che rende tutto più coinvolgente – per qualcuno The Office potrebbe rendere meglio il concetto –, tutto è perfettamente sintonizzato sul gusto dei creatori. Alla messa in onda della prima puntata, il 22 Aprile 2012, Armando può definirsi soddisfatto. L’idea originale è stata rispettata e in qualche caso scavalcata da quella dose di americanità che in certi campi non guasta mai.
Julia Louise-Dreyfus – Seinfeld e Old Christine, ma soprattutto Seinfeld, il motivo che mi ha spinto a guardare il pilota – è Selina Meyer, vice presidente che sostituisce il ministro Hugh Abbot della serie inglese, e che sembra preoccupata più del proprio aspetto che dalle questioni politiche del paese. Distratta, goffa e fuori luogo, incarna l’antipolitica statunitense e apre il sipario su un retroscena composto soprattutto da incompetenti e raccomandati, dove non è necessaria una vera preparazione quanto una facciata ben costruita che getti fumo negli occhi a elettori, esperti e presidenti in carica. Armando, in veste di produttore, autore, regista e fan della prima ora dichiara l’esperimento riuscito e si prepara ad affrontare gli otto episodi della prima stagione.
Gli americani però, si sa, sono gelosi della propria autoironia e il fatto che siano degli inglesi – Armando ha voluto scegliere i suoi collaboratori, e ha messo accanto a sé Simon Blackwell – a fare i conti in tasca al presidente, non tutti lo hanno visto di buon occhio. La prima stagione altalena tra picchi positivi di ascolti e leggeri crolli, così come le critiche oscillano tra l’entusiasmo e la stroncatura. Troppo volgare, troppo popolare, troppo ironico. A parte il New Yorker che conta i “fuck”, anche Entertainment Weekly bastona sul turpiloquio e lancia un paragone con The west wing di difficile comprensione.
Hbo intanto ha confermato la seconda stagione, prevista per la primavera del 2013, e Armando ci ride sopra. Come ha sempre fatto, stiamo a vedere.