Hype ↓
09:35 mercoledì 31 dicembre 2026
L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

L’era dello scrivere gratis

E se il problema non fossero gli editori che non pagano mai noi che scriviamo gratis sui social network? Una riflessione a partire da Andrew O’Hagan.

15 Novembre 2017

Tutti abbiamo, o così almeno mi piace pensare, una fantasia sadica ricorrente con cui trastullarci nei momenti difficili. La mia è questa: il caporedattore di una testata «piccola ma prestigiosa», l’ennesima, mi telefona per chiedermi un pezzo; che però, sai come vanno queste cose, non possono pagare; io, magnanima, accetto, promettendo di consegnare giusto a ridosso della deadline, poi però non mando nulla; a quel punto il caporedattore mi richiama per sollecitare e io gli rispondo che, boh, ho cambiato idea, così lui resta con la pagina vuota. Nelle sue edizioni più sgargianti, la fantasia prosegue col caporedattore che protesta, gli impegni presi si rispettano o almeno si avvisa, e io che rispondo che, visto che era una cosa non pagata, non gli dovevo alcunché, se tu non prendi un impegno con me perché dovrei prendere sul serio un impegno con te?

Naturalmente, è una fantasia che non si è mai avverata. Un po’ perché l’educazione che ho ricevuto, a metà strada tra l’etica calvinista e un bootcamp dell’esercito israeliano, mi ha inculcato un senso del dovere cui, mio malgrado, proprio non riesco a sfuggire: la sola idea di dare buca a qualcuno mi farebbe venire un coccolone. Ma soprattutto perché, salvo rarissime eccezioni, il più delle quali riguardano ricatti, non scrivo gratis.

Quello dello scrivere o non scrivere gratis è uno dei temi più divisivi tra i giovani creativi e lavoratori culturali. Da un lato c’è il campo di chi scrive per la gloria o per la visibilità, oppure, perché no, per l’amore di scrivere; dall’altro chi si scandalizza alla sola idea, questo è un lavoro, perdiana, chiederesti a un idraulico o a un dentista… insomma, conosciamo l’argomentazione. In mezzo c’è una pletora di dorotei, coi loro distinguo: dipende dal caso, se un progetto proprio mi piace, se ha un prestigio tale da valerne la pena, se me lo chiede un amico, o se in quel momento sto già guadagnando tanto per i fatti miei. Quanto a me, sarei ben felice di unirmi ai terzisti della realpolitik, se non fosse per il dettaglio che, guarda un po’, devo dosare le forze: i giorni liberi dagli impegni redazionali di Studio sono pochi e preferisco dedicarli a progetti remunerativi o, in alternativa, al parrucchiere. Per me è una questione di tempo, prima ancora che di orgoglio o di portafoglio. E se fosse davvero questa la questione centrale, il tempo?

O'Hagan

L’impressione però è che, in questo dibattito, finora ci siamo persi un pezzo. Mentre stiamo ad azzuffarci, su Twitter e su Facebook, sul fatto che sia giusto o meno scrivere gratis, non ci siamo accorti che scrivere gratis è esattamente quello che stiamo già facendo. Su Twitter, su Facebook, su Medium o sui nostri blog. Il dato di fatto è che vivere di scrittura sta diventando sempre più difficile anche perché abbiamo contribuito a creare un ecosistema sovrappopolato di parole scritte gratis. È una cosa diversa, si dirà: sui social scrivo per me, non per un editore che non mi paga, i social non sostituiscono i libri, se qualcuno vuole leggersi qualcosa di mio che vale deve farlo comprando un libro o un giornale o cliccando su un sito. Eppure. Eppure sappiamo che non è proprio così. In molti casi, il tempo passato leggere materiale su Facebook o Medium è tempo sottratto a leggere altre cose. E intanto abbiamo abituato il lettore a leggere cose non retribuite, e noi stessi a scriverle.

Una volta il direttore di Studio mi ha detto che sta diventando sempre più difficile convincere la gente che la scrittura ha un valore economico, quando noi siamo i primi a regalare le nostre parole sui social network. In un pezzo che pubblicheremo sul prossimo numero della rivista, lo scrittore scozzese Andrew O’Hagan, la mette giù ancora più dura: «Gli scrittori prosperano nella privacy, non su Twitter, e lo stesso vale per i lettori. Dare via le proprie frasi senza pensarci, e per giunta gratis, danneggia la scrittura come professione, l’idea di pagare qualcuno perché è bravo a scrivere, e uccide la concentrazione».

Di O’Hagan è appena uscito per Adelphi La vita segreta, una raccolta di tre saggi che incarnano i «dilemmi collettivi delle nostre esistenze semi-digitali», come scriveva qualche tempo fa Cristiano de Majo. O’Hagan sarà uno degli ospiti della prossima edizione di Studio in Triennale, l’annuale festival di Studio che si terrà alla Triennale di Milano il prossimo 25 novembre. Magari in quell’occasione potremo fare due chiacchiere sullo scrivere gratis. Non è meglio di scriverne gratis su Facebook?

Articoli Suggeriti
Social Media Manager

Leggi anche ↓
Social Media Manager

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.