Cultura | Architettura

Le città ideali

Atlante dei capricci architettonici e delle bizzarrie urbanistiche d'Italia e del mondo, dalla Scarzuola di Tomaso Buzzi alla Latina-Pontinia-Sabaudia mussoliniana passando per Poundbury, il villaggio dei sogni di re Carlo d'Inghilterra.

di Michele Masneri

Foto di Nadia Moro

Il 18 novembre arriva in edicola e nelle librerie il quinto numero di Urbano, il magazine dedicato alla cultura dell’urbanistica nato in occasione del centenario di Borio Mangiarotti, società di sviluppo immobiliare fondata a Milano nel 1920. In questa nuova uscita protagoniste sono le Riproduzioni, quelle nel mondo dell’urbanistica ma non solo, dal restauro di edifici che hanno fatto la storia alle città ricostruite nel Metaverso, dalle miniature alle copie (comprese quelle kitsch). Pubblichiamo qui uno dei pezzi del nuovo Urbano, firmato da Michele Masneri. Il nuovo numero sarà presentato il 17 novembre alle ore 19 alla libreria Verso di Milano, all’interno del programma di Bookcity. Per chi parteciperà all’evento (registrati qui) sarà possibile acquistare anche una copia in anteprima.

Che sogno, abitare in una copia. Al padiglione belga dell’ultima Biennale di architettura di Venezia, il più fotografato e instagrammato, la domanda e ragione sociale della mostra, How will we live together? veniva tradotta in un capriccio architettonico: nella riproduzione in scala 1/15 di 50 modelli urbani che creavano altrettanti “stili” e palazzi esistenti nell’architettura belga degli ultimi 20 anni, un puzzle di città curata da Bovenbouw Architectuur in collaborazione con l’Istituto di Architettura delle Fiandre. Il modello in scala funziona sempre, ha sempre il suo fascino, rassicura, ci riporta ai tempi di quando eravamo bambini, non importa quale sia la scala. Lo sapeva bene Tomaso Buzzi che in Umbria ha creato la Scarzuola, città ideale destinata all’autodistruzione (edificata completamente in tufo) sulle macerie di un convento abitato da San Francesco e oggi invece celebratissima, guai se si distruggesse. Tra gli anni Cinquanta e fino ai Settanta Buzzi edificò a fianco del convento la sua Città Ideale, concepita quale “macchina teatrale”. La città buzziana, che comprende un insieme di sette teatri, ha il suo culmine nell’Acropoli: una montagna di edifici costituiti da una numerosa serie di archetipi che, vuoti all’interno e dotati di tanti scomparti come in un termitaio, rivelano molteplici prospettive. Ispirato all’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (1499), un delirante neomanierismo, che egli identifica nell’uso di scale in tutte le direzioni, volute sproporzioni di alcune parti, presenza di mostri e affastellamento di edifici o monumenti, che arriva a un surrealismo, con un che di labirintico, di evocativo, di geometrico, di astronomico, di magico. Architetto “plastico”, della buona società italiana, con clienti come Gazzoni, Doria, Agnelli, Falck, Cini, Cicogna, Feltrinelli, Buzzi fu autore di uno dei capricci più memorabili del Dopoguerra, la villa Volpi a Sabaudia. «Faites-moi une petite folie», gli ordinò la contessa Nathalie Volpi, gran signora dell’Italia fascista e post. «Venez avec projet templo greco palladien avec colonnes», e Buzzi la aveva presa in parola creando un enorme mammozzone palladiano, per ricordare le origini della famiglia veneta, lì su quel litorale che pure le bonifiche mussoliniane avevano ricoperto di veneti, tra altre città ideali – Latina-Pontinia-Sabaudia – parco giochi per il più architetto di tutti i dittatori del Novecento, Mussolini. Da anni in cerca di acquirenti, il Volpaeum giace come un pezzo di scenografia-peplum spiaggiato sulla sabbia pontina; il proprietario Giovanni Volpi, figlio del governatore della Tripolitania e inventore della mostra del Cinema di Venezia, vive a Ginevra e lo affitta soprattutto per la pubblicità, anche se pare che Ilary se ne fosse invaghita, prima delle traversie. Il binomio tra potere e architettura kitsch è spesso indissolubile. Un fan delle ricostruzioni architettoniche sicuramente è il nuovo re Carlo III del Regno Unito, che da sempre si esprime contro i cattivi architetti modernisti, ma che a un certo punto si è spinto fino a disegnare un “villaggio ideale”, almeno per lui. Era il 1984 quando Carlo, allora principe di Galles, tenne il suo famoso discorso al Royal Institute of British Architects criticando l’architettura moderna e invocando il ritorno a edifici più tradizionali. Lo stile “carlista” può definirsi come un misto tra neotradizionalismo tardo settecentesco, sia nell’aspetto degli edifici che nell’impianto urbanistico, e si espresse appieno con la costruzione della città di Poundbury, il villaggio “ideale” sorto ovviamente nel Ducato di Cornovaglia (suo) tra cottage rivestiti di selce e palazzi baronali scozzesi, ville palladiane e castelli gotici rosa in miniatura, e poi arcate, pilastri e modanature. Ad assisterlo, il fedele Leon Krier. Vari ampliamenti dagli anni ’90 includono una piazza in stile greco-romano ed edifici neoclassici che hanno contribuito al generale sfottò dei critici di architettura di tutto il mondo: una Disneyland neomedievale che ricorda soprattutto gli outlet di Valmontone.

La cover del quinto numero di Urbano

Del resto ogni principe è stato tentato d’essere un grande architetto (più raro il contrario). E se Ludwig di Baviera ha dissestato le casse del suo piccolo regno per i suoi folli castelli, imitazioni in scala 1:1 di un medioevo sognato, ma con le più moderne tecnologie (ascensori e riscaldamenti e cemento armato), chissà se la Disney gli paga le royalties per i castelli delle fiabe di Disneyland presi ufficialmente a esempio – ci sono le carte – e oggi traslati in puzzle e costruzioni Lego (la casa danese del resto ha ormai una linea specifica di miniature architettoniche, che va dall’Empire State Building alla Tour Eiffel). Poi, a scendere, Silvio Berlusconi controllava nei dettagli il suo regno di Milano 2 coi laghetti, i portici e i sottopassi (e il suo diventare tycoon televisivo deriva poi da quella mania, c’era infatti un canale libero nei cavi centralizzati che portavano i citofoni e l’antenna, per non sfigurare sui tetti. Dunque si inventarono i contenuti). Il kitsch è quello che piace soprattutto nel modello architettonico, il trenino è il classico regalo che i padri fanno nominalmente ai figli ma ufficiosamente a sé stessi, e la piccola architettura da camera o cameretta non smette di affascinare grandi e piccini. Molto cinema di Wes Anderson, con le sue pasticcerie e i suoi castelli e hotel, è un inno alla copia architettonica kitsch, e se spesso questa nostalgia abbraccia la classica “nostalgia dell’impero”, nessuno tiene mai in considerazione il povero Adolf Loos, quello di Ornamento e Delitto. Da sempre si studiano soluzioni in “copia” per salvare le nostre vecchie città dall’ over-tourism (ah, una Roma finta dalle parti di Fiumicino, per cinesi e giapponesi e russi, quando torneranno), ma generalmente non è lo stesso tipo di turismo. A volte è molto meglio: se con il Covid-19 le migliori archistar ci volevano far fuggire dalle città per rifugiarci nei borghi, abbiamo capito presto che la risposta più giusta è “andateci voi”. L’unico borgo abitabile è infatti quello finto, lo sappiamo nel sessantesimo anniversario della Costa Smeralda, immaginaria urbanistica voluta da un principe arabo e dagli architetti Luigi Vietti, Jacques e Savin Coulle, Michele Busiri Vici, Jean Paul De Marchi in uno stile “mediterraneo”. O nel Borgo Egnazia salentino disegnato da uno scenografo, che riassume il bello delle puglie però con piscine a sfioro, riscaldamenti, aria condizionata.

Foto di Nadia Moro

E da lì magari lo straniero con molto tempo libero si spingerà a vedere, dopo la vera Milano, il Duomo finto e altri 159 monumenti di Minitalia, stivale in miniatura che nasce nel 1971 con l’obiettivo di riunire le bellezze italiane più importanti in un unico parco, dal Duomo alla Basilica di San Pietro, da Piazza San Marco alla Reggia di Caserta, il tutto però in provincia di Bergamo; zona peraltro ad alto tasso di città “ideali”, in scala 1:1, come Zingonia, voluta negli anni Sessanta dall’imprenditore Renzo Zingone, e Crespi d’Adda, della omonima famiglia cotoniera, con una celebre tomba assiro-babilonese per terrorizzare abitanti e dipendenti. Ma se sempre in zona c’è Grazzano Visconti, villaggio “medievale” dovuto a quei restauri fantasiosi ottocenteschi, i Crespi erano pure proprietari del Corriere, come il William Randolph Hearst publisher che ispirò Quarto potere, editore fondamentale di California ma che, nella sua vera Xanadu, nell’Hearst Castle di San Simeon, tra San Francisco e Los Angeles, aveva messo su un mistone di stili e ambizioni con un castellone centrale che pare la cattedrale di Siviglia con balconcini in ferro battuto e due campanili in puro barocchetto losangelino, uno stemma papale inventato su una facciata da caserma dei pompieri. E dentro, un refettorio sotto bandiere del Palio di Siena, con l’orso, l’istrice e tutte le contrade e poi la piscina coperta, in stile antico romano, e quella esterna, dove fu girato Spartacus, con un colonnato stile piazza Plebiscito, e poi ancora montacarichi, e un piccolo cinema, e uno zoo. E spesso ci andava ospite proprio Walt Disney, sempre lui, che di certo accettava volentieri l’ospitalità di questi magnati, ma per copiarli poi, perché l’immaginazione architettonica di certi tycoon è infinitamente superiore a quella dei semplici architetti.