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C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
Microsoft ha annunciato che dal 5 maggio Skype “chiude” definitivamente L'app non sarà più disponibile, chi ancora si ricorda le credenziali potrà usarle per accedere a Teams.
Alexander Payne sarà il presidente della giuria alla prossima Mostra del cinema di Venezia Il regista torna sul Lido dopo un'assenza di otto anni: l'ultima volta ci era stato per presentare il suo film Downsizing.
I fratelli Gallagher si sono esibiti insieme per la prima volta dopo 16 anni In un circolo operaio a Londra.

Tsipras triste, solitario, finale

Il leader di Syriza perde le elezioni dopo aver salvato la Grecia ed esce di scena come il simbolo di tutte le contraddizioni della sinistra occidentale.

09 Luglio 2019

Con un genere di crudeltà segnatamente diversa dal solito, tra i ricordi del passato, stamattina, Facebook mi segnala uno status su Tsipras di cui io stesso non riesco a ricordare le  implicazioni. Risale al 5 luglio 2015, al referendum sull’accordo con l’Europa, e mi tocca ripensare a quanto la nostra bolla si sentì coinvolta da quel voto (che in greco No si dica Oki mi pare difficile dimenticarlo) e quanto, invece, a soli quattro anni di distanza, abbia assistito alla sconfitta di Tsipras in un sostanziale silenzio. Chi allora lo adorava, oggi lo vede giustamente punito, colpevole di aver accettato il ruolo di ennesimo trofeo di caccia dell’odiata troika; chi invece ne sbeffeggiava le velleità più radicali (o meglio, sbeffeggiava chi in lui traslava il proprio ribellismo dimenticandosi dei tetti ai prelievi bancomat), oggi assiste alla sconfitta senza il coraggio di ammettere che aveva imparato ad apprezzarlo.

Barbaro romanizzato o populista sceso a patti con la realtà, forse è il caso di separare l’aspetto politico preso in esame – si spera – dagli elettori greci e concentrarci sulla questione sentimentale che ha toccato noi che non eravamo direttamente coinvolti domenica scorsa, come, però, non lo eravamo neanche quattro anni fa. Tsipras è stato l’ennesimo Zapatero, come ha perfettamente ricordato Filippo Ceccarelli, ma quel voto coinvolse tanto perché molti ci videro in campo l’ennesimo scontro tra riformismo e radicalismo e – per una volta! Finalmente! – il radicalismo vincere.

Eppure già questa, prima ancora di essere una divisione sull’azione politica, oggi non è nient’altro che una divisione emotiva e spiega l’abbandono successivo che non poteva che essere inevitabile: ciò che chiedevano a Tsipras di rappresentare era un ruolo impossibile (avesse vinto Sanders non sarebbe accaduto lo stesso?). Certo, in Italia il nome Tsipras è legato anche alle ridicole vicende di settarismo della lista che prese il suo nome (ottenendo peraltro un buon risultato vanificato proprio da quel settarismo), e anche quello ha contato nella rapida rimozione, ma – per quanto sia abusata come immagine – quello che adesso ci resta è un personaggio svuotato, scespiriano, che finisce nella solitudine, punito dal suo popolo, e scaricato persino da chi l’aveva sostenuto senza condizioni, acriticamente, per pura opinione. Proprio adesso che perfino Juncker ha chiesto scusa (ma non ha rinunciato ai crediti), e perfino Lagarde ha ammesso di aver sbagliato (ed è stata perdonata con la guida della Bce), proprio adesso che Atene pare essere “la nuova Berlino” per via della vivacità, Tsipras ottiene un terzo dei voti, ma perde tutti gli amici.

Ci siamo disperati perché Tsipras non è stato chi speravamo fosse, ma forse quello che ci fa disperare veramente è che, invece, Tsipras è stato davvero la versione migliore di quello che poteva essere: quello che ha provato a risolvere con l’Europa la “sua” questione immigrati – non è abbastanza? Certo, ma poteva farlo da solo? – quello che ha risolto una ridicola e però decennale questione con la Macedonia (adesso) del Nord, quello che ha salvato il Paese, quantomeno senza le soluzioni draconiane che avrebbero adottato altri (questo lo ammetterà serenamente chiunque, credo). Quello che non sopportiamo è che Tsipras rappresenti come le nostre maggiori velleità siano necessariamente limitate dagli altri, dalla posizione di vantaggio degli altri, o persino dalla loro cattiveria, se vogliamo definirla così. Quello che non sopportiamo è che Tsipras dimostra che l’abilità di fare al meglio ciò che è possibile fare è decisamente preferibile al realizzare al peggio ciò che si dice di voler fare o, ancora, al dirlo e basta.

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