Attualità

Settimane della moda — Milano

I marinai adolescenti di Prada, la nuova generazione dandy di Zegna, i ragazzi strafottenti di Gucci: cos'è successo a Milano Moda Uomo.

di Silvia Schirinzi

Che la moda uomo stia attraversando il suo momento d’oro è oramai un fatto assodato: lo dimostrano i dati di mercato (+ 24% nel 2015 secondo un recente studio condotto da Barclays, con la previsione per l’intero di settore di raggiungere i 40 miliardi di dollari nel 2019), e lo conferma l’ampio dibattito che circonda le sfilate maschili, che fino a non troppe stagioni fa venivano archiviate abbastanza in fretta. Il guardaroba dell’uomo è diventato il terreno più fertile per sperimentare tutti gli orizzonti del “vestire bene” e mettere alla prova il concetto di mascolinità diluendolo, allargandolo, riadattandolo. Gli uomini (anzi, i ragazzi) in passerella sono spesso lontanissimi dal luogo comune: sono cowboy, viaggiatori, dandy, militari che non toccherebbero mai un’arma, astronauti e rockstar, ologrammi ideali di una macro generazione sempre più difficile da inquadrare.

Se l’ultima edizione di Pitti Uomo ha convinto perché ha saputo bilanciare il nuovo con il classico in una formula di curatela contemporanea, riuscendo a raggiungere una sintesi quasi perfetta fra la selezione dei progetti e le modalità di presentazione degli stessi, Milano soffre ancora una volta di un calendario concentratissimo (soprattutto nelle giornate di sabato e domenica), che deve ancora trovare la giusta dimensione per essere valorizzato, ma sfodera in compenso non poche collezioni interessanti, dalla couture per soli uomini di Ermenegildo Zegna al singolare accenno alla crisi dei migranti di Miuccia Prada. Se ne accorge anche il New York Times, che nota come ormai l’era della «volgarità berlusconiana» e dell’Italia di «Uomini e Donne» – sì, Uomini e Donne, sul New York Times – sia ormai un capitolo superato, a favore di un ritorno all’eleganza.

Jil Sander FW 2016 backstage courtesy of Jil Sander

A chi rimprovera alla moda maschile frivolezza e volatilità – come se questi elementi fossero un male, applicati ai vestiti – risponde la collezione per l’Autunno-Inverno 2016 disegnata da Stefano Pilati per Zegna, dove ogni modello recava sul polso, sul petto o sugli accessori il numero del proprio look, proprio come si usava nelle sfilate di alta moda di una volta. Il suo è il racconto coerente di un’eleganza mai stantia: fluida perché ineccepibile, di valore perché sartoriale nei materiali e nel concept, infine personale e ragionata. Nessuna paura delle decorazioni, anzi. «Embellishment is in l’air du temps», per dirla con le parole dello stesso designer che, è bene ricordarlo, ha passato quasi dieci anni da Yves Saint Laurent e maneggia sapientemente anche quella tradizione: dai broccati al jacquard, dalle borse da portare a mano alle cappe, fino alle giacche e ai completi spezzati, tutto è prezioso, senza mai soffrire di pesantezza.

Nel solco del classico menswear, invece, Caruso ha presentato il suo Autunno-Inverno 2016 insieme al secondo episodio di The Good Italian, la serie di corti diretti da Emanuele Di Bacco con protagonista “il principe” Giancarlo Giannini, dimostrazione felice di come un brand che fa della tradizione il proprio punto di forza sappia comunicarsi con successo.

Al suo debutto all’Armani/Teatro, invece, Lucio Vanotti si è presentato con una collezione che è una summa precisa dello stile che lo rende uno dei designer più convincenti della nuova generazione. La ricerca della semplicità della linea e l’attitudine rigorosa della forma, dove la morbidezza è data dalla sottrazione, è la cifra stilistica della moda di Vanotti, classe 1975, che si fregia sin dall’inizio del suo percorso di una sofisticatezza intellettuale cui la sobrietà monastica lima ogni orpello, restituendo solo ciò che serve. Il marchio che porta il suo nome nasce con la Primavera-Estate 2012 e si aggiudica sin da subito l’attenzione degli addetti ai lavori, guadagnandosi la finale di “Who Is On Next?”, il concorso dedicato agli emergenti indetto da Vogue Italia in collaborazione con Fondazione Pitti Discovery. In realtà, il percorso del designer bergamasco inizia molto prima, quando nel 2004 fonda insieme a Marika Masi il marchio February, che racchiude già in fase embrionale molti dei concetti che caratterizzano la sua visione, dall’eleganza rilassata all’idea di un guardaroba liquido, senza forzature di genere.

Lucio Vanotti FW 2016 courtesy of Lucio VanottiLo sforzo di Giorgio Armani di ospitare ogni stagione un marchio nuovo è apprezzabile e può garantire a chi viene selezionato una copertura mediatica che altrimenti non avrebbe, tuttavia molto di più deve – necessariamente – essere fatto per garantire alle nuove leve di affermarsi. In casi come quello di Vanotti, non si tratta, infatti, di giovani appena usciti dalle scuole, ma di professionisti che già conoscono bene i meccanismi dell’industria, dalla produzione alla distribuzione, e sono riusciti a costruirsi un’identità precisa e un proprio mercato, spesso senza poter contare su adeguate piattaforme di supporto e visibilità. Inutile sottolineare che la ridefinizione della Settimana della moda di Milano non può che passare dalla creazione di un terreno fertile che faccia crescere chi è meritevole e promettente, accompagnandolo dalla fine della scuola di design in poi.

Allo stato attuale delle cose, la capacità di sfruttare i nuovi canali di comunicazione diventa perciò un fattore di primaria importanza per farsi conoscere e creare la propria nicchia di riferimento: lo hanno capito bene Loris Messina e Simone Rizzo, che insieme hanno fondato Sunnei. La loro presentazione di domenica sera è stata divertente e spensierata come il menswear che disegnano, combinazione intelligente di elementi sport, street e outdoor: lo testimoniano bene i video e le foto del seguito profilo  Instagram del giovane marchio, supportato da un e-shop.

Ha giocato la carta della location inusuale, invece, Damir Doma, che ha sfilato al binario 22 della Stazione Centrale, con tanto di Frecciarossa parcheggiato a far bella mostra di sé. Il designer di origine croata, cresciuto negli atelier di Ann Demeulemeester e Raf Simons, è alla sua seconda volta a Milano, dopo la decisione di lasciare Parigi nel maggio del 2015. La venue è ancor più perfetta se si pensa che Doma l’ha ottenuta gratis, potendo (per un volta) vantare sulla collaborazione degli enti coinvolti. «[La stazione centrale] è il mio posto preferito di Milano», ha dichiarato lo stilista, «abbiamo cercato di pensare fuori dagli schemi e di cercare posti per sfilare che non fossero così scontati. Ma non siamo quel tipo di marchio che può permettersi di sborsare grosse cifre, però siamo stati super fortunati a trovare qualcuno negli uffici che amava il brand e ci ha aperto tutte le porte». E così la sua moda avant-garde e figlia della scuola belga è andata in scena nella stazione, in un cortocircuito che ha appassionato gli infreddoliti spettatori.

Prada FW 2016 courtesy of Prada 2Ritornando alle passerelle più tradizionali, anche da Jil Sander si lavora sull’ispirazione militare, che nelle mani di Rodolfo Paglialunga si traduce nell’ennesima convincente collezione: i capispalla la fanno da padrone e restituiscono quell’aura di austera eleganza e pulizia delle forme che è da sempre il fulcro del marchio fondato dalla stilista tedesca. Il pomeriggio della domenica è poi il turno di Miuccia Prada, uno degli appuntamenti più attesi in calendario a Milano. E non a caso: è lei che ciclicamente sposta l’ago della bilancia su questo o quell’argomento, riporta in auge piccole grandi cose e ne introduce delle altre, spesso attraverso intricati sentieri di rimandi e citazioni, molte volte a se stessa, in un miscuglio di stili ed eclettismi che è la caratteristica quasi ipnotica della sua moda. Di fronte ai mozzi adolescenti visti sulla passerella dell’atelier di via Fogazzaro, in molti sono stati tentati di vederci un accenno alla crisi dei migranti. Le stampe da lei commissionate all’artista Christophe Chemin riportano i volti di grandi protagonisti della storia, da Sigmund Freud a Che Guevara, in una sorta di parata ideale di personalità celebri che hanno saputo interpretare e vivere il loro tempo. Il sitting della sfilata ricalcava il modello dell’auto da fé tipico dell’Inquisizione spagnola, ovvero la cerimonia pubblica in cui venivano eseguite le sentenze secondo precisi rituali a seconda della condanna, quasi a ricordarci come oggi l’opinione pubblica non sia poi tanto più clemente. «Non posso sfuggire da ciò che sta succedendo, è troppo potente», ha detto la stilista nel backstage, e questo è il suo modo di leggere la contemporaneità. Gli abiti sono il racconto visivo del difficile viaggio dal passato al presente, e l’uniforme da marinaio si trasforma in un archetipo di chi quel viaggio lo compie, oggi come ieri.

Alternative Views - Milan Men's Fashion Week Fall/Winter 2016/17La contemporaneità di Gucci, invece, trova la sua strada per esprimersi attraverso la presenza della 22enne  Hari Nef, modella transgender già protagonista dell’acclamata serie tv Transparent e rappresentata da IMG Models. Hari è apparsa in passerella in cappa e completo rosso fuoco, perfettamente integrata nella parata di look che siamo già abituati a considerare il nuovo Gucci di Alessandro Michele. Lo stilista ha parlato di «riattivazione poetica», ovvero di quel processo attraverso il quale lo sguardo selettivo verso il passato ricostruisce nuove identità, che si svincolano dall’ansia della definizione. È una moda per uomini o per donne, si chiederà il commentatore da fashion week, occasionale e non? A Michele non interessa, purché sia moda.

In copertina e in testata: la sfilata di Ermenegildo Zegna (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images); all’interno: Jil Sander, Prada e Vanotti (dai rispettivi profili social) e Hari Nef durante la sfilata di Gucci (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images).