Attualità

Una storia di violenza

Californiane, portoricane, messicane, internazionali: una panoramica (con testimonianze, prese da Reddit) sulle gang americane, su come funzionano, su perché sono nate, sulle violenze di cui si nutrono.

di Andrea Marinelli

«Fare parte di una gang mi dava una totale assuefazione. Tutto è cominciato al penultimo anno di liceo. Non vi dirò di quale gang facevo parte, né in quale città fosse, ma dal momento in cui sono entrato non ho più potuto farne a meno. Tutti i giorni, e per tutto il giorno, ero coinvolto in qualche attività della gang, che poteva consistere nel picchiare a sangue un membro di una gang rivale, nel rubare oggetti, nello svaligiare case e compagnia bella». Questo non è il dialogo di un film, né la citazione di un libro. Sono le parole di un ragazzo americano che ha raccontato anonimamente su Reddit la sua esperienza in una gang criminale. Secondo un rapporto dell’Fbi, sono 1,4 milioni gli americani che oggi fanno parte attivamente di una delle 33.000 bande disseminate in tutto il territorio nazionale e che sono responsabili per il 48 per cento dei crimini violenti compiuti nel Paese: gang di strada, etniche, di prigione o di motociclisti – alcune definite dall’agenzia governativa «sofisticate e ben organizzate» – che fanno ricorso alla violenza per controllare i quartieri e per fare soldi con attività illegali, come rapine, frodi, estorsioni, prostituzione, traffico di armi, droga o esseri umani.

Dicono che ogni giorno, a Los Angeles, la 18th Street Gang assalga o derubi almeno una persona. «Li consideriamo fra le più violente e prolifiche degli Stati Uniti», sosteneva l’agente speciale George Rodriguez, membro del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives. La 18th Street Gang è un’enorme banda transnazionale e fra le principali gang di strada, nata a Los Angeles negli anni Sessanta e attiva in trentadue stati americani e in America Centrale. Alleata con i cartelli messicani, è uno dei gruppi criminali in più rapida espansione negli Stati Uniti ed è coinvolto in omicidi, traffico di droga ed esseri umani, estorsioni, furti d’auto e traffico di documenti falsi. Inizialmente i membri – che si identificano con il numero 18 e amano indossare le divise dei Los Angeles Dodgers, dei Los Angeles Lakers, dei Dallas Cowboys o degli Oakland Raiders – erano soprattutto ispanici, poi la gang ha cominciato ad arruolare altre etnie e nazionalità, diventando una delle prime bande multietniche di Los Angeles. Oggi può contare su circa 35.000 elementi, molti dei quali giovanissimi. Non è un caso che a volte venga definita “L’esercito dei bambini”, per l’abitudine di reclutare ragazzini delle scuole elementari e medie.

Sono stato accoltellato, mi hanno sparato, picchiato con mazze da baseball, investito con automobili.

«Tutto è cominciato al liceo», ricorda il ragazzo. «C’erano parecchie gang rivali e quasi ogni giorno c’erano risse o zuffe fra il mio gruppo e un altro. Sono stato accoltellato, mi hanno sparato, picchiato con mazze da baseball, investito con automobili. Tutto alla luce del sole. Durante il liceo sono stato condannato per aggressione a mano armata, e ho passato i due anni successivi solidarizzando con alcuni compagni di gang in un carcere minorile. Ho fatto qualche nuovo contatto e ovviamente, non appena sono uscito, sono rientrato nella gang. Una volta tornato, sono stato coinvolto in una sparatoria da un’auto in corsa. Tre mesi più tardi ero di nuovo in galera, poi sono uscito e sono tornato in strada. Questa è stata però quasi l’ultima volta».

Come le gang di strada, anche quelle nate nelle prigioni si sono sviluppate principalmente per difendersi da altri gruppi. L’obiettivo dei membri, normalmente, è di guadagnare il rispetto e la protezione che derivano dal fare parte di una gang. Uno dei gruppi più noti è il Barrio Azteca, nato nelle prigioni di El Paso, Texas, nel 1986. È una gang messicana-americana, formatasi lungo la frontiera e trasformatasi negli anni in un’organizzazione transnazionale con oltre 3.000 membri negli Stati Uniti – principalmente in New Mexico, Texas, Massachusetts e Pennsylvania – e almeno 5.000 a Ciudad Juarez, la città gemella di El Paso, al di là del confine messicano. I suoi affiliati amano uccidere civili, per tenere alto il livello di paura fra i propri membri e fra i cittadini. Nel 2008 ha stretto un’alleanza con il cartello di Juarez per salvaguardare il controllo del traffico di droga nell’area, la principale via d’accesso agli Stati Uniti: secondo la Drug Enforcement Administration, infatti, circa il 70 per cento della cocaina che arriva negli Stati Uniti passa di là. I membri del Barrio Azteca sono accusati di aver ucciso, nel marzo del 2010, Leslie Ann Enriquez Catton, una dipendente del Consolato americano di Juarez, e alcuni membri della sua famiglia. Il processo è tuttora in corso.

Le prime bande, in America, comparvero alla fine della Guerra d’Indipendenza, attorno al 1780. Qualche decennio più tardi si formarono le prime vere gang di strada nelle città del nordest.

Le prime bande, in America, comparvero alla fine della Guerra d’Indipendenza, attorno al 1780. Qualche decennio più tardi, all’inizio dell’Ottocento, si formarono le prime vere gang di strada nelle città del nordest, in particolare a New York, alimentate dall’immigrazione e dalla povertà. «I gruppi di immigrati, alla ricerca di una vita migliore, si stabilivano nelle aree urbane e formavano comunità per aiutarsi nelle difficoltà economiche. Sfortunatamente, avevano poche qualità», scrive James Howell in “History of Street Gangs in the United States”, un bollettino del National Gang Center americano. «La difficoltà nel trovare lavoro o un posto dove vivere, oltre che l’adattamento alla vita urbana, erano molto comuni fra gli immigrati europei, che venivano discriminati dagli anglofoni. Il conflitto era inevitabile e le gang si svilupparono in questi ambienti».

Oggi, negli Stati Uniti, la maggior parte delle bande nasce nelle grandi aree urbane, a cominciare da Los Angeles, Chicago, Philadelphia, Miami e New York, per poi migrare verso città minori. Negli anni Novanta, il rinnovamento urbano del secondo dopoguerra, lo sgombro dei bassifondi e le migrazioni etniche misero bande di giovani afroamericani, portoricani e euroamericani l’una contro l’altra in sanguinose battaglie per dominare i quartieri in rapido cambiamento e per mantenere onore e territorio. Secondo un’indagine di Medill, la scuola di giornalismo della Northwestern University di Evanston, Illinois, tutto ruota attorno a tre parole: «responsabilità, struttura e disciplina». In questo modo, si legge, i bravi genitori, gli insegnanti, i mentori e i comandanti militari tirano fuori il meglio dai propri ragazzi: sono gli stessi mezzi utilizzati dalle gang di strada per ispirare rispetto e ottenere lealtà dai propri seguaci. «La struttura, la gerarchia e il conseguente senso di identità e di orientamento sociopolitico sembrano attrarre coloro le cui vite mancano di forma, consistenza e contorni».

Lo studio di Medill si basa per lo più sui giovani membri dei Latin Kings di Chicago, mezz’ora più a sud lungo la sponda occidentale del lago Michigan. Chicago ha una lunga storia di gang organizzate e politicamente attive, dai Blackstone Rangers ai Puerto Rican Young Lords, fino alle Black Panthers. Formatasi in città negli anni Quaranta, la Almighty Latin King Nation è uno dei gruppi di strada più grandi al mondo. Ha 18.000 membri nella sola Chicago e solo negli Stati Uniti raggiunge 39 stati e 206 città. I componenti erano in principio portoricani, ma molte fazioni sono ormai dominate dai messicani, soprattutto nel Midwest e nella stessa Chicago. A unirli è la religione: credono tutti nella venuta di un Nuovo Re illuminato, ovviamente un membro della gang, pronto a servire gli oppressi di tutto il mondo. Recentemente, però, Patrick Sabaitsi, un ex affiliato, ha puntualizzato che la banda non è altro che un gruppo di terroristi. «Le gang insegneranno ai vostri figli come usare armi, pulirle, smontarle e rimontarle», ha dichiarato al Times of Northwestern Indiana. «Con loro i vostri figli impareranno anche a costruire bombe, a fare irruzione nelle case e a svaligiarle, a ferire o uccidere qualcuno con diversi metodi e a produrre, trafficare e vendere droga».

«Mi sono immischiato nel gruppo sbagliato, ovviamente, e ho cominciato a vendere, fumare e produrre cristalli di metanfetamina», ricorda ancora il ragazzo su Reddit. «Ero uno dei più grossi della gang, oltre che il miglior picchiatore, e il mio compito era di andare in giro a pestare quelli che dovevano soldi ai nostri ragazzi. Picchiavo le persone fino a far perdere loro i sensi, e poi prendevo tutti i loro soldi e tutto ciò che valeva qualcosa, come orologi, scarpe, gioielli, occhiali da sole e a volte persino i vestiti. Se fai il furbo con me è un conto, ma se lo fai con i miei soldi è tutta un’altra storia. Quando parliamo di metanfetamina, se devi a qualcuno un sacco di soldi puoi prepararti a pagare con la vita, o con tutto ciò che possiedi. Più di una volta ho saccheggiato la casa di qualcuno alla ricerca di soldi e di droghe. È un gioco pericoloso, o vinci, oppure perdi tutto. Io ho perso tutto. I miei amici, la mia famiglia, la mia casa, i miei effetti personali. Tutto! Mi sono domandato spesso se ero ancora vivo, o se invece ero morto lungo la strada e questa fosse solamente una versione disgustosa dell’inferno. Era l’inferno. Ho dormito su pavimenti affollati in case di spacciatori e persino in strada. Avevo tutto – soldi, donne e droga – ma ho lasciato che la droga mi prendesse e così ho perso tutto».

L’American Motorcycle Association sostiene che il 99 per cento dei motociclisti sia rispettoso della legge. Per questo motivo i Mongols, la più pericolosa gang di motociclisti americana, si identificano orgogliosamente come “one-per-centers”, ovvero l’1 per cento che disobbedisce alla legge. «Dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, la California è stata stranamente tormentata da uomini selvaggi in motocicletta. Generalmente viaggiano in gruppi fra i dieci e i trenta, sfrecciando lungo le highway e fermandosi qua e là per ubriacarsi e scatenare l’inferno», scriveva Hunter S. Thompson in un famoso articolo del 1965 sugli Hell’s Angels pubblicato su The Nation, la più antica rivista d’America. «Il clima della California è perfetto per le motociclette, così come per le tavole da surf, le piscine e le decappottabili. Molti motociclisti sono innocui personaggi del weekend, membri dell’American Motorcycle Association e non più pericolosi di sciatori e tuffatori. Alcuni appartengono però a quelli che gli altri chiamano “club fuorilegge”, e questi sono quelli che – specialmente nei weekend e durante le vacanze – possono comparire quasi ovunque, alla ricerca di azione… Sono duri, cattivi e potenzialmente pericolosi come una mandria di cinghiali selvaggi».

«L’imputato ha ucciso un completo sconosciuto per nessun altra ragione se non la sua appartenenza a una gang di motociclisti rivale».

Negli Stati Uniti sono presenti circa 300 gang di motociclisti, che sfruttano le strutture dei club per condurre attività criminali. I Mongols hanno un sito ufficiale nel quale spiegano di aver preso il nome dall’impero mongolo di Gengis Khan e di avere affiliati in otto Paesi diversi. Il gruppo fu formato da quindici membri il 5 dicembre 1969 a Montebello, a est di Los Angeles, diffondendosi poi in tutta la California del sud. I componenti sono accusati di associazione a delinquere, omicidio, traffico di droga e riciclaggio. Due anni fa Christopher Bryan Ablett, un membro noto anche come Stoney, è stato condannato a due ergastoli per l’omicidio di Mark “Papa” Guardado, presidente degli Hell’s Angels di San Francisco. «L’imputato ha ucciso un completo sconosciuto per nessun altra ragione se non la sua appartenenza a una gang di motociclisti rivale», disse il procuratore Melinda Haag durante il processo. «La grande maggioranza dei motociclisti fuorilegge è formata da uomini ineducati e senza qualità, fra i 20 e i 30 anni», scriveva Hunter S. Thompson, «e la maggior parte non ha credenziali, fatta eccezione per la fedina penale».

«Alla fine ero arrivato al punto in cui o sarei morto a causa della metanfetamina, o a causa della strada», continua il giovane. «Ero rimasto totalmente senza opzioni: non mangiavo da circa un mese, non mi lavavo forse da quattro e non dormivo da tre. Stavo per morire e lo sapevo. Avevo fatto questo a me stesso, e sapevo che avrei potuto salvarmi unicamente da solo. Alla fine trovai il coraggio di entrare in un centro di recupero. Dissi alle troie all’accettazione che ero là per essere ammesso, e poco dopo collassai a terra. Mi svegliai due giorni dopo con aghi nel braccio, tubi nel naso e un catetere nel cazzo. Un dottore mi salutò dicendosi sorpreso che ce l’avessi fatta, che il mio corpo si stava spegnendo e che se avessi aspettato di più sarei morto. Ero disgustato da me stesso, e giurai a me stesso che non sarei mai più tornato là dentro. Subito dopo mi sono trasferito e ho cominciato a curarmi. Oggi ho un lavoro, una casa e un’automobile. Non tocco metanfetamine da due anni e sono tornato in salute. Non sono orgoglioso dell’uomo che ero o del mio passato, ma vi dico una cosa: sono dannatamente orgoglioso di dire che sono nuovamente felice della mia vita, e di ciò che sono diventato. Devo ammetterlo, non ho molto, ma sono fortunato di essere vivo e apprezzo le piccole cose che la vita mi ha dato».

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«Questa è la prima volta che ne parlo, e ci ho pensato un bel po’ prima di postarlo su Reddit. Ho scritto tutto questo con le lacrime agli occhi, perché era quasi come tornare indietro per un momento. Penso onestamente che avevo bisogno di condividerlo con qualcuno. Ammettere che questo sia successo è una delle cose più difficili che ho dovuto superare».

 

Nell’immagine, appartenenti alla gang MS 13