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21:28 mercoledì 24 dicembre 2025
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

Trovare la pace in una chat privata

Slack è un'app concettualmente agli antipodi rispetto all'Internet della condivisione di Facebook e Twitter, e sta avendo un successo enorme. Perché?

28 Agosto 2015

Negli ultimi anni abbiamo iniziato a porci seriamente il problema degli effetti che quell’ecosistema che chiamiamo “Web” ha su noi stessi come società e come individui, a ogni livello. E così c’è stato chi si è chiesto se la Rete ci rende stupidi, chi ha indagato se ci rende o meno liberi. Ma un aspetto su cui forse non si è ancora riflettuto abbastanza è come l’architettura costitutiva dei social network ci ha reso dei personaggi pubblici. Scrivere un tweet su Twitter o un post su Facebook espone a un numero di interazioni teoricamente esponenziale, una risorsa intuitivamente positiva (non si contano le giuste lodi al ruolo dei social network nel catalizzare e facilitare le rivolte delle Primavere arabe del 2011, per fare un esempio ampiamente discusso), ma anche una potenziale fonte di rischi.

La viralità non è “buona” o “cattiva”, ma le conseguenze dell’avere un’identità pubblica esposta sono tangibili

La viralità non è necessariamente “buona” o “cattiva”, ma le conseguenze dell’avere un’identità pubblica costantemente esposta sono tangibili, e ormai parte integrante della nostra vita quotidiana: quanto spesso rispondiamo a quella peculiare urgenza di postare qualcosa sui nostri profili personali con l’autocensura, temendo che il pubblico che ci legge possa fraintendere il nostro post o usarlo per prendersela con noi, oppure che ciò che abbiamo in mente non sia abbastanza interessante? Quante volte quel pubblico ha frainteso per davvero? Trovarsi in apprensione per la propria identità online è una situazione comune a molti – basta un messaggio controverso, un troll particolarmente ostinato o un malinteso prolungato – e la reputazione sul web, una versione giocoforza deformata di quella offline, è di frequente un problema di cui tenere conto. Come lo scrittore Navneet Alang ha sostenuto in un recente pezzo uscito su New Republic, «ci stiamo lentamente abituando a questa nuova versione di identità pubblica, un sé che può essere replicato istantaneamente e globalmente con tutti i suoi difetti — ed è estenuante».

Alang, come altri, si dice stanco delle dinamiche che tramutano l’idillio del social network in una terra ansiogena di gogne mediatiche, timori di abusi declinati su scale di migliaia di utenti e onnipresenti malintesi. Per far fronte al problema senza abbandonare l’uso quotidiano del web (esiste ancora un web discorsivo e fatto di scambi reciproci e condivisione al di là di Facebook e Twitter?), l’autore scrive di aver iniziato a usare Slack, una piattaforma che offre un servizio professionale di chat per i team che lavorano insieme nelle aziende. La particolarità di Slack, che sembra una versione modernizzata del vecchio protocollo IRC, va ontologicamente in senso opposto rispetto ai servizi che hanno conquistato Internet: i gruppi di conversazione sono privati, e i messaggi inviati rimangono consultabili soltanto dagli utenti approvati dall’amministratore. Alang, che si è iscritto a una chat di scrittori e accademici, arriva a estremizzare il dilemma che gli sovviene ogniqualvolta vuole condividere qualcosa in due domande: “Voglio rischiare di subire l’ira di sconosciuti su Internet?” e “Voglio parlare con persone fighe e intelligenti che conosco?”.

Screenshot di una chat di Slack.
Screenshot di una chat di Slack.

Nel suo articolo, lo scrittore ammette che un certo grado di bilanciamento tra pubblico e privato nel cosiddetto social web esiste: possiamo limitare la privacy dei nostri post, scegliere chi bloccare, decidere chi leggerà cosa. Eppure, in maniera interessante, Alang individua nella «scala e popolarità dei nostri social network» un fattore che sta influenzando questo equilibrio, portandoci a limare di continuo il confine tra pubblicabile e impubblicabile. Le sue tesi sono facilmente attaccabili e, in parte, aperte a una serie di smentite – per parlare con amici più stretti, parenti e conoscenti intimi esistono già dozzine di altri mezzi, come e più privati di Slack, e l’intrinseco valore di Internet non è proprio permetterci di trovare qualcosa di meritevole in quel mare di «sconosciuti»? – ma è difficile non vederci anche il segnale di un trend in atto: Slack, lanciato nel febbraio 2014, a giugno di quest’anno aveva già superato il milione di utenti attivi giornalmente, quattro mesi dopo aver sfiorato i tre miliardi di dollari di valore commerciale. «Siccome il web è diventato così pubblico, enorme e travolgente, è ormai necessario ritirarsi e cercare i legami fondamentali nella quiete del privato», conclude Alang.

La particolarità di Slack va ontologicamente in senso opposto rispetto ai servizi che hanno conquistato Internet

Com’è possibile che un’applicazione usata in ambito lavorativo abbia avuto un successo così marcato e rapido? Semplice: gli utenti di Slack non lo usano per lavoro, o non soltanto. Il magazine Fast Company qualche mese fa chiedeva a Todd Kennedy, trentasettenne manager di una startup di software, perché avesse deciso di spostare le conversazioni tra lui e sua moglie Julie su un’interfaccia che usa quotidianamente al lavoro. La risposta è stata la più immediata che possa venire in mente: «Ce l’ho sul telefono, ce l’ho sull’iPad, ed è sempre aperto». Questa facilità d’uso, al pari di un recente aggiornamento di Slack che permette ai suoi utenti di partecipare a chat diverse durante la stessa sessione e della capillarità della diffusione aziendale del software hanno reso semplice il suo sconfinamento osmotico nella vita privata.

Oggi la comunità – o, per meglio dire, le community, al plurale – di Slack sono composte in parti uguali da professionisti di ogni settore, persone comuni intente a scambiare messaggi coi propri cari e appassionati riuniti da un interesse comune. Passando in rassegna i gruppi inseriti su Chit Chats, un sito che li raccoglie e mette in vetrina, si notano Slack dedicati agli amanti del campeggio, alla condivisione di case e appartamenti, alle «Women in Technology». Si tratta di insiemi chiusi, permeati da un’aura di esclusività e sollevati dall’ansia di postare il contenuto giusto al momento giusto. Curtis Herbert, admin di un gruppo di sviluppatori di iOs di base a Filadelfia, ha sottolineato a Fast Company come, dove su Twitter e Facebook «senti che ciò che stai postando deve avere un significato […], con Slack butterai giù qualcosa come se stessi parlando a qualcuno al bar».

Contrariamente alle prerogative del mezzo, esiste addirittura un gruppo di incontri che chiede soltanto di inserire tramite un form la propria età e provenienza e attendere la conferma della propria iscrizione. Slack ha un’interfaccia pulita e user-friendly: ci sono le menzioni e le stelline con funzione di segnalibro che mi sembra di aver già visto altrove, un archivio di messaggi con funzione di ricerca e il pratico tasto per passare da un canale all’altro. Sul mio neonato gruppo creato per l’occasione tuttavia, ahimè, non c’è ancora nessuno online, e per ora l’anti-social network pare soltanto una brughiera mesta e desolata. L’unica chat a cui riesco ad accedere in questo web fatto di enclosures, per ora, è una di amanti delle chitarre, ma non ho mai suonato uno strumento in vita mia.

Nell’immagine in evidenza: Due persone fanno yoga all’interno di un’installazione del festival della scultura Sculptures By the Sea. Sydney, 23 ottobre 2014 (Cameron Spencer/Getty Images)
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