Attualità

Scapestrati architetti

Sulla bellissima mostra Superstudio 50 al Maxxi: cose d'altri tempi, un'opera totale da factory warholiana, intuizioni sul futuro e industriali del mobile piuttosto coraggiosi.

di Michele Masneri

Come si devono essere divertiti. Celebrati oggi al Maxxi di Roma in questa mostra per il cinquantesimo della fondazione, gli architetti “radicali” del Superstudio erano una banda che si immagina abbastanza scapestrata, nella Firenze anni Sessanta, tipo Amici miei degli o delle archistar. Erano Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, e dopo Roberto Magris e Giampiero Frassinelli e altri, e incroceranno poi gli altri radicali di Archizoom, per dar vita a un movimento che teorizza, in pieno boom, la superarchitettura come «architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super», in un nonsense-supercazzola molto sofisticato che non risparmia niente a partire dallo stesso boom.

Mentre a Roma si facevano le battaglie alla facoltà di Architettura a Valle Giulia con discussioni magari pallose su chi fosse meglio tra figli di poliziotti e studenti, in facoltà a Firenze si inventava uno stile anche molto ironico; nasceva nel ’66 questa che non è «né architettura né pittura ma ibrido», come  ci dice l’architetto Gabriele Mastrigli curatore della mostra. Una «architettura di immagine» in grado di «ispirare comportamenti», linguaggio puramente gratuito che si fa beffe del funzionalismo e del nascente design italiano dei compassi d’oro, creando oggettistica e immaginario pop che poi finirà su copertine di dischi, riviste; anche case, e cataloghi, diventando talvolta “classico” e prodotto industriale. Come nel caso degli istogrammi, famiglia anzi «atlante di oggetti neutri privi di funzione e ricoperti di una superficie quadrettata», che è poi il laminato bianco e nero ad effetto piastrella che si ritrovava sui top di cucine non proprio aspirazionali. Questa griglia nobilitata e matematica viene declinata in molte funzioni, in «diagrammi tridimensionali non continui», arredi, installazioni, sculturine, reticolo mentale senza fine però con la sua eleganza. Il top della cucina che diventa top artistico in tutte le sfumature del bianco e nero, fino alla surrealtà; «l’istogramma da passeggio», oggetto inutile e poetico con pratica maniglia, da portare a spasso; l’istogramma da campeggio su cui la famiglia Natalini apparecchia un pic-nic in campagna, tavolo rovesciato che ben rappresenta la rivoluzione in atto, anche contro il “good design” che nel frattempo sta nascendo. E poi diventa bestseller nel catalogo Zanotta.

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Fa effetto questa mostra in questo mammozzone della defunta Zaha Hadid, è curioso, lei che pure si era ispirata, come altre archistar di massimo successo odierno, vedi Rem Koolhaas, altro fan, alle zingarate del Superstudio: e il museo romano qui sembra un contenitore in fondo molto addomesticato rispetto al contenuto scatenato anni Sessanta dei ragazzi di Firenze (mentre l’ottimo allestimento ha necessitato di paretine di cartongesso da erigere per appendere almeno disegni e foto, che notoriamente non ci stanno sulle curvature della architetta irachena radical ma anche chic).

Però altri tempi: e fotomontaggi, collage, découpage, assemblaggi, manifesti; un’opera totale, da factory warholiana, con foto di famiglia degli stessi artisti-architetti che diventano opera d’arte, e anche un indotto e ecosistema di industriali del mobile e del soprammobile piuttosto coraggiosi: il divano di pelo rosa di Giovannetti, le poltroncione fluo prodotte da Poltronova, lampade Gherpe in plexiglas con riciclo di maniglie industriali; tutto prodotto in serie, oggi non si sa chi oserebbe, senza guardare ai “business model”.

Però che critica costante alla società e ai moderni ritrovati, a languori anche appena nati. Nulla si salva: mentre il povero Paese si è appena emancipato dalla fame atavica e agogna alla tavernetta, ecco la presa in giro della Villa, come oggetto abitativo desueto, perché naturalmente progettare davvero un manufatto del genere non ha senso, «ne è già stata ampiamente dimostrata l’assurdità economica, sociale e funzionale», dicono i radical. Ma la villa italiana esiste, bisogna farci i conti, e dunque sezioniamola. Essa esiste in tre categorie, «chalet, moresca e tutte le altre», come si legge nel manifesto contenuto nelle ottime e monumentali Opere 1966-1978 (edizioni Quodlibet). Facciamo i conti con l’inconscio edificatorio, e introduciamo nuove categorie: ecco una «piccola casa per luoghi sereni», una «villa al mare per amanti dell’ombra», una «villa cubica assai movimentata per campagna assai calma».

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Anche l’ecologismo, la preservazione, le Italie Nostre non vengono preservate: ecco tutto un fantastico movimento per salvare i centri storici italiani, con progetti e rilievi e planimetrie, tutto più vero del vero, salvo che i progetti sono lontani dal senso comune. Si chiama Italia Vostra. Per Napoli, intubare il centro storico in un enorme cilindro tipo Truman Show dipinto coi panorami e il Vesuvio, che sono l’unica cosa che interessa, «da affidare agli scenografi di Hollywood, perché quelli di Cinecittà sono ancora troppo in sospetto di Neorealismo», con vasto uso di comparse e attori che preferibilmente urlino in dialetto, mentre «un circuito di emettitori di aromi spanderà nell’aria profumi caratteristici (pizza, maccheroni, caffè)».

Per Pisa, essendo che «il centro storico non interessa a nessuno, e l’unica cosa che conta è la stranezza di una torre», si propone di inclinare tutti gli edifici del centro trasformandoli in alberghi e locali pubblici, incentivo «per un boom turistico senza precedenti, se si fa la proporzione tra il numero dei turisti che attira una sola torre e quelli che potrebbe attrarre una intera città inclinata» (con studi e calcoli per realizzare questa esatta inclinazione degli edifici). Per Venezia, urge «ovviamente l’eliminazione dell’acqua», e con questa specie di Mose una pavimentazione in vetrocemento a imitazione idrica, con rinforzi di cemento armato e sulla quale potranno sfrecciare finalmente le automobili (con progetto di una gondola a motore, per preservare questa parte integrante del panorama veneziano). Paiono progetti di candidati sindaci grillini molto vivaci.

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Però anche intuizioni sul futuro e su tutte le società dello spettacolo: come il progetto di intubazione delle cascate del Niagara, con costruzione di una grande diga traslucida che si può riempire per un certo numero di anni e poi crollerà, «e milioni di persone andranno lì con le loro Polaroid. Sperando di esserci proprio al momento del disastro».