Industry | Moda

Tod’s e il progetto No_Code

Visita al laboratorio di idee dell'azienda italiana che ha prodotto la prima "shoeker", una scarpa che mette insieme informatica e artigianalità.

di Federica Frosini

Il designer Yong Bae Seok nel laboratorio No_Code (tutte le immagini courtesy Tod's)

Con il nuovo numero in edicola dal 9 marzo inaugura una nuova sezione di Studio intitolata “Industry” in cui troveranno spazio storie e personaggi legati all’eccellenza italiana in settori che vanno dalla moda al design, passando per ospitalità, food, turismo. L’articolo di seguito che esplora il nuovo progetto di casa Tod’s è il primo che abbiamo tratto dallo speciale.

Coder o no coder? In un articolo del New York Times dello scorso febbraio, scopriamo che la prima persona che oggi avremmo chiamato “coder”, ossia programmatore, colui che crea o scompone i codici informatici per effettuare la programmazione di un computer, era una donna inglese. Si chiamava Lady Ada Lovelace e, nel 1833, grazie all’incontro con il giovane matematico Charles Babbage, a cui si deve il progetto del primo device chiamato Analytical Engine, intuì che l’enorme potenziale di questo macchinario andava ben oltre quello di semplice calcolatore. Il macchinario disegnato da Babbage, secondo Lady Lovelace, era un insieme di ingranaggi metallici che immagazzinava informazioni e avrebbe potuto modificare la sua stessa memoria grazie a un codice informatico. Un algoritmo, il primo nella storia, che lei stessa scrisse e con il quale l’Analytical Engine di Babbage avrebbe calcolato la sequenza numerica di Bernoulli. Ma il matematico non riuscì mai ad andare oltre al suo disegno e il codice scritto da Lady Lovelace, che morì a soli 36 anni, rimase solo su carta. Quasi duecento anni dopo, a riprendere con un linguaggio e una modalità decisamente rivoluzionarie il concetto di codice, nella sua accezione negativa di “nessun codice”, è Tod’s. Il 14 novembre del 2018, negli spazi delle Officine Meccaniche di Riva Calzoni a Milano, l’azienda marchigiana ha lanciato il progetto No_Code, presentando ufficialmente il primo prodotto Tod’s pensato per rispondere alle esigenze della generazione di “no coders”: la “shoeker”, nata dal matrimonio tra shoe e sneaker.

«Volevo trovare un equilibrio tra la tradizione manifatturiera italiana, 100% made in Italy prodotta da Tod’s, e l’esigenza di essere più informali», spiega Yong Bae Seok, designer coreano e primo progettista di questa nuova categoria di footwear, al quale Tod’s ha affidato il progetto No_Code shoeker. «Cercavo un punto d’incontro tra la forma di una scarpa elegante, che però garantisse le performance sportive di una sneaker e ho impiegato cinque mesi per arrivare a volume, leggerezza e peso desiderati: 300 grammi per la Shoeker/02 con tomaia in maglia misto lana – poco più per la Shoeker/01 in pelle, contro i 400 grammi di una comune sneaker. Con una suola ultra flessibile in gomma reticolata espansa, unita al composto polimerico Eva (Etilene vinile acetato) per ammortizzare la camminata e migliorarne le prestazioni, sono arrivato a produrre il prodotto No_Code che avevo in mente. Volevo un linguaggio di identità», prosegue Yong, «un’eleganza classica con un tocco moderno, un’estetica che risultasse dal giusto equilibrio volume-bellezza. E per arrivare a questo risultato è stato determinante lavorare a stretto contatto con il team di artigiani che da anni lavora con il brand. L’heritage Tod’s mi ha aiutato a coniugare i suoi elementi principali – affidabilità, know-how artigianale, tradizione, manifattura – con il processo altamente tecnologico che ho introdotto con Shoeker. Il mio compito è stato quello di “portare delle cose” e con questo prodotto ho sicuramente trasmesso un’idea di innovazione e di novità, a un team abituato a lavorare con forme adatte a un pubblico più classico. Ho cercato di fare qualcosa di diverso, ma sempre di qualità. Volevo una scarpa più bassa, più “sfilata” nella punta, con il tallone ad altezza ginnica per rendere la camminata confortevole. Una scarpa ergonomica, con una forma “no_code” che trasmettesse identità già dalla vetrina, esattamente come un’automobile. E per trovarla mi sono ispirato alla mia icona per eccellenza: Marcello Gandini, il mio “Michelangelo”».

Quando parla del celebre car designer torinese, che ha legato il suo nome ad automobili epiche, dalla Lancia Stratos alla Lamborghini Countach e alla Lamborghini Miura, per citarne alcune, Yong Bae Seok si illumina improvvisamente e confessa che: «Quando ancora ero a Seoul e studiavo design industriale, guardare le macchine progettate da Gandini mi trasmetteva subito un’idea di bellezza. Non c’era bisogno di spiegazioni. Il suo era, ed è, un codice di bellezza immediata, di identità globale. Ecco, per me le scarpe, oltre a essere indossate, devono essere un oggetto bello, e se il cliente non è colpito dalla bellezza della forma è un peccato».

Ma torniamo al significato più ampio del progetto  firmato Tod’s. Cosa significa vivere No_Code ed essere un “no coder”? «Siamo partiti ispirandoci alla California più tecnologica, quella della Silicon Valley, e a un mondo all’avanguardia con un côté più scandinavo. Ci rivolgiamo a un universo industriale e tecnologico, ma il nostro linguaggio parla anche a chi dà valore alle cose artigianali», ci spiega Michele Lupi, Men’s Collections Visionary di Tod’s. «Chi vive No_Code vive di ibridazioni, questo è quanto stiamo cercando. Siamo in una fase di costruzione del brand, un brand nuovo, depositato, e non vogliamo concentrarci troppo e solo sul prodotto. Ci siamo chiesti: “Come sta cambiando la società?”, con un movimento di pensiero: No_Code. Questa è la risposta di Tod’s». Ma se  fino a oggi parlare del brand era sinonimo di calzature, accessori, moda, lusso, come si fa a scardinare un pensiero, a rompere dei codici e a comunicare con un vocabolario che non vuole regole, non segue diktat e che non ha nulla in comune con quello delle calzature e della moda? «Ci piace chi si fa affascinare da un’estetica  fluida, fatta di contaminazioni, da un immaginario culturale che crei una contemporaneità credibile», prosegue Lupi. Sta poi alla capacità di Tod’s accompagnare e traghettare i suoi clienti storici a vestirsi in modo più informale, restando sempre un prodotto di lusso. Con questo nuovo progetto non vogliamo avere schedule, programmi, collezioni, stagioni. No_Code si sviluppa quando ritiene sia arrivato il momento e, soprattutto, significa avere la capacità di fare incursione in altri campi, attivando partnership in settori che con-dividono spirito,  filosofia e punto di vista, come stiamo già facendo con l’automotive, per esempio, con un progetto di customizzazione No_Code Shoeker per la 4 wheels full electric di Qooder, al Motor Show di Ginevra. Anche qui, è la nuova mobility urbana a rispondere a un’esigenza sociale», chiarisce.

In questo laboratorio d’innovazione c’è spazio per tutti, sperimentatori, creativi, visionari, un “luogo” per tutti coloro che si muovono con  fluidità verso il futuro, in maniera ibrida, agile ed evoluta. Nel nuovo mondo libero di Tod’s, anche la scelta del trattino basso, l’underscore, pone l’accento sulla contemporaneità grafica di un progetto che va oltre i codici dello stile, in contrasto con il tradizionale logo del marchio. Un carattere ereditato dalla macchina per scrivere che, prima della diffusione dei computer e dei programmi di videoscrittura, era l’unico modo per dare enfasi a una parola con la sottolineatura. «Non so quanto fosse volontaria la scelta, ci svela ancora Michele Lupi, ma in molte società del nord si usa l’underscore per identificare un prodotto unisex. Sicuramente anche nel nostro logo No_Code, il segno grafico pone l’accento sul valore del crossing e dell’internazionalità. La sneaker d’altronde è una scarpa unisex, motivo per cui a breve ci sarà anche la Shoeker declinata al femminile». La sneaker oggi ha un compito importante.