Attualità
Le storie della Dark Polo Gang
«Il rap è autobiografia, non è cinema», protestano i detrattori del fenomeno musicale italiano più discusso dell'anno. Ma cos'hanno di diverso dagli altri?
Sarebbe più bello iniziare a raccontare la Dark Polo Gang con le parole di Side in uno dei suoi ultimi video su Instagram: «Solo soldi, bacini, cuoricini, amore e droga». Ma bisogna prima togliere di mezzo l’ingombrante storia di Tony che, in un altro video su Instagram del 29 novembre, ha usato parole e versi razzisti da stadio contro il rapper di origini ghanesi Bello Figo. È un comportamento indifendibile, infatti la Dark Polo Gang ha pubblicato subito dopo un video di scuse: «Il nostro carissimo Tony, che ci fa fare tante belle figure ma talvolta ci fa fare pure delle figuracce», è toccato dire a Pyrex, che è di madre afro-americana. Anche Tony si è scusato: «Non sono razzista», prima di rientrare nel personaggio di piccolo boss della downtown Roma pre-gentrificazione, bandana con il fiocco alla Tupac in testa, grossi orecchini a cerchio, collane d’oro e tatuaggio al collo con scritto “Ti amo”: «Triplo sette su ogni droga/ Costa Smeralda California / la tua tipa mi vuole in prova / facendo soldi su ogni cosa», canta nel pezzo di Gianni Bismark “È tutto vero”. Di sicuro c’è che la Dark Polo Gang rappresenta un fenomeno narrativo più controverso di Bello Figo, che ha detto in un’intervista a Rolling Stone di qualche giorno fa: «Io ascolto solo roba americana, in italiano ascolto solo la mia musica. Se li conosco è perché qualcuno li nomina, ma non ho avuto modo e tempo di ascoltarli, perché proprio non mi interessa».
I quattro ragazzi del collettivo romano (o forse è meglio dire sei, contando anche il produttore Sick Luke, fondamentale, e il regista di quasi tutti i loro video e quasi manager Sandro detto ALXSSVNDROMAN, ex-membro del gruppo di filmmaker Romeyork che a poco più di vent’anni ha già lavorato negli Stati Uniti con il Wu Tang Clan e Redman), nell’ultimo anno hanno suonato e inciso pezzi con quasi tutti gli artisti della nuova scena trap italiana, come Sfera Ebbasta, Ghali, Tedua, Izi, Enzo Dong, Danien & Theo.
A fare musica hanno iniziato per caso, nella noia dei pomeriggi passati a fumare erba nelle camerette dopo la scuola. La zona è il quartiere Monti, le famiglie tutte più o meno benestanti e colte (solo Luke, figlio del rapper Duke Montana, è cresciuto con il padre tra Los Angeles e Centocelle). Il video del primo singolo, “Hypervenom”, esce nel settembre 2014. Cantano Side (che si chiama Arturo ed è figlio dello sceneggiatore e regista Francesco Bruni, e tra i protagonisti del suo prossimo film, Tutto quello che vuoi) e Pyrex: «Alti come i palazzi / piedi sul terreno / ce ne frega un cazzo di andare all’inferno / la gang è la mia vita fino al giorno in cui crepo / Dark Polo, Ferrari, cavallo nero…». Dopo un po’ di tempo si uniscono a loro anche Tony e Wayne. La differenza vera la fa l’arrivo di Luke, come ha raccontato la Dark in un’intervista a Noisey: «È lui che ci ha dato le prime produzioni vere e ci ha fatto capire che potevamo fare sul serio». A contare le visualizzazioni dei video su Youtube, i pezzi più famosi sono “Cavallini” (quasi tre milioni e mezzo), “Fiori del Male” (due milioni e trecentomila), “Pesi sul collo” e “Mafia” (più di un milione).
Ma cosa ha di speciale, di diverso rispetto agli altri la Dark Polo Gang? «Il rap è autobiografia, non è cinema», scrive su Facebook un ragazzo in un commento sotto a uno dei tanti post in cui si combattono i fan – i piskelletti dark – e i detrattori della gang. Lo dice come un insulto, ma coglie nel segno: la Dark Polo Gang con i jeans strettissimi, il 777 del jackpot delle slot machine, le mazzette di banconote, le cinte firmate e gli occhiali da donna è messa in scena di classe, è cinema, è un film di maschi per maschi, in cui la fantasia è interrotta solo ogni tanto da piccoli elementi di realtà che la rendono ancora più credibile. Instagram è come una macchina del tempo. A scorrere i profili di Side e Pyrex all’indietro si capisce che stanno da anni con le stesse meravigliose ragazze (cercate Cyberbekah e Polpetta di Riso), e che Sick Luke è l’unico che a volte si porta dietro la fidanzata (Peachwalnut, cercate anche lei) quando ha delle serate come dj in giro per l’Italia. Nei video non ci sono mai donne, solo ragazzi a petto nudo avvolti da una nuvola di fumo al Thc: «Puoi beccarmi all’indiano che mangio pollo al curry / troia non mangio sushi / mi piacciono Fendi e Gucci». E poi: «Cavallo pazzo nel Rione / all’angolo non mi fermo / nella padella pollo e cocaina…», o ancora: «Non vuoi problemi con la Dark / la tua puttana fa bau / Pyrex bello figo dark / la mia cinta Ferragamo…».
Chi non li ama, si lamenta che non chiudono le rime, che scrivono cose senza senso. Qualcuno è arrivato a fare parodie dei loro pezzi leggendo sopra i beat la lista della spesa. E invece i testi della Dark Polo Gang sono sofisticatissimi e riescono in un’impresa che ha del sovrannaturale: creano un mondo intero e nello stesso tempo non raccontano nulla, e scrivono in modo totalmente anti-narrativo. È un po’ la stessa atmosfera creata da Bret Easton Ellis nei primi romanzi. Basta leggere la citazione di Tim O’ Brien con cui si apre Le regole dell’attrazione (1987): «I fatti erano separati e casuali anche mentre accadevano, episodici, spezzati, senza passaggi scorrevoli, senza il senso di avvenimenti che nascessero da avvenimenti precedenti». I testi della Dark Polo Gang si muovono nello spazio, ma non nel tempo, si liberano dalla dittatura dell’autobiografia, del cantautorato, della forma racconto. Nessun altro ci riesce, non Sfera, non Tedua, non Danien & Theo (che pure sono molto raffinati).
I quindicenni in crisi di mascolinità impazziscono per le loro strofe, ci creano meme e se le rimbalzano nei commenti sui social: «Sto pensando ad alzare il mio pane / baguette, pancarrè rosette e ciabatte / lei non vuole fottere i miei amici allora può andarsene» (Side), «Negri a Roma come Django / la mia cinta è Ferragamo / cavallo nero Ferrari / piovono soldi dal cielo / troia si sta bagnando», «DPG siamo drug fashion / stiamo sulle droghe vestiti designer» (Pyrex). Non sono, come potrebbe sembrare, solo messaggi gangsta-consumistici. Quello che probabilmente risuona e fa appassionare i ragazzini ai pezzi della Dark Polo Gang deve essere il fatto che trasmettono un senso di ribellione alle voci di fondo che continuano a dire che un futuro non c’è. I DPG sono punk, sono supereroi, sono cartoni animati. E si ribellano anche a chi pensa ai ragazzi come a un branco di sdraiati arresi e iperconnessi.
Il bello del futuro è che arriva sempre da direzioni che non ti aspetti:«Parli di me, tu a casa a fare cosa?», è una frase chiave della loro poetica. Tony, Side, Pyrex e Wayne nell’ultimo anno non si sono mai fermati. Sono sponsorizzati dalla Nike, e probabilmente anche Fendi, Gucci e Valentino mandano loro accessori in regalo. Lo stilista argentino Marcelo Burlon di County of Milan li ha invitati da poco nel suo show-room a Milano. Ha pubblicato la foto sul suo account Instagram e poi si è rivolto ai troll: «Non accetto critiche piene di ignoranza e cattiveria. Me lo devono succhiare, a me e alla Dark». Loro intanto vendono un live dopo l’altro, si fotografano e riprendono in autostrada e nelle stanze d’albergo. Nei video Tony scoatta promettendo mazzettate sotto i denti a tutti, Wayne e Luke fumano e dicono «bufus» agli haters. Anche l’ultima data live, a Torino, è andata sold-out. C’è un video del locale strapieno di ragazzini che intonano tutti i pezzi, creando un karaoke simile a quello che impesta i concerti di Calcutta o dei Thegiornalisti.
Qualche settimana fa, passando davanti a un negozio di sneakers in centro a Roma ho visto un po’ di movimento. Dentro c’era la Dark Polo Gang, fuori dei ragazzini che li aspettavano. Side è uscito, con la sua faccia pallida da rock star anni Settanta, ha scroccato una sigaretta e poi ha detto: «Quando vi servono le scarpe fresche dovete venire qua. Di dove siete?». San Basilio, ha risposto uno. Primavalle, ha detto un altro. Quando è venuto fuori Wayne, un ragazzo si è fatto coraggio e gli ha chiesto di salutare in un video il fratellino di nove anni: «Tanti bacini, ti vogliamo un sacco di bene. Gang per sempre, triplo sette per sempre».