Attualità

Talk show, cotti e mangiati

Il format Benedetta Parodi applicato alla chiacchiera politica, ovvero la ricetta con cui si cucinano i salotti televisivi raccontata da dietro i fornelli.

di Francesco Caldarola

“Che cosa avete nel frigorifero?”: Benedetta Parodi lo chiede sempre mentre stacchetta con in mano gli utensili colorati di Alessi, come a dire: “anche con poco ve la risolvo”, moderna versione delle famose nozze con i famosi fichi.
“Cosa c’è questa settimana?” chiede il conduttore di talk show alla sua redazione, ma mentre Benedetta se avete in frigo due uova e la pancetta a dadini aperta almeno una frittata ve la fa portare a casa, il conduttore pretenderebbe lo stesso il trionfo di carni mandorlate perchè, si sa, l’auditel non perdona e “qualcosa bisogna inventarselo comunque”.
Ecco allora che nelle redazioni, quando il massimo che offre l’agenda è la trentesima settimana di discussione sulla democrazia dentro il Pdl o la ventesima puntata sulle regole delle primarie del Pd, scatta il principio del “cosa avete in frigo”, Benedetta Parodi applicata al talk show.

 

“Roba forte”

Solitamente in puntata si parte con qualcosa di “forte” (la terminologia della tv è simile a quella dei tossicodipendenti: “roba forte”, “funziona”, “ti porta lassù”, riferito alla curva dello share ecc). Nella maggior parte dei casi un filmato, un servizio. Ci sono scuole diverse: l’inseguimento del politico; la storia che ti attorciglia lo stomaco; le tette e i culi.
L’inseguimento, il più delle volte fatto da inviato maschio con barba e zainetto o da inviata femmina da messa in piega questa sconosciuta, è oramai un grande classico: un tempo pareva innovativo, ma oramai basta andare davanti a Montecitorio per trovare almeno cinque o sei troupe in modalità bivacco, tutto il giorno, tutti i giorni, tanto che l’effetto che scaturiscono nei politici – peones o parlamentari alla prima legislatura, perchè i big o escono in auto blu o da un’altra parte – è quasi sempre quello del “no, dai”. Uno dei più riconoscibili inseguitori e anche, scherzi a parte, dei più bravi, è Luca Bertazzoni di Servizio Pubblico, che però oramai anche Bersani quando lo vede gli sorride, gli appoggia una mano sulla spalla e vedi che lui gli vorrebbe dire ma no, e una corsetta no? Ma quell’altro, che non ne può più di sentirsi chiedere da tutti solo un commento acido su Renzi, porta il sigaro alla bocca e sale in macchina.

Oramai anche Bersani quando lo vede gli sorride, gli appoggia una mano sulla spalla e vedi che lui gli vorrebbe dire ma no, e una corsetta no?

Poi c’è “la storia”, cioè un servizio che in teoria dovrebbe raccontare una situazione in cui il pubblico possa tendenzialmente riconoscersi, un esempio tangibile, efficace, portatore di un processo di identificazione. La storia in sé però ha – il più delle volte – un’origine sbagliata, perché pompata dall’ala della redazione che a un certo punto della riunione si alza in piedi e comincia a dire “ma basta! raccontiamo i problemi veri della gente, che non ce la fa più” e gli altri, invece di portare la mano alla pistola appena sentono le parole “problemi veri” e soprattutto “gente”, per un principio strano tipo pifferaio di Hamelin cominciano prima ad annuire tutti insieme, a dire sì, sino a quando tutta la redazione all’unisono da brusio lo tramuta in litanìa e poi in coro “pro-ble-mi-ve-ri”, “gen-te”, al punto magico in cui il conduttore si volta verso il malcapitato di turno e gli dice: “giusto, trovami una storia” e quello indietreggia, impallidisce, si giustifica ed è anche il motivo per cui le vostre timeline sono invase da messaggi tipo “conoscete un esodato del 1952? Possibilmente del sud? Scrivetemi in privato”.
Le tette e i culi sono le tette e i culi. “Mettice ‘na figa”, quello ce la mette, lo share si alza e finisce lì.

 

Il governativo, il giornalista, l’outsider

Poi c’è il parterre, cioè bisogna decidere chi invitare. Basterebbe consultare la Treccani per sapere che tra i tanti significati della parola parterre c’è anche quello di “arena di un circo”, che meglio di tutti spiega e chiarisce. Tutti hanno un ruolo: l’acrobata, il clown, il funambolo, il domatore ecc. così anche per il parterre dei talk. Intanto va detto che in questi tempi di larghe intese è tutto più difficile. Dice: “invitiamo uno della maggioranza di governo”, ma hai voglia: Pd o Pdl? Falco o colomba? Renziano o cuperliano? Con Monti o dell’Udc? Sono discussioni pregnanti, mi rendo conto, che tengono conto delle amicizie, dei sospesi (“stavolta ti mando Cicchitto ma la prossima mi prendi un deputato fortissimo abruzzese che ti presento e vedrai che funziona”), di motivi imperscrutabili (“invitiamo il ministro Trigilia”: ma perchè?). Esaurito il capitolo maggioranza di governo le altre categorie “mai più senza” sono: il giornalista, l’esperto di economia, il battitore libero e – in grande ascesa – l’outsider “che l’abbiamo scoperto noi”.

Il giornalista si divide in due categorie: quello di sinistra e quello di destra. Nella prima ricadono praticamente tutti tranne Feltri, Belpietro, Ferrara, Sallusti, Porro, a tratti Facci e a volte Mario Sechi (ultimamente, non pare vero averne trovato un altro, anche il direttore del Tempo Chiocci). La categoria “di destra” invece è un club super esclusivo di cui fanno parte, appunto, solamente Feltri, Belpietro, Ferrara, Sallusti, Porro, a tratti Facci, a volte Mario Sechi e ultimamente, non pare vero averne trovato un altro, anche il direttore del Tempo Chiocci. Basta, solo questi. Pietrangelo Buttafuoco lui no, perchè è un intellettuale vero e va invitato con parsimonia, che si sa, la cultura un po’ spaventa il pubblico generalista e poi sennò comincia a parlare dei Persiani e di Curzio Malaparte.

L’esperto di economia si è fatto strada negli ultimi anni, quando qualcuno in riunione ha detto la famosa frase “serve uno che questa crisi ce la spieghi”.

L’esperto di economia si è fatto strada negli ultimi anni, quando qualcuno in riunione ha detto la famosa frase “serve uno che questa crisi ce la spieghi”. All’inizio, non sapendo come fare, orde di autori e redattori sono andati ad appiccicarsi alle vetrate di Via Monterosa sperando che mandassero giù qualcuno, uno qualunque, perchè, lo sanno tutti, un giornalista del Sole 24 Ore fa subito serio ed autorevole, e poi sono sempre tutti così ben vestiti, non ridono mai, sono perfetti. Ma passato il panico iniziale si è cominciato a guardare tutto attorno e sono spuntate decine di “professori”, “docenti universitari” che, a vario titolo, hanno acquisito la medaglia di “esperto da talk show”; li hanno iniziati a far scrivere sui giornali, sono diventati personaggi, hanno blog, sono delle tweet star. La categoria è inter sessista, ci sono le economiste di raitre e i professori di La7: subito erano tutti un po’ rigidini, tenevano in mano fogli e appunti, si aggiustavano gli occhiali sulla punta del naso; poi, pian piano, han preso a venire prima solo con l’ipad e poi nemmeno più con quello, a svaccare un po’, a litigare con Gasparri, e niente, si sono un po’ normalizzati pure loro. Tengono un po’ duro solo i no euro e resiste, stoico, di solito collegato da una stanzetta angusta a Mestre, Giuseppe Bortolussi degli artigiani veneti, con pronto qualche studio nuovo secondo cui, più o meno, va sempre tutto affanculo.

Capitolo a parte e discussione infinita meriterebbe la categoria “battitore libero”. Infinita perchè non è sempre chiaro cosa dovrebbe fare, un battitore libero. Sparigliare? Accendere la rissa? Dipende. Intanto chi è un battitore libero? Sgarbi? Però hai visto che casino che ha fatto da Cruciani e Parenzo, è sempre un po’ un rischio: e se poi attacca il capra capra? No, meglio di no. D’Agostino? Per essere cattivo è cattivo e funziona, ma anche lui poi ti parte contro le banche e va tutto a puttane. Busi? Fosse per “Seminario sulla gioventù” bisognerebbe dargli un’ora a puntata, ma vuole i soldi e poi il produttore piange miseria, come si fa?

Ben più succosa è la storia, abbastanza recente, dell’ outsider “che l’abbiamo scoperto noi”. Pressate da stampa e vox populi secondo cui non se ne può più di vedere sempre le stesse facce in tv, le redazioni – stressate anche da conduttori ai quali i rispettivi baristi, la mattina, hanno detto che vorrebbero vedere qualcuno di diverso e che quindi nelle loro menti hanno traformato il messaggio in: le masse popolari chiedono altro – hanno risposto all’emergenza puntando, appunto, su facce nuove, che altro non sono se non sconosciuti cui si concede l’ebbrezza di andare cinque minuti in platea con il microfono in mano per poi ottenere dieci richieste di amicizia in più su facebook e gli sms dei parenti che gli dicono “bravo: gliel’hai cantate”.
L’outsider è interclassista: operaio o imprenditore, rappresentate degli studenti o pensionato, giovane o vecchio, che va in vacanza a Gstaad o mangia scatolette in un monolocale all’Isola: l’importante è che sia un po’ sfrontato, che non gli tremi la voce, possibilmente piacevole alla vista e che, appunto, gliele canti.
Se – per sfiga – un poverino, che magari se l’è anche cavata, è stato però ospite nella puntata che ha fatto ascolti bassi allora gli verrà subito addossata ogni responsabilità (in tv le responsabilità sono sempre degli altri, sempre) e con questa anche la patente di innominabile: “tizio, guarda, non me lo nominare nemmeno perchè tanto non funziona, non ti ricordi l’altra volta?”.

“Mmhh, che buono” dice sempre Benedetta alla fine della ricetta, mentre il pubblico applaude e il regista stringe sul piatto finito. “Bella puntata, è andata bene”, ci si dice sempre appena finito, “e hai visto l’outsider come ha funzionato?” e giù pacche sulle spalle. Aspettando l’sms delle dieci della mattina dopo, quello degli ascolti. Che se sono andati male, però, parte subito la fatwa: “non invitiamolo più, ci ha rovinato la puntata”. D’altronde anche a Benedetta le ricette mica riescono sempre tutte, no?

 

Nella foto, Palmiro Togliatti alla Tribuna Politica Rai, 1963